Politica

Vittadini: «Draghi è il promotore del risveglio della società civile, non possiamo tergiversare»

Per il Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Draghi «è un leader moderno, è la persona giusta al momento giusto, non il solito uomo solo al comando». Infatti si propone di dialogare con una società costruita “dal basso”, attiva nei suoi corpi intermedi e consapevole che educazione, solidarietà e sviluppo sono le chiavi per superare la crisi

di Marco Dotti

Incertezza e responsabilità. Queste le due parole chiave del discorso che, l'estate scorsa, Mario Draghi ha pronunciato al 41° Meeting di Rimini. «Nelle attuali circostanze», spiegava, «il pragmatismo è necessario», perché «la società nel suo complesso non può accettare un mondo senza speranza; ma deve, raccolte tutte le proprie energie, e ritrovato un comune sentire, cercare la strada della ricostruzione».

Nell'incertezza, dunque, serve responsabilità. Nessuna forza, nessuna energia può essere sprecata. Ne è fortemente convinto Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che abbiamo incontrato.

Mentre i partiti discutono, la realtà del Paese qual è?
Siamo ancora immersi nella pandemia, con circa quattrocento morti al giorno; i recenti dati sulla disoccupazione sono inquietanti, senza contare che quando il blocco dei licenziamenti sarà tolto, la crisi diventerà grave anche sul piano sociale.

Avremo ben presto un problema di impoverimento generale che non si potrà più affrontare con strumenti a base di contributi a fondo perduto: quindi una questione sociale enorme. E bisognerà tornare ad avere fiducia, ad aver voglia di investire, di conoscere, di rischiare per essere di nuovo la società dinamica e solidale che sappiamo di poter essere.

Dunque il problema economico è legato come non mai al problema sociale…
Per rispondere a entrambi i problemi bisogna rilanciare lo sviluppo e il lavoro, senza dimenticare che nel 2017, ben prima della pandemia, eravamo il ventisettesimo su ventotto Paesi dell’Unione Europea in termini di crescita economica. Dobbiamo andare dunque alle radici della crisi, favorendo la ripresa della produttività e dell’occupazione, utilizzando investimenti strutturali con il Recovery Fund, soprattutto per le zone depresse del Paese.

Draghi si propone come il promotore di una società costruita “dal basso”, risveglio di una società civile che si attiva in corpi intermedi

Giorgio Vittadini

Il contrario di ciò che è stato fatto in questi ultimi anni…
Dobbiamo uscire da una politica economica in cui sono mancati idee e progetti di sviluppo, limitata sostanzialmente a provvedimenti assistenziali. Occorre riprendere una politica economica di investimenti, sia pubblici che privati, unica leva su cui è possibile agire per creare nuovi e stabili posti di lavoro.

Dal reddito di cittadinanza ai “ristori”… il meccanismo non funziona più o, quanto meno, è destinato a non reggere davanti a questa forza d'urto…
Nel breve periodo non si può non aiutare chi perde il lavoro o si ritrova con un’attività commerciale chiusa da un giorno all’altro. È giusto. Ma sul medio-lungo periodo la ripresa non può essere trainata se non da investimenti. I tre obiettivi del Recovery Fund sono chiari in questo e indicano già una strategia: economia sostenibile, transizione al digitale e lotta alla povertà. Ma per raggiungere questi obiettivi, come dicevo prima, servono investimenti strutturali.

In questi anni c’è stata una visione degli investimenti molto ideologica…
​Gli investimenti, invece, sono la chiave di volta. Certo, se si teorizza la decrescita felice, l’esito non può essere altro che una totale mancanza di idee e di iniziative di sviluppo. Per affrontare le sfide del nostro tempo serve dunque un cambiamento di mentalità radicale che passi da una ripresa del gusto di costruire per sé e per chi ci sta intorno.

Draghi incarna questo cambiamento?
Draghi è un punto di riferimento da anni per tutti gli europeisti da quando ha salvato l’euro come presidente della BCE. Ebbi l’onore di presentarlo al Meeting di Rimini quando ancora era Governatore della Banca d’Italia. È un leader riconosciuto a livello internazionale che ha un’idea ben precisa dello sviluppo, come ha ripetuto l’anno scorso di nuovo a Rimini dove ha sottolineato la distinzione sostanziale fra debito buono e debito cattivo, dando una priorità cruciale al capitale umano. Per questa ragione ritengo che sia la persona giusta al momento giusto.

Chi pensa di non appoggiare Draghi o, peggio, crede di affossarlo si dovrà assumere la responsabilità di mandare alle elezioni un Paese che in questo momento per ragioni sanitarie, economiche e sociali non può permettersi di fermarsi

Giorgio Vittadini

Eppure suscita ancora molte perplessità il suo nome…
È un fatto grave. L’esitazione di fronte al suo nome mostra la natura del problema: il livello di anti-politica cresciuta nel Paese. Sembrerebbe paradossale perché Draghi non l’ha votato nessuno, eppure rappresenta in questo momento l’unica possibilità per mettere insieme le forze politiche perché lavorino per lo scopo che hanno: affrontare i gravi problemi del Paese. Chi pensa di non appoggiare Draghi o, peggio, crede di affossarlo si dovrà assumere la responsabilità di mandare alle elezioni un Paese che in questo momento per ragioni sanitarie, economiche e sociali non può permettersi di fermarsi.

Si parla, quasi per sminuirlo, di un futuro governo tecnico e non politico retto da un “tecnocrate” dell'alta finanza…
Chi parla così non ha capito nulla né della situazione, né della statura di Mario Draghi. Draghi non è solo un tecnico, ha studiato con Federico Caffè e Franco Modigliani, ha dunque una visione internazionale, globale dell’economia, in cui l’Italia può tornare ad avere un ruolo da protagonista, soprattutto per le qualità e l’iniziativa della sua gente. Tanto è vero che è centrale nel pensiero di Draghi il tema dell’educazione, della conoscenza e del lavoro. Draghi è un leader moderno e chi lo qualifica come un “tecnocrate” mostra il proprio risentimento verso la sua grande competenza.

Nella complessità che stiamo vivendo al Paese serve una leadership capace di attivare le forze più vive del Paese, società civile in primis…
Sottolineando la centralità di conoscenza e competenza, Draghi si propone come il promotore di una società costruita “dal basso”, risveglio di una società civile che si attiva in corpi intermedi. Una visione che viene da lontano – dalla scuola di Chicago degli anni Sessanta, dal Premio Nobel Gary Becker in poi – e pone l’istruzione e l’educazione al centro del processo di crescita sociale. Educazione, istruzione e corpi intermedi significano il superamento dell’individualismo perchè implicano apertura alla conoscenza, ai rapporti, alla solidarietà.

Sono d’accordo su questo nome e mi auspico che riceverà il massimo consenso dal Parlamento.

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