Socialità

Vite al centro commerciale: per noi anziani è diventato il posto migliore per passare il tempo

Ogni mattina, Gianfranco, Giuliano, Livio e Virginia si ritrovano al bar del centro commerciale di Porta Trento a Padova, insieme ad altri anziani del quartiere. Nella zona non c'è altro: i bar hanno chiuso, non ci sono centri anziani e i patronati parrocchiali sono ormai concentrati principalmente sulle attività sportive per i ragazzi

di Rossana Certini

Alle 9.30 del mattino, il centro commerciale di Porta Trento a Padova si risveglia lentamente. Le porte scorrevoli, che dal parcheggio portano nell’atrio con i locali commerciali, si aprono con un sibilo appena accennato. La luce bianca delle lampade a soffitto inonda l’ampio spazio e si riflette sulle grandi piastrelle chiare del pavimento. Il via-vai frenato dei clienti è ancora lontano, e tutto sembra sospeso.

A sinistra dell’ingresso il bar, cuore pulsante di ogni mattina. Il profumo del caffè appena fatto pervade l’aria, mescolandosi con quello dei cornetti caldi. In questo bar giorno dopo giorno si assiste a una piccola e silenziosa routine che porta gli anziani del quartiere, e non solo, a ritrovarsi per sfogliare insieme i giornali, scambiare due parole sui temi politici, ricordare i tempi che furono e sognare, ciascuno a modo suo, la vita che avrebbero voluto vivere.

In uno dei tavoli ci sono Gianfranco, Giuliano, Livio e Virginia.
«Vedi, è comodo qui», spiega Livio, un uomo dal volto segnato dal tempo ma ancora con una voglia di sorridere che si fa fatica a dimenticare, «almeno c’è il giornale, e poi in zona non c’è nessun altro posto dove possiamo andare, qui si trova un po’ di compagnia. Caldo d’inverno e fresco d’estate».

Il centro commerciale, che di solito è un luogo di frenesia, di giovani che corrono tra negozi e vetrine, diventa per loro un rifugio, un angolo dove il tempo rallenta. Non c’è più il negozio sotto casa, il bar del quartiere che li accoglieva, e così, giorno dopo giorno, si sono spostati qui alla ricerca di un angolo che li faccia sentire meno soli.

Gianfranco e i bar di una volta

Gianfranco – 87 anni portati come se fossero 70, cinque nipoti ormai grandi e una moglie, sposata 56 anni fa, che alle 11.30 lo chiama al telefono per dirgli che il pranzo è quasi pronto e può tornare a casa – racconta, indicando con il dito la strada che si intravede oltre le vetrate del bar: «prima, andavo sempre al bar sotto casa, lì c’era anche il campo da bocce e il biliardo», spiega abbassando lo sguardo sulla pagina di giornale che sta leggendo, «poi hanno cambiato la viabilità della strada, hanno aperto il sottopasso, e quel bar, come tanti altri della zona, è scomparso. Così sono venuto qui, al supermercato. Non è la stessa cosa, ma almeno ci sono gli amici». Gianfranco, una vita passata a lavorare negli uffici delle ferrovie, racconta come la sua città è cambiata: una viabilità che ha tolto il flusso di clienti a una strada, centri di aggregazione che si sono chiusi e bar che hanno definitivamente abbassato le saracinesche.


Giuliano e la solitudine dei quartieri

Vedovo da più di dieci anni, Giuliano, 85 anni compiuti da poco, arriva al centro commerciale con la sua sedia a motore elettrico, una sorta di scooter a quattro ruote con una comoda seduta imbottita e un manubrio che gli permette di frenare e regolare la velocità. Racconta come la sua quotidianità si sia ridotta a brevi passeggiate nel quartiere dove abita, poco lontano dal centro commerciale. «In zona non c’è un posto dove andare», spiega, «i centri per anziani sono lontani, e i patronati sono sempre più presi da attività per i bambini e dallo sport per i ragazzi», guarda il caffè che sorseggia con calma e prosegue, «gli anziani come me che fine fanno? I nipoti lavorano, nessuno ha tempo da passare di giorno con me e la solitudine non mi piace». Giuliano osserva il via-vai di chi entra ed esce dal supermercato. La sua voce è pacata e nei suoi occhi si intravede un velo di nostalgia per aver assistito a un cambiamento sociale senza poter far nulla per fermarlo.

Virginia, la custode del cimitero

Virginia è stata custode del cimitero per molti anni. Ora, dopo la pensione, passa le sue giornate con le amiche. «Un po’ di movimento, un po’ di chiacchiere», dice sorridendo, «certo tocca stare attenti qui al bar perché è facile che se ci distraiamo ci rubino la borsa. È capitato a tanti di noi». È una donna di pochi fronzoli, ma è sempre sorridente, ben curata con il suo rossetto rosso che le illumina il viso dalla carnagione chiara e ha una buona parola per tutti. «A me piace venire qui, stare con gli amici», dice con un sorriso di chi ha imparato a trovare gioia nelle piccole cose. La sua voce, sebbene bassa, ha una sincerità che mette a proprio agio chiunque la ascolti.

Livio e la memoria del lavoro

Livio, invece, è stato per anni autista dei mezzi pubblici. Ogni tanto, racconta ai suoi amici di come erano le cose quando lui guidava. «Prima era tutta un’altra storia. I mezzi non erano come adesso, erano più faticosi, ma c’era più rispetto, più cordialità», dice ripensando ai tempi passati. «Qui al bar ci ritroviamo tutti, anche se spesso vediamo che non è più come una volta. La gente non si ferma più a parlare come facevamo noi». La nostalgia di un tempo che sembra perduto è comune tra gli anziani di questa zona, ma non manca mai la voglia di ridere insieme delle piccole disavventure quotidiane.

Qui al bar ci ritroviamo tutti, anche se spesso vediamo che non è più come una volta. La gente non si ferma più a parlare come facevamo noi

Livio

Un “rituale” di socialità

Per questi anziani, il bar del supermercato è un angolo di normalità in un mondo che corre troppo veloce. Non è solo un luogo dove bere qualcosa, ma un posto dove condividere storie, dove l’incontro quotidiano diventa quasi un rito. «Ci incontriamo sempre allo stesso orario. O in questo centro commerciale dietro la chiesa o in quello poco più avanti vicino la rotatoria. Ognuno ha i suoi bar preferiti», spiega Gianfranco, «a volte ci offriamo il caffè a turno, oppure segniamo sul quaderno e lo paghiamo alla fine del mese, come ai vecchi tempi». La cordialità tra loro è palpabile, eppure nessuno di loro sembra voler chiedere troppo agli altri. Nessuna domanda personale. Nessun vincolo fuori dal bar del centro commerciale. Si arriva qui e ci si siede con chi c’è. Quando è ora di andare ci si saluta e ognuno per la sua strada. «Non diamo fastidio a nessuno, veniamo qui per passare il tempo», dice Livio con un sorriso che tradisce una lieve malinconia delle ore passate nel bar con il biliardo che ormai ha chiuso da tempo.

Il giornale come ponte tra passato e presente

Una delle piccole, ma significative differenze tra questi bar e quelli della città è la presenza dei giornali. «Nei bar di città non li trovi quasi più, qui invece puoi comprarli all’interno. Ce li passiamo a turno», dice Virginia, «senza il giornale, non è lo stesso!». Ogni mattina, uno di loro si occupa di prenderlo e, dopo una lettura condivisa, lo restituisce agli altri, oppure se lo porta a casa. È un piccolo gesto che racchiude un grande valore: la possibilità di restare connessi con il mondo che cambia, ma anche di raccontare e commentare ciò che accade.

Un cambiamento silenzioso

Questi luoghi, seppur moderni e spesso percepiti come disorientanti per le luci, i colori e la confusione, sono diventati un luogo di incontro per tanti anziani che hanno trovato qui un antidoto alla solitudine che li assale quando tornano a casa. Gianfranco, Giuliano, Livio e Virginia sono solo alcuni dei volti che ogni giorno popolano questi spazi, che con il tempo sono diventati un punto di riferimento imprescindibile. La vita dopo la pensione è fatta di piccole abitudini, di un caffè, di televisione e di passeggiate. Per questi uomini e donne, la ricerca di un posto dove essere in compagnia e condividere pensieri, non è solo un modo per passare il tempo, ma è anche un modo per sentire che, nonostante la solitudine, esiste ancora un filo che li tiene insieme. «A volte mi chiedo se abbiamo più bisogno di parlare o di ascoltare», riflette Giuliano, «Siamo qui per darci un po’ di vita, per ricordarci che, finché siamo insieme, non siamo mai davvero soli».

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