Bene, oggi il titolo di Vita Spa è stato ammesso alle negoziazioni sul segmento Aim di Borsa Italiana, sotto gli auspici benauguranti, per ogni tipo di provocazione, del dito medio di Cattelan.
In effetti, una provocazione più concreta al mondo della finanza e dei suoi flussi che nonostante una crisi lunga ormai 30 mesi pare non cambiare mai, era difficile da immaginare. Quotare una Società di piccole dimensioni come la nostra, nata dal basso come pubblic company di organizzazioni della società civile, e che per di più dichiara nel proprio statuto di non ditribuire dividendi, significava quotare “una cosa” mai vista prima, significava ammettere sul mercato dei capitali che si spostano da un capo all’altro del mondo con un click del computer per puri fini speculativi, qualcosa di assolutamente eccentrico con le logiche degli 20-30 anni! Eppure, oggi, Vita, come ha titolato Il Fatto quotidiano, “È entrata nel Palazzo di Nerone”, con le sue logiche di società partecipata, di pubblic company democratica, di editore della società civile e della sostenibilità. Un segno di come sia possibile uscire da logiche consolidate, comode anche se letali, possibile facendo un passo fuori dal proprio circolo autorefenziale, possibile al non profit che non si bei della propria presunta bontà, possibile alla finanza che voglia tornare a guardare all’economia reale e all’uomo che intraprende.
Già questa grande scommessa poteva bastare. Invece no, abbiamo voluto esagerare. Per una volta, una Società che si quota, cioè che mette sul mercato una fetta del suo valore, non lo fa per arricchire i vecchi azionisti ma per dotare di risorse la Società perchè sviluppi al meglio la sua mission e la sua strumentazione. I vecchi azionisti di Vita (tra loro 16 realtà non profit) hanno infatti firmato un patto di lock up che li impegna a non vendere per i prossimi 12-24 mesi, a sottolineare la compatezza dell’azionariato nel dare fiducia a una storia lunga già 16 anni.
Sorpresa finale di oggi 22 ottobre: alla fine del primo giorno di quotazione il titolo di Vita è quello che ha fatto la miglior performance sul mercato azionario italiano: + 22,3% alle 12, 15, poi sospensione per eccesso di rialzo. Cosa è successo? Semplice, il titolo è stato il più richiesto da numerosi piccoli investitori. Questa è la fame di vera Finanza etica, non più quella di qualche criterio negativo, ma quella che dice di una fame di positività e di storie reali.
Molti hanno capito la portata futurista (nel senso di dare propsettiva di futuro a un presente di depressine e di disgregazione). Per esempio due candidati sindaci di Milno: Giliano Pisapia («Oggi é stato compiuto un passo avanti verso la buona finanza. È una bellissima notizia») e Stefano Boeri («La qutazione di Vita? Una grande rivoluzione»). Così come le settimane scorse sono state illuminanti le parole di Marco Vitale e di Stefano Zamagni e il racconto di molti colleghi oggi:
La Reuters che ha titolato: “ Non Profit, matricola Vita non darà dividendo ma va a ruba”, o La Repubblica che a Vita dedica l’articolo “Il caso del giorno”, il Tg1 economia di ieri che ben ha illustrato l’operazione (vedere dal minuto 5).
Ora, non profit e finanza dovranno, dopo il nostro percorso e il primo giorno di quotazione, provare a farsi e a fare qualche domanda sul proprio futuro e sul futuro che vogliamo costruire. Speriamo che la nostra provocazione di successo serva a questo, ad innescare una discussione vera sulle forme di innovazione necessarie al cambiamento
Nel novembre scorso avevo scritto agli amici più intimi questo pensiero:
La strada del crescere e della spinta che abbiamo scelto, non è per un omaggio al Pil di via Marco d’Agrate o a qualsiasi tentazione di potenza, mi pare sia piuttosto iscritta nel bisogno che definisce il nostro dna: il bisogno di esercitare la nostra professione in maniera meno “costretta” di tanti nostri colleghi, il bisogno di raccontare la società italiana e non solo i suoi salotti, il bisogno di uno spazio di racconto libero che permetta l’espressione di giudizi meno “mondani” di quanto in genere accade, il bisogno di un luogo che aggreghi intelligenze libere e non banali. Sappiamo che tutto questo, la storia di questi 15 anni, per permanere ha bisogno di crescere e di irrobustirsi per resistere alle intemperie e alle nostre debolezze e sappiamo quanto è importante che ciò che ci è stato dato di fare vada oltre le nostre biografie e i nostri sforzi. Sappiamo, anche oggi, che perché questo accada bisogna che il nostro “tran tran”, se così si può chiamare, deve essere sconvolto, deve cambiare, e sappiamo che il livello della sfida insita nel nostro lavoro, si alzi. Non sono certo dei risultati nell’accettare questa sfida, ma sono certo che valga la pena provarci, che valga la pena di essere giocata affrontando le complessità che ne derivano. È importante, però, che questa convinzione sia non solo mia, ma di tutti noi, è importante che sia condivisa. Per riferirmi al testo che vi ho suggerito per e mail, potremmo dire, che ciò che importa è che sia il più possibile chiaro lo scopo di ciò che facciamo abbia almeno come riverbero questo pensiero: “Allora si richiarisce il nostro autentico scopo: non crescere in dimensione e potere, bensì che le vostre opere siano esempio di una diversità che la gente vede e da cui è colpita”.
Ecco, un gesto fuurista per ripartire.
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