Sostenibilità
Vita Focus: Biologico 2006
Agricoltura e alimentazione naturale: la situazione, le prospettive e le innovazioni. In anteprima l'approfondimento, in edicola con VITA Magazine da domani
di Redazione
Dopo tre anni di black out, si riaccende la luce sul biologico italiano. Troppo presto per parlare di boom, sostengono cauti gli operatori, ma i segnali di ripresa ci sono tutti. A cominciare dalla crescita dei consumi: sulle tavole degli italiani la spesa bio ammonta a 1,5 miliardi, in aumento del 6% rispetto al 2004. L?effetto traino del comparto, che impiega 2mila lavoratori, arriva però da carrelli della spesa oltre frontiera: in primis dagli aiuti Ue alle coltivazioni biologiche e poi dalla corsa vibrante dell?export. Una miscela positiva che ha portato un incremento dei produttori certificati del 21,7% (circa 44mila azienda) e l?estensione delle superfici agricole dell?11%, confermando l?Italia terzo paese al mondo per agricoltura bio, dietro solo a Stati Uniti e Brasile.
Nel dettaglio
Sul podio nazionale Puglia e Basilicata vantano una crescita a tre cifre, grazie alla spinta degli incentivi comunitari. Le imprese però diventano più piccole: la media aziendale infatti è scesa da 27 a 23,8 ettari. I principali orientamenti produttivi sono foraggi, pascoli, cereali, che costituiscono il 70% dei terreni coltivati. Poi olivi, viti, agrumi e frutta. E gli allevamenti di bovini da latte (220 mila capi), ovi-caprini (825mila), polli (977mila), suini (31mila), conigli (1.300), alveari di api (71mila).
L?identikit del consumatore resta comunque invariato. Secondo un?indagine Coldiretti-Ispo, chi acquista alimenti bio ha un tasso di istruzione elevato, buona disponibilità economica e una forte attenzione per temi sociali e ambientali. Proprio come 10 anni fa, il mercato del bio (circa il 2% sulla spesa totale in Italia) non esce dalla nicchia. Complice forse anche la débâcle della grande distribuzione organizzata made in Italy. Per la prima volta calano gli importatori, a dimostrazione che qualcosa non funziona sugli scaffali dei grandi supermercati.
Non si stupisce Andrea Ferrante, presidente di Aiab – Associazione italiana aziende biologiche, perché le reti dei supermercati «stanno sbagliando politica di comunicazione». E spiega: «Il bio è legato al territorio. È la faccia dell?agricoltore sulla confezione a rendere appetibile un alimento piuttosto che un altro. Invece l?uso smodato di prodotti a marchio proprio allontanano la gente dall?acquisto. Senza contare l?utilizzo di piattaforme che costringono i prodotti a lunghi giri. Così si perde il senso del biologico e i consumatori, inevitabilmente, penalizzano le vendite». Il 50% dei prodotti dell?agricoltura bio vengono acquistati al di fuori dei grandi canali distributivi: i luoghi d?elezione sono i mercatini rionali, i negozi, le mense scolastiche. Spiega Ferrante: «La Gdo è un canale per la diffusione del bio in Italia. Ma ora deve ripensare le sue strategie. Ad esempio bisognerebbe dare più spazio al fresco in corner specializzati, vendendo l?ortofrutta sfusa e non confezionata come d?abitudine».
Nuovi modelli per il futuro
Intanto c?è anche chi pensa a accorciare sempre di più la filiera. Oggi su 10 euro di spesa bio al supermercato, 5 ne vanno alla Gdo, 2 in servizi e solo 3 all?agricoltore. Malgrado lo sviluppo dei Gas, i Gruppi di acquisto solidale, la strada per diffondere forme alternative di distribuzione è ancora lunga. L?occasione potrebbe prestarsi già il prossimo anno: con il piano europeo 2007-2013 di interventi legati all?agricoltura biologica. «Ci auguriamo», continua Ferrante, «che il programma di aiuti non si traduca in incentivi a pioggia, che servono solo a brevi riconversioni temporanee. L?opportunità va in un?altra direzione: ovvero la promozione di consorzi e gruppi di cooperativa in grado di saper dialogare, e spuntare i prezzi, con i diversi canali distributivi».
Altra questione sul tappeto, che al Sana di Bologna, la fiera del naturale giunta alla diciottesima edizione, vede confrontarsi i partiti dei favorevoli e contrari, è quella del marchio biologico italiano. Ennesimo, e oneroso, bollino blu a garanzia del prodotto o scudo indispensabile contro i prodotti extra Ue? «La questione del marchio è centrale», dice Stefano Masini, responsabile per le politiche ambientali e del territorio di Coldiretti, «per tutelare consumatori e imprese dall?invasione di prodotti provenienti da paesi extra Ue, come dalla Nuova Zelanda o dall?India. Si tratta di mercati paralleli, di paesi con diversi cicli di controllo delle coltivazioni. Un biologico fuori stagione che viene da così lontano non ha alcun senso».
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