Barriere architettoniche

Whable, le persone con disabilità certificano l’accessibilità dei luoghi

Parte da Cagliari un progetto innovativo studiato da un imprenditore di 44 anni con sclerosi multipla, che utilizza una carrozzina. La app è stata sviluppata a Milano e offre una mappa geolocalizzata che viene alimentata dalle recensioni dei cittadini

di Luigi Alfonso

Un’applicazione gratuita pensata da una start-up cagliaritana per le persone con disabilità. Meglio: per indicare a queste persone quali luoghi sono realmente accessibili. Parte dal capoluogo sardo un’idea innovativa che è già disponibile per tutta l’Italia. Il lavoro di un gruppo di sviluppatori milanesi ha consentito sinora di caricare tutti i locali del settore ristorazione (ristoranti, pizzerie, paninoteche, bar) ma, preannuncia l’ideatore di Whable, Marco Altea, «presto caricheremo i dati relativi a monumenti, musei e altri luoghi di pubblico interesse, come teatri, cinema e persino le spiagge più frequentate. È un lavoro un po’ lungo, che sta coinvolgendo anche dei giovani social media manager».

Marco è un imprenditore di 44 anni. Ha conseguito a Londra una laurea in antropologia sociale ed economia dello sviluppo. Di recente ha fondato un’organizzazione di volontariato – Odv, con l’obiettivo di aiutare le persone con disabilità motoria e in sedie a rotelle, che desiderano andare in luoghi accessibili a tutti. Il nome Whable è una combinazione delle parole Wheels (in inglese significa ruote) e Able (capace, in grado di) che incarna perfettamente il cuore di questa idea. «Vogliamo metterli nelle condizioni di evitare disagi o pericoli per la loro incolumità», sottolinea Altea. «Spesso vengono spacciati per accessibili locali o ambienti che non lo sono concretamente. Insomma, non sempre le informazioni fornite corrispondono alla realtà. Ecco perché la “certificazione” viene data dai clienti con disabilità e non dai titolari o gestori dei locali. Un po’ come avviene da anni con quelle app che, attraverso i giudizi della clientela, conferiscono una sorta di bollino di qualità al cibo e ai servizi offerti dalle attività di ristorazione. Le recensioni sono attendibili, se raggiungono numeri importanti. La mappa geolocalizzata è di facile consultazione».

L’imprenditore cagliaritano Marco Altea

Marco spiega il motivo per cui è nata l’idea. «Nel 2009 mi hanno diagnosticato la sclerosi multipla remittente-recidivante, che successivamente si è trasformata in una forma progressiva secondaria. I sintomi, tuttavia, erano presenti dal 2000 ma non sono stati riconosciuti subito. Da tempo mi trovo costretto su una sedia a rotelle. Lavoro da casa ma talvolta la malattia mi fa avvertire una forte stanchezza. Quando esco con familiari o amici, mi imbatto di frequente nelle più banali barriere architettoniche che mi complicano la vita. E questo nonostante ci siano da anni leggi specifiche che vietano quel genere di ostacoli per le pubbliche attività. Così ho deciso di fare sensibilizzazione su questa materia attraverso i social media. Vorrei che ogni persona riuscisse a vivere la propria vita sociale con maggiore serenità. Inoltre, partecipo ad alcuni importanti acceleratori in ambito europeo e a progetti di respiro nazionale. Di recente sono stato invitato a Monaco di Baviera per presentare Whable all’interno dell’evento “Imprese sociali per l’Europa”. Una bella soddisfazione, considerato che siamo nati da poco. Il prossimo obiettivo è quello di conferire un bollino Whable a tutti i locali giudicati accessibili dai fruitori della app».

Marco Altea nella sede di Google, a Mountain View (California)

Per migliorare l’app e proseguire con il progetto, Altea ha lanciato una raccolta fondi sulla piattaforma GoFundMe. «Non importa la cifra, per me conta di più il sostegno della gente che crede in questa scommessa», dice l’imprenditore. «La mia malattia progredisce, ma lo stesso accade con la mia voglia di vivere. Perché la sclerosi multipla ti spegne lentamente. E io non mi arrendo, voglio godermi la vita sinché posso. Ma, allo stesso tempo, non devo necessariamente ricorrere all’aiuto degli amici per entrare in un locale. Il periodo degli studi universitari in Inghilterra mi ha cambiato la vita e mi ha fornito gli strumenti intellettuali e cognitivi per sviluppare una serie di iniziative a scopo sociale. Non solo: a Londra ho stretto amicizie e contatti in ambito internazionale che mi permettono di allargare l’orizzonte».

Altea combatte l’esclusione sociale. «Il solo fatto di sapere che in un ristorante non c’è un bagno realmente accessibile a chi sta su una carrozzina, mi fa passare la voglia di uscire. E, alla lunga, mi isola dagli amici. Non ci sto. E molte persone nelle mie condizioni la pensano come me e mi stanno aiutando ad andare avanti. C’è necessità del contributo di tutti per compiere un salto di qualità complessivo».

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