Cultura
Vazapp, la speranza in una terra che ha sete di futuro
Il foggiano Giuseppe Savino racconta la sua idea rivoluzionaria, bocciata da alcuni e promossa da tanti. Con la benedizione di don Michele De Paolis, un prete saggio che lo aveva spinto a costituire una comunità che crea occupazione, identità e relazioni sociali, attraverso i giovani. Un campo di 50mila tulipani è l'ultima scommessa
«Quando racconti un’idea rivoluzionaria, o forse semplicemente innovativa, può capitare di non essere presi sul serio. È risaputo: quelli che cambiano gli schemi, spesso fanno paura. Così, “vai a zappare” fu la risposta che ricevemmo e che noi invece trasformammo nella nostra grande opportunità». Giuseppe Savino, foggiano doc, spiega la scelta del nome Vazapp attribuito alla comunità di giovani professionisti, ricercatori, comunicatori e creativi che è impegnata nel settore agricolo e agroalimentare. Vazapp è una filosofia di vita, prima ancora che una comunità di professionisti o, meglio, una rete diffusa di saperi agricoli. Un luogo di incontro e di scambio di esperienze dal basso, nato per favorire la cooperazione e la diffusione di conoscenza tra gli agricoltori.
«I nostri pilastri sono: la passione per la terra e le persone, la condivisione di relazioni e conoscenze, l’innovazione in ambito agricolo e sociale», sottolinea Savino. «Grazie alla volontà di un prete straordinario, don Michele De Paolis, abbiamo costituito una comunità che crea occupazione, identità e relazioni sociali, valorizzando il territorio per mezzo dei giovani. Vazapp è il risultato dell’unione di due anime: l’associazione di promozione sociale “Terra Promessa” e la cooperativa “Terra Terra”, quest’ultima nata per offrire servizi per l’agricoltura, il turismo e i settori connessi. Attraverso la comunicazione, i progetti, le analisi, il networking e l’aggregazione, cerchiamo di reinterpretare l’agroalimentare e il nostro territorio svolgendo un ruolo di attivatore sociale. Oggi sono felice e fiero di essere contadino. Ma quando ero bambino, mi vergognavo di dire che questo era il lavoro che faceva mio padre».
Vazapp è una novità assoluta sia in ambito nazionale che internazionale: grazie ai suoi modelli di social innovation stimola la cooperazione e la creazione di flussi di conoscenza positivi. Inoltre, accompagna gli agricoltori in percorsi di crescita partendo dall’ascolto. «Mettiamo sempre al centro di tutto le persone e il loro lavoro, insieme ai bisogni e alla voglia di cambiamento», precisa Savino. «Abbiamo scelto di tornare alla terra, la nostra, ognuno con le proprie competenze: agricoltori, agronomi, architetti, ma anche esperti di comunicazione e docenti universitari. Uniti da una visione: trasformare la tradizione in innovazione sociale, tecnologica e produttiva. Noi definiamo tutto questo “filiera colta”, con un altro gioco di parole. Facilitiamo gli incontri e gli scambi tra agricoltori e professionisti per allargare il campo, nutrire la testa e far fruttare la terra».
I format varati da Vazapp sono numerosi e intriganti. Nella loro semplicità, stupiscono e attraggono. È il caso del Gala dei contadini, un’iniziativa che mette in relazione tra loro agricoltori e albergatori, ristoratori e chef di fama per condividere prodotti e storie. Come buona parte delle proposte di questa comunità aperta, nell’ultimo anno ha dovuto segnare il passo a causa delle restrizioni Covid: la speranza è di poter ripartire nelle prossime settimane, giusto in occasione della bella stagione. «Facciamo incontrare gli agricoltori con altri operatori economici, per dialogare e collaborare in modo diretto», ci racconta Savino. «Si tratta del primo evento di networking tra il mondo agricolo e il mondo del turismo, un confronto che arricchisce i partecipanti di nuove relazioni e crea nuove opportunità lavorative».
A cena con i tuoi, invece, è il primo format di scambio generazionale ideato per permettere a genitori e figli di confrontarsi sul futuro delle aziende. Il dialogo consente di superare le reciproche difficoltà. «In genere nascono idee molto fertili. Ma, più in generale, si genera comprensione. Per questo è fondamentale metterli attorno ad uno stesso tavolo, per far propria l’urgenza dell’innovazione che spesso è appannaggio delle nuove generazioni».
Meloday è un altro format di successo. Una giornata che celebra le antiche tradizioni e che di solito raggiunge due obbiettivi: dare valore a chi il cibo lo produce e accogliere gli amanti della terra. Dal connubio di natura, musica e teatro si esalta il frutto della fertilità, dell’allegria e dell’amore. «I contadini – commenta il presidente di Vazapp – imparano a creare nuove economie grazie alle relazioni. Gli alberi dei loro terreni sono il pretesto per far assaggiare i prodotti in campo, ma anche per raccontare le storie di chi li cura e avvicinare la città alla campagna. La gente apprezza questo genere di iniziative perché vuole riscoprire esperienze in buona parte dimenticate e mettere da parte per alcune ore o un’intera giornata lo stress e gli impegni di lavoro».
Geniale anche l’idea di Shakespeare ai contadini, organizzato in collaborazione con la compagnia teatrale Bottega degli Apocrifi: i contadini salgono sul palco prima dell’esibizione degli artisti (teatro e musica) e raccontano la loro storia mentre il pubblico gusta i loro prodotti. «È un format che evolve completamente il concetto di sagra», sintetizza Savino. «Con Shakespeare sostituiamo le persone alle masse. Nelle casette dello street food vanno gli chef che trasformano la materia prima in gustosi piatti, della tradizione o innovativi. Un modo nuovo per far coesistere agricoltura, cultura ed arte. Con Contadinner, invece, sono i contadini ad aprire le porte di casa per trasformare la convivialità del cibo in un attivatore di relazioni, facendo emergere storie di vita e di custodia dei territori. Dall’ascolto nasce e cresce un’azione collettiva dal basso che raccoglie i bisogni e le esigenze del mondo agricolo, in ambito aziendale o territoriale»
Con i suoi dati, Vazapp supporta i decisori politici. «Amiamo il nostro lavoro, ma anche il confronto e il dialogo. Soltanto in questo modo è possibile alimentare la fiducia reciproca e unire le forze, mettersi insieme per dare speranza a chi non vuole abbandonare la terra e a chi addirittura vede nella campagna una risorsa occupazionale e uno stile di vita differente. Così facendo è possibile generare benessere non solo per i singoli individui ma anche per le nostre comunità. Tutto parte da quella che io chiamo “Agricoltura della bellezza e delle relazioni”, un concetto nuovo che vuole introdurre un nuovo coefficiente (che soprattutto i piccoli agricoltori dovranno iniziare a considerare se vogliono restare nella terra e dire ai loro figli di non andarsene) da “produzione/ettaro” a “relazione/ettaro”. Nel primo caso, pur di produrre e vendere a pochi centesimi, a volte si rischia di sfruttare terra e persone; nel secondo caso non devi produrre per forza di più ma accogliere di più. Non più quanti quintali ho prodotto ad ettaro (e il prezzo lo fa qualcun altro) bensì quante relazioni ho creato grazie a quell’ettaro (il prezzo dei prodotti che vendi lo fai tu, non hai più intermediari), cioè: quante persone ho fatto felici grazie a quell’ettaro? Se coltivo bellezza, tante. L’agricoltore si prende cura delle piante ma prendendosi cura del Creato e quindi della bellezza, in realtà si sta prendendo cura anche delle persone. Vedere gli agricoltori come terapeuti della città, oggi è l’inizio di un nuovo futuro».
Tra le ultime e più riuscite iniziative, ce n’è una decisamente azzeccata: 50mila tulipani che fanno apparire la Puglia come un angolo dell’Olanda. «È stata una grande scommessa – ammette Savino – in quanto nessuno qui aveva mai fatto una cosa simile, in precedenza. La terra è molto fertile, però da noi l’acqua è un bene prezioso. Correvamo il rischio di fare flop. In molti hanno provato a scoraggiarmi, ma quando hai un sogno ci sono soltanto due possibilità: o ti lasci abbattere, oppure batti le mani alla possibilità di realizzarlo. È andata bene: lo scorso Natale, con l’Italia rinchiusa in casa per la pandemia, ho inviato gli auguri sui social proprio dal campo di tulipani, nel cuore del Tavoliere. Abbiamo atteso a lungo che il sogno si trasformasse in realtà. Ma attendere, diceva don Tonino Bello, è l’infinito del verbo amare». I primi tulipani sono stati raccolti dai ragazzi di Casa Sankara, una comunità di migranti che offre accoglienza, supporto e affiancamento nell’inserimento lavorativo e sociale agli stranieri nel tessuto italiano. E poi i clown-dottori di “Il cuore Foggia clownterapia”.
«Non mi vergogno nel dire che ho pianto quando lo scorso marzo, grazie al sostegno di più di 600 donatori che mi hanno supportato con il crowfunding sulla piattaforma Gofundme, ho consegnato i primi tulipani agli ospiti di ospedali, case di cura e RSA, perché ho percepito che in chi è felice si può scorgere una particella di Dio. Quello non è soltanto un campo di tulipani, bensì un campo della speranza in una terra che ha sete di futuro».
Credits: foto gentilmente concesse da Giuseppe Bruno, Alessandro Tricarico e Giuseppe Savino
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