Carcere

Un calendario per scandire il tempo della detenzione femminile

La forza dell'amore che appartiene alle donne, soprattutto quando sono madri, può fare in modo che il tempo sensibile si fondi con il tempo dell'anima. Ancor di più quando questa dimensione è vissuta all'interno di un carcere. Un'alchimia, che ha dato vita al calendario "In ogni tempo" che l'associazione "L'arte di crescere" ha realizzato e donato a 103 detenute della Casa circondariale Pagliarelli di Palermo

di Gilda Sciortino

Che il carcere sia un’esperienza unica non ci sono dubbi, ma speciale lo è anche con le dovute differenze date dall’essere uomo o donna. Quando, poi, quest’ultima è anche madre, l’essere reclusa dentro una cella, all’interno di una struttura di detenzione, non può essere compresa neanche se si possiede la più fervida immaginazione.

Il tempo delle donne dentro un carcere non è il tempo degli uomini, non è neanche il tempo che si trascorre laddove non ci sono sbarre e regole. È un  tempo contingentato, deciso, determinato da ritmi sui quali non si può discutere, che non possono essere motivo di contrattazione; un tempo che fa i conti con la vita passata e con un futuro tutto da costruire una volta varcata la soglia dell’istituto, dal momento in cui i cancelli si richiuderanno alle spalle di ognuna di loro.

E, quando quei giorni che scorrono con una lentezza che appartiene a un’altra dimensione, devono essere sfruttati per offrire una narrazione del tutto personale, ecco che può tornare utile uno strumento sul quale lasciare traccia della propria memoria.

Un calendario frutto della sinergia tra tante realtà può accompagnare il tempo delle donne che vivono l’esperienza della detenzione

Claudia Pilato, avvocato associazione “L’arte di crescere”

Quest’anno ci ha pensato l’associazione “L’arte di crescere”, il cui impegno è sempre stato in favore delle madri e, più in generale, delle donne, in qualunque condizione si trovino e vivano, accogliendo la richiesta delle 103 detenute della Casa circondariale Pagliarelli, che avevano espresso il desiderio di avere un calendario. Non uno per cella, ma uno per ognuna di loro.

Ecco, dunque, “In ogni tempo“, così s’intitola un calendario veramente speciale non solo perchè frutto dell’attenzione dedicata all’universo femminile dalle donne dell’associazione, convinte che il carcere sia una realtà dentro la società e che non vederlo, non capirlo, non chiedersi come e quanto la Costituzione venga garantita al suo interno, sia una ingiustizia anche verso se stessi. Ma anche perchè le immagini proposte dall’illustratrice, Chiara Buccheri, sono tutte di mammiferi, rappresentati con la dolcezza che solo chi sa usare colori e pennelli ha la capacità di rendere.

È, infatti, veramente bello che, ad accompagnare i mesi dell’anno, sia il racconto dei mesi di gestazione di 11 esemplari del mondo animale, il 12° è quello umano con tutte le caratteristiche della gravidanza di ogni donna, alla cui scelta ha contribuito l’etologo Silvano Riggio che, a proposito di cure amorevoli, ha voluto ricordato come “approfondire l’etologia possa essere utile per trovare spiegazioni dei comportamenti umani”.

Un calendario che racconta la dolce maternità del mondo animale

Una narrazione per immagini accompagnata dalle didascalie che ci aiutano a essere ancora di più empatici scoprendo che, prima di partorire una sola elefantina di circa 100 chili, mamma Elefante deve affrontare una gravidanza di 22 mesi, passando ai soli 30 giorni di gestazione del Koala, trascorsi i quali darà alla luce una cucciola di qualche grammo che entrerà immediatamente nel marsupio della mamma. Che dire, poi, della poco nota Bradipa che, dopo una gravidanza di 140 giorni, partorirà a testa in giù una cucciola di circa 500 grammi. Per non parlare dell’orsa polare, della foca, della tigre e di tanti altri mammiferi, mondi poco noti ai più, a meno che non si abbia la passione per sondare e conoscere l’universo animale, andando oltre la mera scansione di dodici mesi dell’anno.

«Abbiamo voluto declinare tutto al femminile», spiega Claudia Pilato, avvocata e socia dell’associazione, «perché riteniamo che sia utile interrogarsi anche sull’aspetto del linguaggio, che vuole essere assolutamente inclusivo e non escludente. Ovviamente abbiamo incontrato anche un po’ di ostacoli e di polemiche rispetto al fatto che qualcuno ritiene che, dal punto di vista grammaticale, il femminile non possa essere sovraesteso, mentre per anni il maschile lo è stato e continua a esserlo. È chiaro che si tratta di contestazioni che lasciano il tempo che trovano. Per noi è importante che quest’anno il tempo in carcere sarà scadenzato anche dalla presenza del nostro calendario donato ad ogni detenuta, 103 donne delle quali ci siamo fatte carico con questo piccolo dono quale comunità».

Un lavoro inclusivo anche dal punto di vista delle relazioni, come quella con la “sartoria sociale”, partner del progetto che si è avvalso anche del contributo della Regione Sicilia, per accompagnare tutti i suoi sostenitori, ma anche e soprattutto le donne che vivono una condizione di libertà limitata.

«Noi siamo un’impresa sociale e facciamo inclusione socio-lavorativa per persone che vivono dei disvantaggi», racconta Roberta Autolitano, assistente sociale, socia della sartoria sociale, progetto della cooperativa “Al Revès”, «quindi per scelta lavoriamo con tutti, per esempio con le persone con un background migratorio e chi ruota nell’ambito della salute mentale. Con il Pagliarelli collaboriamo da diversi anni, ma soprattutto negli ultimi quattro anni circa abbiamo cercato di rafforzare la nostra collaborazione, dando continuità a un laboratorio nella sezione femminile. Nella nostra sede di Palermo accogliamo ciclicamente almeno una decina di donne, con le quali facciamo un percorso di acquisizione di competenze. Un lavoro anche relazionale che si integra con quello che svolgono gli operatori, cercando di sensibilizzare abbattendo anche il pregiudizio rispetto alle persone che vivono in situazioni carcerarie ma che sono anche in carico all’autorità, quindi con misure alternative. Siamo felici di collaborare con l’associazione “L’arte di crescere” e promettiamo che integreremo con calendari anche per la sezione maschile».

A sottolineare che molto spesso si dimentica che la pena detentiva deve essere rieducativa è Monica Longo, vicepresidente del comitato Pari Opportunità dell’ Ordine degli avvocati di Palermo, uno dei pezzi di questo percorso pieno di sinergia.

«Quello che diventa un dato drammatico», afferma Longo, «lo registro nel momento in cui vado a fare gli incontri sulla legalità nelle scuole. Parlo con ragazzi che non hanno alcuna idea di ciò che è realmente il nostro sistema penale. Per loro si dovrebbero buttare le chiavi, avere un atteggiamento molto duro, senza parlare di quello che è realmente l’entità del carcere. Quando una volta ho fatto vedere a dei ragazzi un video realizzato dall’associazione “Antigone”, è calato il gelo al punto tale che due delle ragazze che erano presenti mi hanno detto: “Una chiave di lettura che nessuno ci aveva offerto”. Illuminante da tanti punti di vista».

Non ci si riesce sempre, ma diventa prezioso il risultato che si ottiene quando un semplice calendario offre un’occasione per animare un dibattito sul senso della detenzione, sul perchè ci si ritrova dentro un carcere. Ecco anche perché l’emozione è stata visibile nel momento della consegna nelle mani di Simona Patelmo, delegata dalla direttrice dell’Istituto di pena palermitano, Maria Luisa Malato, che ha voluto raccontare con quanta dedizione e impegno lavora ogni giorno a fianco delle detenute. Donne che si portano dietro le sbarre, in ogni momento, la loro maternità, ma anche altre che non hanno figli, con le quali si sviluppa una sorellanza nella quale ci si può riconoscere come attiviste.

«Ho sempre lavorato per tantissimi anni solo con gli uomini e in un altro istituto. Quando sono arrivata al Pagliarelli, circa quattro anni fa, mi sono ritrovata a confrontarmi con una realtà del tutto diversa. Sin da subito è stata unesperienza di una complessità veramente incredibile», dice Patelmo «perché, è banale dirlo, noi donne siamo più complesse. Ma non è solo questo perché, quando si è madre, ci si porta dietro la propria maternità in qualunque momento e in qualunque giorno della detenzione. Un aspetto che non si riesce mai a superare. Mi è capitato di parlare con donne che, appena arrestate, hanno dovuto sospendere l’allattamento, assumere anche farmaci senza volerlo. Bisogna lasciare alle donne la libertà di scegliere, perché la nostra normativa, in presenza di bambini molto piccoli, prevede di fare altre scelte, per esempio di lasciare la mamma con il proprio bimbo, per lo meno per i primi tre anni. Tutto questo è vissuto con enorme dolore, sono traumi per superare i quali ci vuole tanto lavoro da parte di tutti, affiancati dagli psicologi che costituiscono un supporto veramente grande. Dobbiamo pensarci perché bisogna dare un senso a questo grande dolore che si vive ogni giorno».

vita a sud

Un calendario può fare la differenza? Può diventare lo strumento per consentire di raccontare il mondo del carcere attraverso lo sguardo delle donne? Certamente, se pensiamo anche a quelle con figli, madri per le quali il futuro del propri pargoli non dovrà mai avere il grigio colore di una cella, ma quello caleidoscopico dell’arcobaleno.

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