Economia
Semi di Vita, la sfida giovane di Valenzano
Una delle tante realtà positive di una Puglia che non si arrende e sta cambiando: una cooperativa di giovani che porta avanti un progetto innovativo di agricoltura sociale e rigenerazione urbana. Sorretta dalla popolazione della cittadina a pochi passi da Bari. Ventisei ettari da coltivare puntando sulla biodiversità
«Con il lavoro ridiamo dignità alla nostra terra». Angelo Santoro presenta così, con parole semplici ma dense di significato, il progetto innovativo di agricoltura sociale e rigenerazione urbana della cooperativa “Semi di Vita” che sta dando una nuova speranza al territorio di Valenzano, una cittadina a dieci chilometri da Bari. In uno dei più grandi beni confiscati alla mafia di tutta la regione Puglia (un lotto unico da 26 ettari), là dove un tempo si contavano migliaia di piante d’olivo, il paesaggio sta mutando di pari passo con la mentalità di una popolazione che è stanca di essere schiacciata da ritorsioni, violenze, soprusi e illegalità. Ancora una volta, l’esempio parte dai giovani.
“Semi di Vita” è nata dieci anni fa a Casamassima, un paese dell’entroterra barese. Si è partiti dando gambe a un progetto di inserimento lavorativo in ambito agricolo, dedicato a persone con svantaggio. Pochi mesi fa è arrivata una buona notizia che ha dato slancio alle attività programmate da tempo. «Nell’ottobre del 2020 – spiega il presidente della cooperativa – abbiamo vinto un finanziamento regionale sul welfare che ci consentirà di investire 300mila euro. È una sferzata importante sul progetto complessivo che richiede un investimento da un milione di euro nell’arco di 10 anni. D’altra parte, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ha predisposto un bando che non è adeguatamente tarato per la gestione di questi beni, che possono valere anche due o tre milioni di euro. La legge 109/96 è stata molto innovativa ma forse ciò che è stato fatto sino ad oggi non è sufficiente». Un problema che è emerso chiaramente anche nel corso della presentazione dell’instant book di Vita a Sud “Beni confiscati – 25 anni dopo, una sfida ancora da vincere”, che si è tenuta il 12 marzo scorso.
In questa proprietà la mafia avrebbe voluto costruire un campus universitario per 3.000 studenti, con 500 appartamenti. Negli anni Ottanta queste terre producevano le olive di qualità Lampante (l’olio che veniva utilizzato per le lampade, in quanto dotato di elevata acidità: era la produzione che caratterizzava questo territorio). C’erano undicimila alberi, in buona parte secolari; negli anni Novanta ne sono rimasti appena 500, a causa di una sciagurata e incontrollata eradicazione. «A breve scenderemo a 250», annuncia Santoro. «Non ci siamo mai persi d’animo e, giusto per iniziare a lavorare, siamo partiti con un ettaro coltivato a fave e un altro ettaro a melograni, grazie a 600 piante donate da Fortunale, una start up di Cassano delle Murge che ha fatto diverse operazioni di crowdfunding. Loro producono maglioni biologici: per ogni capo venduto, hanno permesso ai loro clienti di impiantare un albero che, non a caso, riporta il codice del maglione abbinato ad esso. Il titolare Ivan Aloisio non riusciva a trovare un’area sufficientemente grande dove impiantarli, sino a quando non hanno conosciuto noi. Questa operazione ha creato una straordinaria gara di solidarietà, condotta con grande trasparenza: ognuno ha potuto verificare di persona ciò che è stato fatto».
«Il primo dicembre 2019 il Comune ha iniziato a bonificare i terreni (sono state raccolte 620 tonnellate di rifiuti, soprattutto di origine edile). Per un anno siamo rimasti bloccati, ne abbiamo approfittato per contattare scout, parrocchie e associazioni di volontariato per raccontare le nostre attività. È stata l’occasione per fare una bella scoperta: c’era una grande voglia di riscatto da parte dei valenzanesi. In coincidenza con il decimo anniversario dell’Operazione Domino (coordinata dalla Dda di Bari, ha stroncato una delle principali cosche mafiose pugliesi, ndr), ci siamo ritrovati in 350 persone: tutte desiderose di mettere a dimora un alberello da riforestazione. Le piantine non erano sufficienti, ne avevamo 300, ma l’entusiasmo è stato contagioso. Lì abbiamo capito che Valenzano si era accorta di avere bisogno di un’occasione di sviluppo. Sino a quel momento era stato un paese sequestrato dalla mafia, non a caso nel 2017 c’era stato lo scioglimento del Comune. Oggi una cospicua parte della popolazione desidera, anzi, pretende di vivere senza l’etichetta di paese in mano alla mafia. Certo, ci sono resistenze di una parte della popolazione che ancora non ci conosce. Ma noi, anche grazie al bando regionale, faremo il possibile per far rifiorire questa proprietà».
“Semi di Vita” guarda alle enormi opportunità che offre il territorio per trovare linfa vitale ed energia. «Da queste parti non mancano le eccellenze: ci sono una delle quattro sedi dell’Istituto Agronomico Mediterraneo (le altre stanno a Montpellier, Saragozza e Chania, in Grecia), un complesso dell’Università di Bari che comprende le Facoltà di Agraria e Veterinaria ma anche il Parco scientifico tecnologico “Tecnopolis”, il LIC (Laboratorio di ricerca e sperimentazione per la difesa delle coste). Ma il malaffare ha fatto parlare di Valenzano quasi sempre in senso negativo. Noi vogliamo fare qualcosa di pulito per voltare pagina, rigenerare un’area bellissima. E lo facciamo puntando sulla biodiversità, per tornare alle origini. Fare quello per cui un territorio è vocato e non per speculazione».
La cooperativa avrebbe potuto acquistare il bene con uno sforzo economico ragionevole, ma non l’ha fatto. «È stata una scelta ponderata. Poteva essere una soluzione ma non era “la” soluzione. Questo bene è della collettività, non è nostro. E la gente lo ha capito, ci aiuta per questo. Se diventasse una proprietà privata, cambierebbe tutto: non sarebbe più un lavoro sociale. Proseguiamo nello sforzo di rigenerazione culturale, che richiede tempo e pazienza. Con una visione di gestione ventennale, di medio e lungo respiro. Grazie al bando regionale costruiremo un pozzo artesiano e l’impianto idrico principale, realizzeremo 50 orti sociali, un pollaio da 1.400 galline, compreremo un trattore. Nel frattempo, abbiamo messo a dimora sette ettari coltivati a legumi: stiamo rilanciando la cicerchia, che da queste parti era scomparsa. E, da quest'anno, conferiremo alla cooperativa "Pietra di scarto" di Cerignola buona parte dei nostri pomodori, nell'ambito del progetto Pomovero. Infine, al carcere minorile di Bari abbiamo avviato un laboratorio per il confezionamento di questi prodotti, che stiamo immettendo sul mercato anche con l’e-commerce sul nostro sito. Le idee non ci mancano». La voglia di fare, neppure.
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