Sanità pubblica
Sardegna, si va verso una class action per i ritardi delle pratiche per invalidi e persone con disabilità
L'Anmic lancia l'allarme: in Sardegna migliaia di pratiche inevase perché sono state bloccate le visite mediche di pomeriggio. Tutto nasce dal pronunciamento della Corte di Cassazione per un contenzioso partito da una Asl della Calabria. Al momento l'Isola è l'unica regione ad aver fatto una delibera che pone dei paletti negli orari delle Commissioni
La sanità in Sardegna da qualche anno funziona male, ma non sempre è un problema legato alla carenza (reale) di personale. A volte ci si mette di mezzo la burocrazia. In questo caso, non parliamo di lentezza da parte degli uffici amministrativi bensì di un provvedimento che ha paralizzato buona parte del lavoro compiuto dalle Commissioni mediche istituite nelle Asl della Sardegna, riferite alle attività che riguardano le persone con disabilità e gli invalidi. La Regione Sardegna, con delibera n. 28/8 del 24 agosto 2023, ha posto alcuni paletti vincolanti in merito alle prestazioni dei medici. La Giunta regionale si è rifatta, in sostanza, alla sentenza della sezione Lavoro della Corte di Cassazione n. 28150 del 5 novembre 2018, in relazione a un contenzioso che si era generato in seguito al ricorso di un dipendente di una Azienda sanitaria calabrese. La Corte ha espressamente sancito che «l’attività che il componente della Commissione è chiamato a svolgere non esula dal rapporto di impiego, trattandosi di un incarico conferito proprio in ragione dell’ufficio ricoperto, sicché se per il dirigente medico il diritto ad un compenso ulteriore va escluso per il principio dell’onnicomprensività della retribuzione fissato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 (in tale senso Cass. n. 8261/2017 cit.), per il personale non dirigenziale opera la regola generale desumibile dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2 e 45, secondo cui il trattamento economico fondamentale ed accessorio del dipendente pubblico è solo quello stabilito dalla contrattazione collettiva ed è inibito al datore di lavoro pubblico riconoscere emolumenti ulteriori che non trovino la loro fonte nella disciplina contrattuale». In poche parole, i medici devono svolgere tale funzione in orario di servizio e “accontentarsi” dello stipendio.
«Questo ha comportato un brusco rallentamento nell’esame delle pratiche», spiega l’avvocato Teodoro Rodin, consigliere nazionale dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi civili – Anmic e presidente della sezione di Cagliari. «Dallo scorso agosto hanno esaminato un terzo delle domande. Faccio l’esempio del Sud Sardegna: un tempo venivano licenziate 1.500-1.800 pratiche al mese, oggi appena 500-600. Nel resto dell’Isola la tendenza è identica, dunque i numeri raddoppiano. E dietro questi ritardi ci sono storie di sofferenza, dolore, difficoltà economiche. Ora i dirigenti delle Asl, dopo l’approvazione di questa delibera, non si assumono il rischio di dover pagare di tasca propria cifre importanti, nel caso la Corte dei Conti rilevi qualcosa che non va. Il problema è serio, anche perché in Sardegna la maggior parte dei medici che compongono queste Commissioni lavora in ambito ospedaliero. Mi spiegate come possono svolgere la funzione di esaminatori se di mattina sono impegnati in corsia? Prima le Commissioni lavoravano prevalentemente di pomeriggio, oggi non più».
Si è creato un vulnus che soltanto la stessa Giunta regionale può risolvere, con un provvedimento correttivo. E va fatto in tempi brevi, visto che l’Isola andrà al voto per il rinnovo del Consiglio il prossimo 25 febbraio. Nella delibera dello scorso agosto, si legge che «l’attività delle Commissioni mediche deve essere prioritariamente svolta durante l’orario di lavoro e non può, in tale caso, essere oggetto di remunerazione». Ma, subito dopo, si precisa pure che «se l’impossibilità di svolgere l’attività durante l’orario di lavoro determina il generarsi di liste d’attesa, al fine di garantire il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, le Commissioni mediche potranno essere oggetto di appositi progetti e remunerate con i gettoni di cui alla L.R. n. 6/1992 e s.m.i.; tale soluzione riveste peraltro carattere di economicità, dal momento che la remunerazione del gettone è riferita all’intera giornata a differenza delle prestazioni aggiuntive che sono retribuite per ciascuna ora di lavoro svolto. L’impossibilità di svolgere l’attività durante l’orario di lavoro dovrà essere certificata dall’Azienda previo svolgimento di un’attività ricognitiva che permetta di definire periodicamente il carico lavorativo delle Commissioni e l’eventuale impossibilità di svolgere l’attività durante l’orario di lavoro».
«C’è questa scappatoia, ma nessun dirigente si vuole assumere la responsabilità di certificare la necessità del lavoro fuori dall’orario di servizio, perché ciò comporterebbe il pagamento di un gettone di presenza: 100 euro a seduta più 20 euro per ciascun paziente», commenta l’avvocato Rodin. «Comprendo la loro posizione. Ma qui non si pensa a quanti devono avere il verbale della Asl se vogliono accedere alle prestazioni assistenziali. L’indennità di accompagnamento, la pensione di invalidità civile o l’assegno mensile di frequenza per i minori, passano da lì: non si può aggirare l’ostacolo. C’è un termine di legge fissato in 30 giorni solo per i pazienti oncologici: i casi urgenti sono questi, e infatti le Commissioni rispettano i tempi. Negli altri casi, che a volte sono persino più gravi, non ci sono limiti. Così si accumulano i ritardi. Sembra di essere tornati agli anni ’90, quando tale competenza passò dal ministero del Tesoro alle Asl territoriali. L’arretrato di duemila pratiche al mese, in Sardegna, ce l’ha chi ha voluto scaricare la propria responsabilità attraverso la delibera regionale».
Da profani si potrebbe pensare a una richiesta di pronunciamento alla Corte dei Conti per chiarire come ci si deve muovere. «In verità, la Corte dei Conti ha due funzioni: una giurisdizionale, alla quale si accede con un contenzioso; l’altra funzione è di mero controllo sugli atti della pubblica amministrazione. Nel nostro caso, non siamo in presenza di un contradditorio tra le due parti. Perciò, per sbloccare la situazione, ci sono due soluzioni: o la Regione trova una differente modalità per consentire alle Commissioni di lavorare anche in orario pomeridiano, oppure ci vedremo costretti a intentare una class action, rivolgendoci al Tribunale per il pronunciamento. Occorre un atto amministrativo da parte della Regione, se vogliono evitare di finire di fronte a un giudice. Del caso sardo si sta occupando anche il presidente Nazaro Pagano, presidente nazionale dell’Anmic e della Federazione tra le Associazioni nazionali delle persone con disabilità – Fand: ha preso a cuore la vicenda, speriamo riesca a darci una mano per sbloccarla».
Rodin conosce bene la situazione nazionale. «La Sardegna, al momento, è l’unica Regione che è stata così zelante da correre al riparo dopo la sentenza della Corte di Cassazione in merito al caso calabrese. Ciò è avvenuto dopo la segnalazione dei revisori dei conti delle Asl sarde». Che, va detto, stranamente si sono accorti di quella sentenza con alcuni anni di ritardo.
Per l’avvocato Rodin ci sono anche altri aspetti non trascurabili. «Intanto, il problema della sanità pubblica in Sardegna è sotto gli occhi di tutti e non riguarda soltanto le disabilità. Che restano comunque un settore complesso e meritano un differente approccio e maggiore sensibilità da parte della politica, nazionale e locale. Nel nostro caso, hanno scelto una strada impraticabile. Tutto nasce dalla carenza di medici. E questo aspetto salterà fuori se, come ha annunciato di recente il ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, le Commissioni di valutazione entro due anni passeranno all’Inps: questo istituto, infatti, non ha medici sufficienti per farsi carico di questa funzione. Sono cose che ho fatto notare al ministro quando, alcune settimane fa, è arrivata a Cagliari su invito dell’Abc Sardegna: ho detto che occorrono 1.200 medici, e temo che due anni non saranno sufficienti per far fronte al mega concorso con i tempi di conseguimento delle prossime lauree in Medicina. Attendo di leggere i decreti attuativi della legge delega per la disabilità, che saranno pubblicati nei prossimi giorni. Anche l’Anmic ha lavorato alla stesura in piena collaborazione con il ministero».
«A volte le leggi ci sono ma non vengono rispettate», fa notare ancora Rodin. «Faccio l’esempio delle visite di revisione di una persona con una disabilità grave e stabilizzata: c’è un provvedimento di legge che precisa che, in questi casi, non esiste l’obbligo della revisione. Eppure, continuano a tormentare questi cittadini. Viceversa, hanno introdotto una serie di incombenze per le realtà del Terzo settore, che stanno allontanando molti volontari. Non a caso, ci sono enormi difficoltà nel ricambio generazionale anche nelle cariche presidenziali: in pochi vogliono assumersi certe responsabilità. È il motivo per cui, in molte regioni, la carica passa di padre in figlio o comunque a un familiare. Non è nepotismo, mi creda. Ma la gente non sa come fare per una pratica o per risolvere un problema, ecco a cosa servono le associazioni».
Credits: foto d’apertura di Annie Spratt su Unsplash
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