Sociosanitario

Sardegna al collasso: c’è il lavoro ma non si trovano educatori e infermieri

Le cooperative sociali non riescono a reperire alcune figure professionali chiave: parliamo di centinaia di posti di lavoro in tutta l'Isola. La Regione chiamata ad arginare il caos degli ultimi anni

di Luigi Alfonso

infermiera carica una flebo

Cercasi disperatamente personale. Il 60% delle cooperative sociali sarde ha urgente bisogno di assumere infermieri. E un 45% circa, invece, lamenta la carenza di educatori (sia per i minori che per gli anziani) da reperire nel mercato del lavoro. I medici sono pochi anche nelle strutture ospedaliere, mentre gli Oss abbondano dopo le sfornate degli ultimi anni. «Il fatto è che le nostre Rsa e comunità residenziali si reggono prevalentemente sulle prime due figure, dunque rischiamo la paralisi delle attività: parliamo di diverse centinaia di posti di lavoro in tutto il territorio regionale», spiega Antonello Pili, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative Sardegna.

I rappresentanti delle principali centrali cooperative hanno risposto presente alla convocazione della Consulta regionale per i servizi sociali, sociosanitari e sanitari, alla quale hanno partecipato anche l’assessore della Sanità e delle politiche sociali, Armando Bartolazzi, numerosi dirigenti e funzionari della Regione Sardegna, i rappresentanti delle organizzazioni sindacali e degli Ordini professionali (medici, psicologi, tecnici sanitari, di radiologia medica e delle professioni sanitarie, mediche della riabilitazione e della prevenzione).

«Siamo moderatamente soddisfatti dell’esito dell’incontro», è il commento pressoché univoco dei presidenti regionali di Agci, Federsolidarietà-Confcooperative e Legacoopsociali. La prudenza non è mai troppa e, dopo anni di sanità allo sfascio, si attendono risultati concreti prima di tirare un sospiro di sollievo. Le parole e le promesse non bastano più, tutto il settore sociosanitario è allo stremo. L’assessore Bartolazzi si è trovato tra le mani una situazione disastrosa ma, dopo alcuni mesi di comprensibile riorganizzazione degli uffici, i tempi sono maturi per passare all’azione.

«Abbiamo affrontato il problema della recente delibera regionale sull’Adi, l’assistenza domiciliare integrata», spiega ancora Pili. «Sia l’assessore che i suoi nuovi direttori generali hanno convenuto che la domiciliarità, nella norma nazionale, viene intesa come “abitazione” e non come temporaneo ricovero in una struttura protetta. Ci è stato assicurato che, entro un paio di settimane, verrà posto rimedio a questo errore di valutazione».

Giovanni Loi, presidente dell’Agci Sardegna

«Noi siamo disponibili al dialogo e al confronto costruttivo, senza barricate e preconcetti», è il preambolo di Giovanni Loi, presidente di Agci Sardegna. «Però siamo per le regole chiare e condivise. La Regione devi dirci qual è la sua idea di sanità e di sistema sociosanitario, sin dove arriva il pubblico e dove occorre l’intervento del privato sociale. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, a patto che si adeguino le tariffe: in alcuni settori sono ferme a undici anni fa. Non possiamo rimetterci ancora. Le buste paga vanno rispettate, se vogliamo offrire servizi di qualità agli utenti e allo stesso tempo conservare i posti di lavoro».

Questo è soltanto uno dei problemi più importanti che sono stati posti sul tavolo della Consulta. Perché è vero che bisogna assicurare gli stipendi ai lavoratori, ma occorre anche trovare le professionalità richieste dalle singole strutture. «Non possiamo di certo biasimare coloro che hanno risposto alla chiamata delle strutture ospedaliere pubbliche nel periodo di maggiore emergenza nazionale», è il commento del presidente Loi. «Ora, però, bisogna adeguare i tariffari per rendere nuovamente appetibile il lavoro svolto nelle strutture private, come Rsa e comunità».

Antonello Pili, presidente Federsolidarietà Sardegna

C’è poi un altro ostacolo. «Le università sfornano in gran numero educatori per la prima infanzia, ma c’è una forte carenza in tutti gli altri settori», sottolinea Pili. «Quello della formazione è un intervento di competenza statale, del ministero competente e non delle singole Regioni, e interessa un po’ tutta l’Italia. È un argomento di grandissima attualità, per forza di cose si dovrà trovare una soluzione se non si vuole paralizzare un settore nevralgico che riguarda diverse fragilità, come gli anziani, la salute mentale e i minori. Oggi come oggi, ci sono realtà importanti del Terzo settore che danno lavoro a numerosi psicologi che però svolgono funzioni educative: con l’istituzione del nuovo Albo professionale, dovrebbero lasciare il posto agli educatori. Che però al momento non si trovano. Che facciamo, diciamo ai pazienti di tornare a casa? Licenziamo decine di persone senza avere una prospettiva? Occorrono buon senso e una norma transitoria per governare il presente, prima di pensare al futuro».

Da più parti si chiede agli atenei sardi di rivedere la strategia del numero chiuso, sia per gli studenti in medicina che per i corsi riservati agli infermieri. «Ampliare l’accesso, almeno per un periodo di dieci anni, consentirebbe di dare risposte sia al settore pubblico che al privato», commenta Pili. «Alla luce della nuova riforma sanitaria, poi, occorrono figure specializzate come gli infermieri delle Case di comunità. Di questo si dovrà tenere conto, ben prima di aprire le nuove strutture».

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