Cagliari
Sant’Elia, dal degrado al rilancio: un quartiere di anziani che vuole dare speranza ai giovani
Oltre 100 milioni di euro per riqualificare una zona periferica del capoluogo sardo. Gli operatori del sociale chiedono di dare protagonismo ai residenti e di creare i luoghi di incontro. L'81,6% degli abitanti beneficia di un sostegno economico da parte del Comune

Un imponente progetto di riqualificazione urbana da oltre 100 milioni di euro, più altri interventi che coinvolgeranno i privati. Regione Sardegna e Comune di Cagliari mettono in campo fondi regionali, del Pnrr e del Pn Metro Plus, per cancellare una macchia che il capoluogo mostra da decenni. Il quartiere Sant’Elia si rifà il look, nella speranza di cambiare la sua nomea: di solito balza agli onori delle cronache locali più per i reati commessi (dallo spaccio di droghe alla detenzione illegale di armi) che per le belle iniziative promosse dal Terzo settore, dalla parrocchia o dalle associazioni sportive dilettantistiche.

La storia
Distante pochi chilometri dal centro città, inizialmente Sant’Elia si limitava al solo borgo dei pescatori costruito a cavallo tra l’Ottocento e la prima parte del Novecento tra le falesie e il lungomare a ridosso del promontorio della Sella del Diavolo. I pesanti bombardamenti americani del 1943, che distrussero buona parte del capoluogo sardo, costrinsero molte persone a cercare rifugio nel Lazzaretto, un edificio del 17esimo secolo che allora era in cattive condizioni. Ben presto emerse l’emergenza abitativa di quell’area, che nel 1950 indusse l’amministrazione comunale ad approntare un piano di edilizia residenziale pubblica nei terreni adiacenti. In quei palazzi confluirono centinaia di famiglie tra le meno abbienti della città, per complessive duemila persone. L’isolamento contribuì a far diventare il nuovo quartiere un ghetto, nel quale si è registrata una preoccupante concentrazione di pregiudicati e persone che hanno avuto poi a che fare con la criminalità organizzata. Col passare del tempo, la situazione è migliorata ma questa periferia urbana nell’immaginario collettivo resta legata a un’immagine negativa che è frutto anche di scelte politiche scellerate del passato: chi non voleva le famiglie disagiate nel centro di Cagliari, ha preferito concentrarle nel nuovo quartiere di Sant’Elia. Una scelta che si è rivelata fallimentare.

La radiografia del quartiere
Quello di Sant’Elia è il quartiere cagliaritano con il maggiore tasso di natalità. Ma c’è un paradosso: ci sono moltissimi anziani. I giovani vivono nelle case dei genitori nel 58,2% dei casi (dati Caritas), spesso per la mancanza di un lavoro fisso. Il 47,3% dei nuclei familiari è composto da due o tre persone al massimo. Il 52,8% dei residenti ha un’età compresa tra i 45 e i 64 anni. Il 19% è separato legalmente o divorziato. Bassa la scolarizzazione: il 21,4% ha la licenza elementare, il 55,7% la licenza media inferiore, l’1,5% è in possesso del diploma professionale, il 3,5% della licenza media superiore mentre appena lo 0,5% si è laureato. La casa di proprietà è appannaggio di appena due nuclei familiari su 100: il 61,7% risiede in immobili affittati da enti pubblici. Il 3% dei residenti dichiara un reddito di 1.000-1.500 euro mensili, ma il 26,9% non ha alcun reddito. Il 40,3% è senza lavoro o comunque in cerca di prima occupazione, il 13,9% fa la casalinga, il 20,4% è pensionato mentre l’1,5% risulta occupato con lavoro nero o irregolare. L’81,6% beneficia di un sostegno da parte dei servizi sociali del Comune. Al 31 dicembre 2024, il 51,3% dei residenti aveva percepito il reddito di cittadinanza e l’1,5% l’assegno di inclusione.

Il presente e il futuro
I tempi cambiano. Ora quella porzione di città fa gola agli speculatori edili: lo straordinario panorama del Golfo degli Angeli, in cui si specchia, è davvero tanta roba. Regione e Comune, dopo decenni di promesse non mantenute, hanno deciso di accelerare e puntare sulla manutenzione straordinaria degli edifici di proprietà di Area, l’Agenzia regionale per l’edilizia abitativa (in buona parte costituiscono il classico esempio delle aree urbane più degradate che ci sono in tutto il Paese), delle parti circostanti e il rifacimento dei sottoservizi (impianti fognari, idrici e di illuminazione). Piazze e spazi verdi attrezzati sorgeranno nelle aree del Favero e delle Lame, quelle che sono sempre state ostaggio della microcriminalità e dei teppisti da strada; in più, sarà completato il Parco degli Anelli. Il porticciolo per la piccola pesca, che alcune precedenti amministrazioni avrebbero voluto convertire in porto turistico, sarà finalmente riqualificato e resterà a disposizione dei pescatori, come è sempre stato. In più, arriverà la metropolitana leggera per collegare la centralissima via Roma a Sant’Elia. È previsto pure un ripascimento per far crescere le due piccole spiagge esistenti davanti al Lazzaretto e alla diga foranea. Saranno costruiti ex novo lo stadio e il palazzetto dello sport, mentre la Casa della salute sorgerà nell’ex asilo di proprietà comunale e del Centro di quartiere. La bellezza migliorerà la qualità della vita. Nel suo piccolo, sta dando un contributo il progetto “Custodi del bello”, che coinvolge un gruppo di residenti attraverso i fondi della Conferenza episcopale italiana e della Caritas diocesana.

Le reazioni
Il progetto riguardante Sant’Elia è stato presentato nei giorni scorsi durante un incontro pubblico molto partecipato. Il sindaco Massimo Zedda, la presidente della Regione Alessandra Todde, l’assessore regionale ai Lavori pubblici, Antonio Piu e l’assessora alla Salute e benessere delle cittadine e dei cittadini, Anna Puddu, hanno illustrato i dettagli. I primi lavori partiranno tra aprile e maggio.
Tutti soddisfatti, dunque? Sarà pur vero quanto ha sottolineato il primo cittadino («Un tempo si diceva che era necessario ricongiungere Sant’Elia alla città; cambia la prospettiva, ora sarà la città a voler frequentare questa sua parte bellissima»), ma occorrerà del tempo per vedere il quartiere modificato sostanzialmente.

«Si tratta di un progetto importante, non c’è alcun dubbio», è il commento di don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana, che per 12 anni è stato il parroco di Sant’Elia. Un prete sempre in prima linea, che aveva coinvolto i residenti in svariati progetti di inclusione sociale e iniziative contro la povertà educativa. «Ritengo, tuttavia, che tutti gli interventi debbano rendere protagonisti gli abitanti del quartiere. Se vengono realizzate strutturate come è avvenuto in passato per il Lazzaretto (diventato un centro culturale di grande valore, ndr), vanno affidate ai giovani del quartiere. Negli ultimi 15-20 anni c’è stato un importante investimento per il rifacimento del lungomare prospicente, ma tutto ciò che viene recuperato dev’essere affidato alle persone del posto, perché non finisca nel degrado. La parola d’ordine potrebbe essere “contratto di quartiere”, un patto tra la pubblica amministrazione e gli abitanti, in maniera tale che ci sia una corresponsabilità del territorio rispetto a tutte le opere che vengono portate avanti. Dev’essere una opportunità socioeconomica che consenta al quartiere di realizzarsi».

Padre Saverio Fabiano, da quattro anni, guida la parrocchia di Sant’Elia. Tra don Marco e lui, una quindicina di anni e ben quattro parroci: nessuno di loro è durato più di due anni, e questo la dice lunga sulla capacità di saper lavorare nelle periferie. Padre Saverio si sta facendo apprezzare per un paziente lavoro di ascolto e i progetti per bambini, giovani e anziani che lui conduce insieme a tre confratelli oblati benedettini. «Concordo con don Marco», commenta. «Mi pongo alcuni quesiti. Per esempio: quale tipologia di urbanistica vogliamo? Dove sono i luoghi di ritrovo per giovani e anziani, ma anche i negozi e altri servizi? Inoltre, è vero che qui la natalità è più alta rispetto agli altri quartieri di Cagliari, ma siamo sempre in un range demografico che non è quello degli anni Cinquanta. Quando vado per le case, vedo molti cani, pochi figli e sempre più persone anziane. Molti anziani, qui, hanno paura di uscire di casa perché qualcuno potrebbe entrarci abusivamente e occupargliela, come è capitato in diverse occasioni. L’isolamento porta alla fragilità e alla depressione, e poi ha ricadute anche sul sistema sanitario. La premessa di questo progetto di riqualificazione è buona, ci dà speranza, ma bisogna pensare anche ad altri interventi collaterali. Bisogna puntare sulla cultura: noi stiamo investendo molto sulla musica, sul teatro, sui laboratori di lettura. Non c’è una sola istituzione che muove il mondo, bensì una rete che va rafforzandosi giorno dopo giorno. Ci sono molti disoccupati, spero che cambi la mentalità di molti giovani: il lavoro, in astratto, non esiste; non si può restare fermi ad aspettare che ci capiti per caso, possibilmente nella pubblica amministrazione. Possiamo essere imprenditori di noi stessi ma dobbiamo crederci. L’emergenza tra le emergenze, a Sant’Elia, è comunque l’isolamento: in questo, sia Papa Francesco che l’arcivescovo Giuseppe Baturi stanno parlando molto di prossimità. Ecco perché sono fondamentali gli spazi d’incontro. La Chiesa, in questo senso, dev’essere meno tradizionalista».

«Non è semplice gestire questa parrocchia, le pressioni e le richieste sono tantissime e bisogna entrare in sintonia con la popolazione locale», spiega Daniela Piras, insegnante, componente del direttivo dell’oratorio Sant’Elia. Per dieci anni ha diretto brillantemente il Lazzaretto. «Don Saverio e gli altri oblati hanno preso del tempo per conoscere la gente del quartiere. Li chiamiamo Avengers, per noi sono quattro supereroi. Quello di Sant’Elia è un ambiente difficile, particolare, ma don Saverio ha una grande capacità di cogliere le sfumature, studiarle con attenzione e trovare le soluzioni. Danno fiducia ai loro collaboratori e puntano molto sulla formazione, che va oltre gli aspetti meramente religiosi. Si lavora sulle persone, non solo sulla povertà economica. Mettono a disposizione di tanti giovani dei soldi per consentire loro di partecipare a incontri con altri gruppi della penisola, in modo da confrontarsi e crescere. Opportunità che altrimenti non avrebbero avuto. Mancano certamente le risorse economiche ma anche la cultura del lavoro, del sacrificio, della resistenza alla fatica. Le nuove generazioni spesso mostrano la frustrazione della difficoltà nell’imparare e si arrendono ai primi ostacoli. Questo è un quartiere invecchiato che sta cercando una nuova identità, che negli ultimi decenni ha perso perché sono venute a mancare le persone che hanno combattuto per i diritti fondamentali di questa gente: per aprire una scuola, per avere un ambulatorio medico e una casa decente. Oltre agli Oblati, negli ultimi anni sono arrivate numerose associazioni di volontariato che hanno portato le loro esperienze. Si sta rafforzando una rete che sostiene i più bisognosi nei disagi quotidiani: i Padri Somaschi danno supporto scolastico agli adolescenti, la cooperativa sociale “La Carovana” ha istituito un presidio di quartiere per parlare di diritti con le donne; la Fondazione “Carlo Enrico Giulini” sta facendo tanta formazione, per esempio per i cuochi che poi trovano opportunità di lavoro. Ma non basta, serve un ulteriore sforzo da parte delle istituzioni. Noi non ci arrendiamo».
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