Salute pubblica
Sanità, i problemi della Sardegna tra politica e pubblica amministrazione
Un dibattito organizzato dal Forum Terzo settore regionale ha messo di fronte i rappresentanti delle strutture sociosanitarie, del privato e della cooperazione con i direttori generali della Regione. Pochi i politici presenti: il tema è scottante per chi è candidato alle elezioni del prossimo 25 febbraio
La sanità continua a tenere banco nel dibattito pubblico in Sardegna, e sarà uno dei temi centrali della campagna elettorale che il 25 febbraio sfocerà nell’elezione del nuovo presidente della Giunta regionale e il rinnovo del Consiglio. La politica sarda, nelle ultime due legislature, ha proposto altrettante riforme che hanno creato più criticità e malcontento che ricadute positive per i cittadini e i lavoratori di uno dei settori più fragili e indispensabili per la collettività. Ha certamente influito in maniera pesante la pandemia, ma la sensazione diffusa è che essa sia stata anche un comodo paravento per deviare molte prestazioni verso il privato.
È lodevole, pertanto, il tentativo del Forum Terzo settore Sardegna di tenere alta l’attenzione su queste tematiche. Di grande interesse è risultato il confronto proposto in questi giorni alla sede cagliaritana del Csv Sardegna, in merito a bisogni di salute, servizi territoriali, integrazione tra sociale e sanitario. Pochissimi i politici presenti, forse perché questo è un terreno minato. Numerosi invece gli operatori del settore, che si sono confrontati con i massimi esponenti della parte amministrativa pubblica, vale a dire i direttori generali dell’assessorato dell’Igiene e sanità e dell’assistenza sociale, che hanno fatto un quadro della situazione e risposto ai quesiti. I quattro candidati alla presidenza della Regione avranno modo di esporre i loro programmi nell’incontro che il Forum proporrà il 14 febbraio, a Cagliari.
La premessa ai lavori è stata fatta da Andrea Pianu, portavoce del Forum Terzo settore Sardegna. «Occorre un cambio culturale, non dobbiamo più essere i meri erogatori di servizi», ha esordito. «Puntiamo al miglioramento della qualità dei servizi e del lavoro, e questo in parte dipende dalla pubblica amministrazione».
«La Regione ha compiuto importanti passi avanti negli ultimi decenni», ha detto Francesca Piras, dg della Sanità. «La Sardegna è la regione italiana che spende di più per la medicina generale. Purtroppo, alcune progettualità sono rimaste bloccate in attesa della firma sul contratto integrativo da parte delle organizzazioni sindacali di categoria. Questa situazione sta decisamente penalizzando una parte importante dell’ultima riforma sanitaria. È vero però che si può sempre migliorare, magari con interventi legislativi migliorativi, per esempio sulle cronicità». Piras ha poi annunciato che l’Azienda regionale della Salute – Ares, «sta avviando i bandi per le nuove assunzioni degli assistenti sociali, ma anche definendo le “regole” per l’impiego di tali operatori nelle strutture di destinazione».
Questo è uno dei temi più scottanti, insieme alla carenza di medici, infermieri e Oss, e anche al varo delle nuove tariffe delle realtà che operano nel sociosanitario. Giovanni Deiana, dg delle Politiche sociali, ha ricordato che «è ancora fermo in Commissione sanità del Consiglio regionale il nuovo Piano per le politiche sociali. Confidiamo che la situazione si sblocchi in avvio della prossima legislatura (in Sardegna si va al voto il 25 febbraio, ndr). Abbiamo grosse carenze per il numero di assistenti sociali, nonostante la Sardegna sia tra le regioni più attrezzate sotto questo punto di vista. In generale, l’obiettivo del 2024 è quello di migliorare i bandi regionali per un utilizzo più razionale e immediato delle risorse finanziarie. Siamo a un buon punto sull’aggiornamento delle tariffe delle strutture accreditate, ovviamente occorrono le necessarie coperture economiche. Sulla non autosufficienza, ritengo che la legge regionale 162 e il programma “Ritornare a casa” siano interventi di grandissimo spessore ma non bastano: occorre semplificare i procedimenti e prevedere interventi triennali per garantire la dovuta continuità agli operatori».
Ora c’è la grande occasione del ciclo di programmazione 2021-2027. Sono disponibili 121 milioni di euro. «È una partita molto importante che richiede l’adeguamento delle strutture di gestione», ha detto Deiana.
Tra i temi più caldi c’è quello delle Case della comunità che, per Antonello Caria (Acli Sardegna, referente dell’associazione “Prima la comunità”), «non devono essere riproposizioni dei vecchi poliambulatori. C’è il termine del 2026 per la realizzazione delle nuove strutture o il riadattamento delle preesistenti, speriamo di costruire insieme un percorso virtuoso e coerente con le linee guida. Interessante la grande novità delle ostetriche di comunità, ma è auspicabile che le realtà del Terzo settore siano parte integrante di queste Case della comunità, nella logica della co-programmazione e della co-progettazione».
Non tutto è da buttare, ovviamente. In alcuni casi sarebbe sufficiente fare interventi migliorativi. È il caso della legge regionale n. 23/2005 sul sistema integrato dei servizi alla persona. «La terrei molto cara perché è sempre innovativa», ha detto senza preamboli Antonello Pili, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative Sardegna. «Non ci dobbiamo inventare niente, a differenza di molte altre regioni. C’è però un problema oggettivo che riguarda la carenza di medici non solo negli ospedali ma anche nelle strutture sociosanitarie, integrate e non. Questo andrà a incidere pesantemente anche sul fronte della medicina territoriale. Dobbiamo fare pure noi la riflessione che stanno facendo tutte le regioni, in merito al modello di Rsa del futuro: noi siamo all’avanguardia, sotto questo profilo, ma credo che occorrano strutture ancora più a misura d’uomo. La Regione Sardegna è stata lungimirante quando le strutture protette non c’erano, però oggi vanno ristrutturate e riorganizzate. E questo crea inevitabili problemi in termini di lavoro e personale. Sul fronte della salute mentale, invece, molte Unità di valutazione stanno inviando persone sofferenti in strutture non adeguate a quei casi, dove non sempre sono presenti educatori e infermieri».
«In alcuni ambiti manca il confronto, l’ascolto. Si è distanti dalla realtà», ha sottolineato invece Giovanna Grillo, presidente del Coordinamento delle comunità terapeutiche sarde. «Nelle nostre strutture ci sono tantissime persone in doppia diagnosi, per la cura delle quali nessuno paga il dovuto, pertanto restano interamente a carico nostro. Non siamo più in grado di sostenere questi costi. Faccio poi presente che, nonostante le nostre ripetute segnalazioni (126 Pec inviate alla Regione, rimaste inascoltate), attendiamo l’adeguamento delle tariffe: sono passati quasi 190 giorni da quando il Consiglio regionale si è pronunciato in merito, ma dagli uffici non arrivano fatti concreti. Va poi detto che, se abbiamo un servizio a media intensità, non possiamo prendere in carico un paziente ad alta intensità. Ma le Asl fingono di non capire e, se noi ci opponiamo, minacciano di sospendere il nostro accreditamento».
«La politica e le istituzioni regionali devono smetterla di considerare le politiche sociali come la cenerentola del settore», ha detto Francesco Agus, consigliere regionale uscente, tra i pochi a metterci la faccia. «La legge regionale n. 23 va difesa anche se ha una grande debolezza: in essa si parla di Province ma, nel frattempo, questi enti sono stati depotenziati. Si parla anche di Plus ma essi ricadono in territori gestiti da differenti enti. Va poi tenuto conto delle caratteristiche della Sardegna, e non solo dal punto di vista geografico: i nostri Comuni sono per lo più molto piccoli. Abbiamo perciò un doppio isolamento e una popolazione sempre più vecchia. Dobbiamo ripensare la sanità, a cominciare dalla scarsità di personale a tutti i livelli. Mi chiedo come mai l’Università di Cagliari non abbia ancora attivato un corso per assistenti sociali, contrariamente a quanto fa l’ateneo sassarese».
Riccardo Atzori, presidente della cooperativa Ctr di Cagliari, si è detto «preoccupato per i problemi di bilancio della pubblica amministrazione e per lo scenario dell’autonomia differenziata. Le risorse umane costituiscono un altro problema grave, e questo determina uno shock pesante per gli obiettivi del Pnrr. A me sembra utopistico che, nell’arco di pochi anni, in Sardegna si possa arrivare a un incremento del 233% di Adi per gli over 65. Molti infermieri hanno lasciato il lavoro nelle strutture private per andare nel pubblico, che può offrire migliori contratti rispetto al Terzo settore. C’è poi un altro limite, l’adeguamento delle tariffe: non siamo più in grado di sostenere i costi attuali. Alcune Asl guardano soltanto al risparmio, ma stanno portando alla chiusura di strutture che davano risposte importanti al territorio».
Lucia Coi, nella duplice veste di presidente di Anpas Sardegna e Csv Sardegna, ha ricordato che «oggi più che mai occorre il dialogo tra tutte le parti per migliorare i servizi a favore delle nostre comunità. Il Codice del Terzo settore ha dato indicazioni precise che però in Sardegna non possiamo ancora applicare. Per esempio, c’è un problema legato all’accreditamento, in quanto è cambiato lo scenario in cui operiamo. Non dobbiamo inventare niente di nuovo, semmai imitare altre realtà regionali efficienti. Nel settore dell’emergenza-urgenza abbiamo una convenzione che risale al 2011, che ha necessità di essere adeguata al più presto».
L’Isola mostra anche un’altra specificità: molte realtà dell’emergenza-urgenza sono indipendenti rispetto alle reti organizzate, come l’Anpas, e rischiano di pagare i limiti imposti dal nuovo Codice.
Per Gianluca Carbone, direttore dell’Anffas Sardegna, «la riforma sanitaria ha modificato l’assetto e le Asl hanno cambiato alcune funzioni. Ma i cittadini hanno diritto alla continuità delle cure, e questo richiede la massima efficienza da parte di tutti gli attori coinvolti». Giovanni Loi (Agci) ha rilevato che «quando si parla di problema della salute delle persone, si parla purtroppo anche di risorse finanziarie. Alla politica regionale chiediamo, perciò, di farci sapere quanto sarà messo a disposizione di questo settore nel prossimo futuro, perché le cooperative sono in grave difficoltà. I problemi della sanità sarda sono atavici, almeno se si guarda agli ultimi 20 anni, ma le risorse sono notevolmente diminuite».
Un dato che è stato però contestato dalla dg Francesca Piras: «Le risorse conferite alla sanità sarda sono aumentate di 500 milioni di euro. Piuttosto, dobbiamo essere più bravi nel progettare, visto l’incremento di fondi comunitari degli ultimi tempi. Sulle tariffe dico che tutto ciò che riguarda le strutture sociali ricade sul Fondo unico degli enti locali. Purtroppo, non è stata approvata la riforma in Consiglio regionale. Quella delle tariffe è una partita complessa che è sotto la lente d’ingrandimento della Corte dei Conti: ogni procedimento ci espone a rischi erariali e penali, dunque gli uffici amministrativi non possono risolvere tutti i problemi».
La necessità di un maggiore dialogo tra le parti è stata richiamata anche da Giorgio Pintus, della segreteria Cgil Funzione pubblica, il quale ha detto che «i costi di produzione dei servizi, compresi quelli della progettazione, devono poter essere coperti adeguatamente. Siamo davanti a importanti rinnovi contrattuali anche nel Terzo settore, dove ci sono troppi part-time e spesso emolumenti bassi. C’è poi un problema legato agli appalti pubblici, un metodo ribassista inadeguato per la gestione di questi servizi. Vogliamo aprire una nuova stagione di confronto con Regione, Asl e Ares, e confidiamo nell’introduzione di un sistema di monitoraggio della spesa».
Il dg Giovanni Deiana, in chiusura, ha sottolineato che «il dibattito sulla legge regionale n. 23 è condivisibile, ma l’intervento migliorativo legislativo dev’essere l’extrema ratio: a volte è sufficiente ricorrere ad atti amministrativi. Il sistema integrato non può prescindere, per la sua natura, dal coinvolgimento degli enti locali. Che cosa si vuole far fare alle Province? È una risposta che va data al più presto. Non occorrono interventi giganteschi, semmai devono essere mirati ed efficaci».
Nel dare appuntamento al prossimo incontro, Andrea Pianu ha ricordato che «nella pubblica amministrazione si spendono tanti soldi in consulenze e uffici legali. Va tutto bene, ma perché non coinvolgere il Terzo settore, che qualche competenza in materia l’ha maturata?». Un quesito da porre più alla classe politica che a quella amministrativa. Ma quest’ultima non può più sottrarsi al confronto sistemico.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.