A Palermo presso la sede di Fondazione Sicilia è stato presentato il quarto volume della serie Geografie Meridiane, intitolato “Sicilia, il sociale sprecato” scaricabile gratuitamente dal nostro store. Di seguito l’editoriale firmato dal direttore di VITA che apre la pubblicazione
Scriveva Luigi Pirandello: «Ogni cosa finché dura porta con sé la pena della sua forma, la pena d’esser così e di non poter essere più altrimenti». Questo aforisma del drammaturgo agrigentino premio Nobel per la letteratura ben si attaglia al racconto del welfare siciliano che mette a fuoco questa nuova pubblicazione della serie Geografie Meridiane promossa da Vita nell’ambito del progetto “Vita a sud”. La nostra Gilda Sciortino fin dall’inchiesta che apre il volume dimostra, numeri alla mano, la contraddizione fra un tessuto sociale spesso e attivo e pessime statistiche nel campo del sociale e del welfare a partire dai dati sullo spopolamento e su occupazione e disoccupazione. Contraddizione ancora più acuta se si conoscono alcune delle esperienze sociali più significative dell’isola.
Nel capitolo 2 trovate sette ritratti di altrettante organizzazioni sociali che a ben vedere possono, anzi, sono già considerate prototipi da prendere a modello e da esportare ben al di là dei confini dell’Isola. Il caso della Fondazione comunitaria di Messina ideata e sviluppata da Gaetano Giunta è forse la punta dell’iceberg, ma di certo non è un caso unico. Tutt’altro. Questa ricchezza e varietà è un tratto distintivo della regione, almeno rispetto alle prime tre tappe percorse dalle serie “Geografie Meridiane”: Sardegna, Puglia e Basilicata.
Come si spiegano allora i pessimi dati degli indicatori su benessere e stato sociale? La responsabilità della politica è indubbia e grave, come denunciamo nel primo capitolo. Ma forse non c’è solo questo. Il sociologo Salvatore Cacciola propone una chiave di lettura interessante: «Sembra che il sociale interessi solo chi lo fa, ma non diventa mai una priorità anche perché i modelli non vengono condivisi. I fondi che arrivano da realtà come Fondazione Con il Sud o dall’impresa sociale Con i Bambini creano percorsi di sopravvivenza. La nostra è vera resilienza, resistenza, ma certo non possiamo parlare di sviluppo». Ovvero il Terzo settore esprime un’alta qualità, ma non si propone un’alternativa reale.
La professoressa Alessandra Sciurba aggiunge un altro tassello: «… Il limite di tutte queste esperienze è quello di liberarsi dal ruolo di mera riduzione del danno che le attività messe in campo dalla società civile finiscono inevitabilmente per avere, quando non esiste un sistema istituzionale in grado di accogliere questi contributi». E ancora: «La distanza fra il pubblico e il privato sociale contribuisce a rendere anche le più grandi fatiche, le idee più innovative, i progetti più intelligenti, microcosmi separati fra di loro e dal resto del mondo».
Se la fotografia è questa la domanda è se il mondo del sociale e il Terzo settore vogliono essere elemento di rottura oppure elemento conforme rispetto allo status quo. Il professor Giuseppe Notarstefano nel suo contributo lancia la sfida dell’impatto sociale, per raggiungere il quale il non profit non può esimersi dal giocare anche un ruolo politico attivo (ben inteso: politico, non partitico). Vorrà e sarà in grado di farlo? Il nodo da sciogliere alla radice è esattamente questo.
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