Inclusione

L’università entra in carcere e aiuta i detenuti a riconoscere la loro identità

Possono dodici docenti di diversi dipartimenti universitari, uno studente e undici studentesse palermitane confrontarsi con nove studenti “ristretti”, cioè ospiti del carcere palermitano dell'Ucciardone, e dare vita a un’esperienza capace di rendere concreto il diritto allo studio? Il libro "Identità in movimento" racconta il successo di un percorso, guidato dalla professoressa associata di Filosofia del diritto dell'Università di Palermo, Alessandra Sciurba

di Gilda Sciortino

Che il  diritto allo studio sia un diritto fondamentale, universalmente garantito, non ci sono dubbi,  in qualsiasi condizione si sia. Non è, però, così scontato all’interno delle mura di un carcere, dove si animano percorsi di vita che di questo diritto non hanno mai avuto la fortuna di goderne. 

Ecco perchè la prima esperienza di corso universitario misto a Palermo, che ha coinvolto studenti “ristretti” insieme a studenti e studentesse “libere” nella Casa di reclusione maschile “Ucciardone” di Palermo, ha un valore indiscutibile. Ancor di più avendo portato alla realizzazione del libro dal titolo “Identità in movimento”, vero e proprio diario di un’esperienza didattica servita, non solo ai detenuti per ritrovare quell’identità che la struttura penitenziaria rende uniforme e tende ad appiattire, ma anche a chi nel carcere e dal carcere ha la possibilità di muoversi.

Un percorso straordinario di costruzione di sapere condiviso, di relazione e scambio, di crescita collettiva di tutte le persone coinvolte

Alessandra Sciurba, professoressa associata di Filosofia del diritto – Università di Palermo

Un’esperienza che si è concretizzata in un ciclo di seminari che ha coinvolto dodici professori e professoresse dell’Ateneo del capoluogo siciliano, afferenti a sette diversi dipartimenti, nove studentesse e uno studente iscritti a vari corsi di laurea dello stesso ateneo che, da “non ristretti”, hanno scelto questa proposta tra quelle per l’acquisizione delle cosiddette competenze trasversali, e nove uomini tra le persone detenute all’Ucciardone. Undici gli appuntamenti di tre ore ciascuno, durante i quali il gruppo ha lavorato in una grande aula della Quinta sezione della Casa di reclusione, quella dedicata alle attività didattiche, all’interno della quale, in assetto circolare, il tema dell’ identità “in movimento” è stato declinato secondo le diverse prospettive disciplinari cui di volta in volta era destinato il seminario della giornata.

A dimostrarlo proprio le riflessioni messe su carta di quanti sono stati coinvolti e per i quali le aspettative iniziali erano sicuramente diverse da quanto si sono ritrovati a vivere. Come per Domenico, sentendosi piccolo piccolo in un contesto fuori dalla sua portata: «Direttori, comandante, funzionari veri, studenti universitari, docenti, mancavano solo amici e parenti», scrive . «Un’emozione contenuta da una gioia esagerata. La gratitudine è il pagamento dell’uomo povero. Io, grazie a voi, “non” mi sono sentito diversamente libero».

Analogo stupore quello di Luna, una delle studentesse “non ristrette”: «Nella mia mente lo scenario che mi aspettavo era dipinto con colori scuri e tristi e si presentava come un ambiente soffocante. Poi, ho finalmente varcato la soglia e lì il panorama, questa volta quello realmente esperito, si è riempito di chiavi, cancelli, divise, comandi, rigidità, visibile persino dalle rughe sulla fronte delle guardie penitenziarie, ma anche di alberi secolari, architettura antica e verde».

Alcuni dei disegni e dei messaggi a conclusione del percorso

Un diritto, quello allo studio, da garantire anche nel contesto detentivo

«Garantire il diritto allo studio nelle carceri è un dovere», afferma Alessandra Sciurba, curatrice del libro, ma anche anima e cuore di questo progetto, svoltosi dal 2 maggio al 12 giugno del 2023 e in via di ripartenza, «ed è indispensabile per costruire percorsi di senso anche nei contesti in cui è più difficile immaginare il futuro. È chiaro che è più difficile esercitarlo quando ci sono determinati livelli di detenzione. Le difficoltà sono tante, per esempio avere i permessi e uscire non è così semplice. L’università è davvero ancora un mondo sconosciuto. Basti pensare che, su duemila detenuti tra Pagliarelli e Ucciardone, le due strutture penitenziarie palermitane, solo 9 nel primo e 7 nel secondo si sono iscritti all’università, ma sono molti di piu quelli che ne avrebbero i requisiti».

Solo una grande motivazione supera le difficoltà e porta alla laurea anche in carcere

«Per i detenuti che si iscrivono è tutto molto faticoso. È complicatissimo studiare» prosegue Sciurba, «ma anche solo reperire un libro, così come iscriversi a un appello. Quando c’è la famiglia, ecco che subentra il delegato familiare che, però, se non ha alcuna dimestichezza con il sito dell’università può anche sbagliare l’appello. Dovete pensare che stiamo parlando di persone che mai in nessun caso hanno accesso a Internet, quindi si devono affidare ad altri. Sono un grande supporto i tutor universitari per accompagnare allo studio, ma il Polo universitario penitenziario in Sicilia è ancora molto recente e siamo ancora in rodaggio. Noi siamo fortunati perchè, all’Ucciardone, abbiamo avuto e continuiamo ad avere la massima disponibilità e collaborazione da parte del direttore, Fabio Prestopino, e di tutto il personale penitenziario. Anche quello del carcere di Pagliarelli, dove il corso è partito durante l’anno che si sta chiudendo. Un supporto non indifferente al lavoro che abbiamo anche grazie alla generosità di tutte le colleghe e i colleghi e del personale amministrativo di Unipa, l’Università di Palermo».

Una realtà relativamente recente, quella dei Poli, strutture parallele, inglobate dentro le università, che servono per aumentare la realizzazione e rendere effettivo il diritto allo studio dei soggetti “ristretti”. In Sicilia sono stati istituiti nel 2021 con un accordo quadro tra la Regione, il Garante dei diritti dei detenuti, l’Università palermitana, messinese ed ennese, anche se Enna non ha cominciato ancora a lavorare in tale direzione.

«Il polo penitenziario palermitano», tiene a precisare Paola Maggio, delegata del Rettore per i Rapporti con gli Istituti penitenziari, «in questi primi tre anni ha visto un’azione di grande spinta rispetto alle iscrizioni negli istituti di pena dell’Ucciardone e del Pagliarelli, tant’è che complessivamente per il 2023 abbiamo iscritto circa 30 soggetti. In tre anni un ottimo numero, se lo paragoniamo con un Comune come Catania, dove ci sono credo otto carceri e, quindi, le iscrizioni sono inevitabilmente più numerose; in tutto, intorno alle 80 unità. La scelta che abbiamo fatto è stata quella di puntare soprattutto alla conclusione dei percorsi di studi. Siamo, infatti, l’unico Polo penitenziario che, a ottobre di quest’anno, ha laureato in Architettura il primo “ristretto”, con enorme gioia di tutti».

Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo

Paulo Freire, pedagogo brasiliano

«Abbiamo deciso, fin dall’inizio, di abbattere completamente l’idea della didattica frontale-nozionistica. Questa è una cosa che io cerco di fare normalmente anche all’università», dice ancora Alessandra Sciurba, «perché siamo ancorati a un’ idea depositaria di educazione, come se le persone che abbiamo davanti fossero vuoti da riempire. Invece, sono persone che hanno una pienezza che in molti casi è come un forziere che si apre e rivela enormi ricchezze».

E poi, ecco la magia del cerchio

«Abbiamo sempre lavorato con il cerchio. In carcere ha funzionato ancor di più. Il cerchio è uno spazio protetto che crea immediatamente una comunità. Si compone con un rito e solo con un altro rito si deve spezzare. Sin dall’inizio è stato luogo di evasione mentale in un posto fatto di muri, dove siamo riusciti a costruire uno spazio di libertà circolare. Questo concetto è stato assimilato e fatto proprio anche dalle persone “ristrette”. Forse proprio questa enorme energia è andata in circolo e, per la seconda edizione del progetto, le domande si sono quadruplicate. “Spazio e tempo” il tema su cui lavoreremo quest’anno. Sono certa che avremo grandi risultati».

Inizialmente ho percepito una sensazione, come di ritrovarmi su una collina e dovere scalare il K2

Domenico

Non è facile, né scontato, che percorsi del genere si concludano con risultati tangibili che non sono quelli della mera pubblicazione di un libro. Basta leggere i pensieri, le riflessioni, i messaggi che ogni detenuto ha lasciato a fine percorso. Ma anche quelli delle studentesse, entrate in carcere a vivere un’esperienza utile alla loro formazione e uscite con un bagaglio umano che trova senso e fondamento solo nel senso di condivisione.

«Ho imparato che non bisogna avere tanti pregiudizi», sottolinea Nizar, «e rispettare tutta la gente che ci sta intorno. Ho apprezzato come comunicare con le persone senza fare differenza di etnia. Tutti i miei compagni non mi hanno fatto sentire alcuna differenza. Ho provato tante emozioni vedendo ognuno di loro esprimere le proprie emozioni e i loro pensieri sinceri».

vita a sud

«Tanti i pregiudizi che avevo. Non vedevo la realtà», scrive Nadia, rivolgendosi ai compagni che, alla fine della giornata, non avrebbero avuto la possibilità di uscire e tornare dalla propria famiglia, «ma la mia interpretazione della realtà. Ho sempre pensato che esistesse solo la parola “reato”, e poi ho pensato di “andare oltre la mia ombra”. Così, senza aspettative, ho iniziato questo percorso. Pensavo che disturbaste le mie confortevoli certezze. Avevo un modo diverso di guardare, ho cercato di avere cura di me stessa, altrimenti non avrei potuto relazionarmi con voi. Quando sono entrata in carcere, dopo un’ora, ho dimenticato dove fossi. Vi ho ascoltato, osservato, riconoscendo che davanti a me avevo persone, soggetti pari a me, con diritti (alla vita, all’eguaglianza, all’istruzione), con una dignità e una propria identità».

Identità in movimento che, in carcere, scandiscono la vita anche al ritmo della musica

«Il mio cantante preferito è Bob Dylan», conclude Abdelkrim. «Perché? Perché ha detto: How many roads must a man walk down. Before you call him a man?
How many seas must a white dove sail. Before she sleeps in the sand?
The answer, my friend, is blowin’ in the wind
. Penso che sia arrivato il tempo di cambiare i nostri pensieri, ma non possiamo fermare il tempo. Studiare e cambiare i nostri pensieri è il modo giusto di arrivare lontano».

Il libro “Identità in movimento” è scaricabile in open access al link https://www.pacinieditore.it/prodotto/identita-in-movimento/

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