Formazione
La cultura antimafia si forma sui banchi di scuola
Un compito difficile quello a cui è oggi chiamata la nostra scuola, soprattutto quando si parla di impegno antimafia. Fare la differenza, però, è possibile, se offriamo ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze gli strumenti per accrescere la loro autostima. Quando questo succede in avamposti di legalità come la "Sperone - Pertini", diretta da Antonella Di Bartolo, tutto ciò assume enorme significato. Ancor di più se ci si connette come sta cercando di fare la neonata "Rete per la cultura antimafia nella scuola"
«Il contrasto alla mafia? Comincia senza dubbio dando ai ragazzi e alle ragazze gli strumenti che possono servire loro ad acquisire consapevolezza, rendendoli liberi e libere di scegliere di dire no. Si impara a essere anti mafiosi sui banchi di scuola perché, nel momento n cui si opera sopraffazione nei confronti del compagno, della compagna più deboli, più fragili, nel momento in cui si crea una cerchia solidale nei confronti del prepotente, quando si avallano comportamenti di prepotenza sin da bambini, già mettiamo in atto comportamento mafiosi».
È molto chiara e diretta Antonella Di Bartolo, dirigente dell’ICS “Sperone-Pertini”, avamposto di legalità dello Sperone, quartiere periferico della città di Palermo, dove si fa la differenza. La Di Bartolo questa differenza la fa tenendo le porte aperte della sua scuola, relazionandosi con tutti gli altri attori del territorio e della città, lo fa promuovendo e sostenendo quel concetto di “arte che cura attraverso la bellezza”, lo fa spegnendo telefoni e computer quando davanti a lei ci sono i suoi ragazzi o dei genitori che cercano risposte.
Il suo è uno degli oltre settanta istituti di Palermo e provincia della neonata “Rete per la cultura antimafia nella scuola” che ha deciso di strutturarsi per lavorare su temi come la pedagogia civile, la didattica dell’antimafia attraverso le discipline curriculari, la formazione dei docenti e la disseminazione, la partecipazione e l’organizzazione di eventi. Una realtà che ha cominciato il suo percorso di vita partendo dal 21 marzo, in occasione della giornata organizzata da Libera per ricordare tutte le vittime di mafia, dedicando particolare attenzione alle bambine e ai bambini che hanno subito la prevaricazione criminale della mafia.
«La rete nasce lo scorso febbraio, in occasione dell’iniziativa che abbiamo realizzato in occasione del decimo anniversario della morte di Vito Mercadante – spiega Giusto Catania, preside dell’Istituto Comprensivo “Giuliana Saladino” di Ustica, capofila della rete -, preside che, dopo l’uccisione di Piersanti Mattarella, fu autore di una legge regionale che promuoveva la cultura antimafia nella scuola. Legge che fu poi superata, ma dalla quale abbiamo voluto ripartire dando continuità ai suoi venti spunti di riflessione per un manifesto che ci sta vedendo uniti. Pensiamo che la didattica debba far vivere al suo interno quella cultura antimafia che non può essere solo una dichiarazione di principio, ma deve entrare in tutte le discipline. Anche i docenti devono fare parte di questo percorso di formazione per capire di cosa stiamo parlando. Il 21 marzo siamo ognuno impegnati nelle rispettive scuole, ma saremo tutto insieme il 23 maggio per un’iniziativa comune alla quale stiamo lavorando”.
Ma cosa vuol dire concretamente fare antimafia nella scuola di oggi?
«Comportamento non mafioso è rispetto dell’altro, della dignità altrui in tutti i sensi – prosegue la Di Bartolo -. Lo è dal punto di vista personale, delle aspirazioni e dei progetti di vita che si imparano sui banchi di scuola. Poi ovviamente noi interveniamo coltivando la memoria, che non è semplicemente il ricordo da tenere desto in occasione di giornate come il 21 marzo, il 23 maggio o il 19 luglio, ma potendo ispirare bambini e bambine con figure che hanno contrastato le mafie nei diversi ruoli: dalla poliziotta al prete, dalla giornalista al magistrato. Tante, ahimè, sono le vittime di mafia. Bisogna ispirare i nostri ragazzi con modelli che non siano solo la blogger, il calciatore o l’attore di turno, ma con persone che si sono impegnate per affermare la libertà di ognuno di noi. Questo si impara a scuola in quanto incredibile attivatrice di iniziative, di conoscenza, di disseminazione di idee e testimonianze».
Una consapevolezza che, senza la scuola, si faticherebbe a innescare.
«Noi lo facciamo ogni giorno. Ricordo una persona che, alcuni anni fa, mi disse: «Vi vengo a trovare in occasione del 23 maggio». Gli risposi: «Allora ci venga a trovare ogni giorno».Tutto questo si può e si deve fare quotidianamente anche attraverso discipline diverse, per esempio con l’educazione all’ambiente che va a intercettare gli affari che lucrano sui disastri ambientali, sullo smaltimento dei rifiuti tossici. Non si fa cultura antimafia solo parlandone esplicitamente, cosa che ovviamente è importante fare, ma nell’intero arco della giornata; anche, a dirla tutta, nell’extra scolastico. Lo dico perché, nel momento in cui i bambini e le bambine trascorrono 5 ore a scuola, ma nel pomeriggio incontrano e vivono solo occasioni di degrado, sopraffazione, di assenza istituzionale, è ovvio che incide. Per cui, se la scuola allunga i suoi raggi anche nel pomeriggio o magari nel sabato mattina, a maggior ragione compie il suo lavoro».
La scuola può, quindi, incidere concretamente nella crescita sana dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze?
«Certo, la scuola è determinante sia per la formazione sia per gli aspetti che sono inerenti la personalità, per esempio nutrendo l’autostima. Facendo rendere loro conto di quante potenzialità hanno, possono farsi delle proiezioni del loro se, senza andare per strada a spacciare, a fare il palo o essere utilizzati in attività illecite, tra l’altro con la spada di Damocle della prigione, della detenzione. Possono immaginarsi in scenari diversi, a fare lavori legali che siano anche consoni alle loro potenzialità. La scuola può essere fondamentale sin dal primo minuto delle loro vita».
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