Welfare
In fila per un pasto, con il cuore a pezzi e le tasche vuote
La pandemia in Sardegna ha peggiorato una situazione di crisi che dura da anni. La Caritas e il mondo del volontariato hanno dovuto moltiplicare gli sforzi per aiutare le famiglie indigenti. Ma ora occorre un intervento deciso della politica
Un fenomeno in crescita, un disagio di cui molti non vogliono sapere. Fingono di non vedere che là fuori, magari nello stesso pianerottolo di casa (se non addirittura tra i propri parenti) ci sono tante persone sotto la soglia di povertà. I nuovi poveri, li definiscono. Non è la povertà assoluta dei Paesi del Terzo e Quarto Mondo, ma è sufficiente per costringerli a chiedere aiuto. Spesso facendo i conti con la vergogna di mostrarsi in fila per un pasto caldo, se non addirittura per un posto letto. Non sono clochard e neppure scansafatiche: spesso è gente che lavora ma non riesce ad arrivare neppure a metà mese, sopraffatta dalle spese correnti. Oppure si tratta di persone che hanno perso il lavoro o visto fallire la propria attività imprenditoriale. Gente “normale”, come la si etichettava sino a qualche anno fa.
La crisi economica prima e la pandemia da Covid-19 poi, hanno aperto in maniera evidente la forbice. Lo conferma il “Report 2020 su povertà ed esclusione sociale dall’osservazione delle Caritas della Sardegna”: dati peraltro confermati a dicembre dal decimo Dossier della Caritas della diocesi di Cagliari. Un focus che mostra, in maniera impietosa ma inequivocabile, il fortissimo disagio economico e sociale dell’Isola, già ridotta allo stremo dal processo di desertificazione industriale in corso da anni.
La pandemia non ha messo in risalto soltanto la crisi della sanità (in particolar modo l’accesso ai servizi, così come eravamo abituati da parecchi decenni) ma anche i risvolti sociali che stanno toccando tutti. Come ha più volte sottolineato Papa Francesco, «la pandemia ci ha messo tutti in crisi. Ma ricordatevi: da una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori o usciamo peggiori». Per poi aggiungere: «Ognuno di noi è chiamato ad assumersi la sua parte di responsabilità». Chiaro il riferimento alla classe politica e al mondo della finanza che, pur con la dovuta comprensione dovuta a una situazione oggettivamente complessa, non stanno offrendo le soluzioni auspicate per superare la prima fase dell’emergenza.
La qualità dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione, un po’ a tutti i livelli (e con i dovuti distinguo), è calata enormemente. Forse a macchia di leopardo, perché le eccellenze non mancano, ma in generale non c’è stato il cambio di passo che sarebbe stato legittimo attendersi una volta superata la sorpresa della pandemia. Doveva e poteva essere un’occasione di riscatto, di miglioramento (della burocrazia, dei servizi, ma anche della mentalità da parte di tutti, non soltanto di chi ci governa), invece si è finito con l’innescare una guerra tra poveri, tra disperati. Travolti dal Covid-19, ci siamo accorti che gli “appestati” non sono più gli altri ma siamo noi. E questo ci fa paura, perché la cultura occidentale non è più abituata a far fronte a situazioni di questa portata.
«Ci confrontiamo con un evento che ha destabilizzato le condizioni economiche, di salute e di serenità di tante famiglie», spiega don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana di Cagliari. «È la visione antropologica la priorità, il resto deve girare intorno ad essa. Dall’ultimo Rapporto Censis-Tendercapital si evince che oltre 23 milioni di italiani hanno dovuto fronteggiare le difficoltà correlate alla pandemia con redditi familiari ridotti, e sono 600mila le persone in più annoverate tra i poveri. Noi abbiamo moltiplicato l’impegno, tenendo duro anche e soprattutto nei momenti più difficili di questo anno terribile. Devo dire che la risposta dei volontari, a cominciare dai giovani, è stata straordinaria e dimostra una sensibilità nuova verso il prossimo e in particolare verso gli ultimi».
Don Lai sottolinea che «oltre alla rete territoriale, siamo riusciti a tenere aperti i nostri servizi per i poveri: le mense, i dormitori trasformati in accoglienze anche diurne, i Centri d’ascolto. A Cagliari abbiamo inaugurato il nuovo ambulatorio medico polispecialistico, rivolto a tutti gli indigenti del territorio: non vogliamo sostituirci alla sanità pubblica, soltanto desideriamo offrire un servizio in più per chi è escluso a vario titolo dai servizi sanitari essenziali». Non mancano le proposte: «In Italia, l’80% delle case sono private, l’esatto opposto di ciò che accade in Germania. Bisogna dare un sostegno concreto per garantire a tutti il diritto alla casa. I giovani, come pure i pensionati, i senza lavoro e gli immigrati, spesso non hanno le risorse e neppure le garanzie per chiedere un mutuo o pagare l’affitto. È una questione molto seria, soprattutto in questo periodo di pandemia. Il reddito di cittadinanza, poi, dovrebbe garantire l’inclusione sociale: se non viene accompagnato dal lavoro, rimane una semplice assistenza».
Nel mondo del volontariato serpeggia un malcontento crescente perché, a fronte di un impegno eccezionale da parte di tutte le forze in campo, non si registra un’adeguata risposta da parte del mondo politico. E neppure degli uffici diffusi nel territorio: con lo smart working, contrariamente a quanto rilevato in precedenti esperienze della stessa pubblica amministrazione (al Comune di Cagliari, negli anni scorsi, si erano toccate punte di incremento della produttività pari al 30%), è diventato difficile ottenere risposte immediate e chiare, e nemmeno la certezza dell’erogazione dei servizi stessi.
«Là dove occorrerebbe una task force da pronto intervento, spesso si trovano le risposte standard indebolite oltre tutto da uno smart working che non era preparato», commenta Ugo Bressanello, fondatore di Domus de Luna. «A volte si bloccano gli interventi messi in campo dalla politica perché si punta all’efficienza, ad evitare di sbagliare. Invece siamo in emergenza e ci sarebbe forse maggiore bisogno di risposte immediate e concrete, anche assumendosi la responsabilità di possibili errori. Penso che non ci si debba preoccupare, in questo momento di estrema e vera difficoltà per molte famiglie, se non sia possibile controllare chi prende la spesa in due servizi contemporaneamente o verificare la correttezza dell’Isee o se non sia stato ancora accertato proprio il diritto all’assistenza. Stiamo parlando di un’emergenza che sconvolge nel profondo regole e abitudini di vita, dobbiamo avere tutti il coraggio di percorrere strade diverse, uscire dalla routine che fisiologicamente si crea negli uffici. Noi, nel nostro piccolo, ci siamo rimboccati le maniche e siamo andati avanti con le nostre forze e il sostegno di amici e imprese che non hanno voltato lo sguardo dall’altra parte.
Al momento forniamo alimentari, medicinali e altri beni di prima necessità a 1.500 persone ogni settimana, più di mille famiglie diverse al mese. Lo facciamo con modalità differenti rispetto ad altre realtà, per esempio fornendo un servizio di babysitting a coloro che arrivano da noi a chiedere aiuto, superando la naturale ritrosia di chi in precedenza non si era mai trovato a chiedere da mangiare per sé e per i figli. Ancora, c’è una piccola squadra di psicologi che ascolta e sostiene le persone in fila, prendendole in cura quando la situazione lo richiede. Tutto in un’atmosfera che vuole essere il più accogliente possibile, a rassicurare i molti che si vergognano, che fino a pochi mesi non immaginavano neanche di trovarsi a chiedere una busta con la spesa, quelli che chiamano i nuovi poveri e che arrivano a centinaia, tutte le settimane, all’Exmè di Cagliari».
L’impegno è notevolmente aumentato anche da parte della Fondazione antiusura Sant’Ignazio da Laconi. Il vicepresidente Bruno Loviselli conferma: «Nel 2020 è aumentato il numero di ascolti (siamo passati da 300 a 450 ascolti in un anno), abbiamo erogato oltre due milioni di euro e sono aumentati i ludopatici: nelle difficoltà molti cercano il riscatto, ma il ripetersi del gioco conduce alla ludopatia. Da tempo chiediamo che, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ci sia tra le varie Fondazioni in Italia una distribuzione più equa dei fondi di garanzia: oggi a noi spetta solo il 30% contro il 70% a favore dei Confidi».
Intanto oltre 200 cattolici, che in gran parte hanno rivestito o rivestono tutt’ora ruoli di rilievo nella società isolana, hanno costituito il ‘Patto per i Sardi’ e promettono battaglia su tutti i fronti.
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