Economia

Il Manifesto di “The economy of Francesco”, tre proposte a partire dal punto 9

L'invito del Manifesto a far sì che si preveda un codice premiale che riconosca pubblicamente le virtù. Noi ci permettiamo di suggerire tre incentivi premiali che oggi mancano nell’agenda del Sud e della Chiesa.

di Angelo Moretti

Lo straordinario evento voluto da Papa Francesco sui giovani e l’economia, tenutosi simbolicamente ad Assisi e che ha coinvolto giovani economisti ed imprenditori collegati da tutto il mondo, si è concluso con un manifesto denso di impegni e di richieste da parte dei giovani al mondo degli adulti. All’interno dell’iniziativa di Vita a Sud pensiamo di dovere raccogliere la sfida e di riflettere di volta in volta su ciò che i change maker ed i decisori politici del Sud Italia potrebbero fare per ascoltare
il grido dei giovani e dei poveri che proviene da Assisi.

Partiamo dalle richiesta dei sistemi premiali. Al punto 9 del Manifesto di Economy of Francesco
viene richiesto
: “Le istituzioni nazionali e internazionali prevedano premi a sostegno degli imprenditori innovatori
nell’ambito della sostenibilità ambientale, sociale, spirituale e, non ultima, manageriale perché solo ripensando la gestione delle persone dentro le imprese, sarà possibile una sostenibilità globale dell’economia”

Luigino Bruni lo ripete da anni: non può esistere solo un codice penale che punisca i comportamenti sbagliati dei cittadini e delle imprese, deve esserci anche un codice premiale che ne riconosca pubblicamente le virtù. Noi ci permettiamo di suggerire tre incentivi premiali che oggi mancano nell’agenda del Sud e della Chiesa.

1. L‘agricoltura torni ad essere Coesiva.

I piani finanziari più importanti delle regioni Obiettivo1 del Sud Italia restano, per importanza e per grandezza degli investimenti, i Piani di Sviluppo Rurale. Per il sessennio appena concluso le Regioni meridionali hanno potuto gestire complessivamente ben oltre 7 miliardi di euro, con grande supporto dei fondi PAC (Politica Agricola Comunitaria) dell’Europa. Ma questi ingenti flussi finanziari, nonostante tutti i desiderata che si propongono esplicitamente nelle programmazioni generali in merito allo sviluppo sostenibile dei territori rurali, di fatto tradiscono puntualmente i loro intenti. Per incentivare l’innovazione tecnologica a basso impatto ambientale questi programmi chiedono agli agricoltori di effettuare sempre nuovi acquisti, costringendoli molte volte ad indebitarsi controvoglia pur di raggiungere un finanziamento per l’azienda, mentre non consentono agli stessi l’uso condiviso di beni tecnologici già acquisitati da altri e nemmeno riconoscono come ammissibile l’acquisto di beni usati, che è la pratica più ricorrente tra contadini. Quando i PSR finanziano le agricolture sociali, con alte ricadute in termini di coesione sociale nei territori, lo fanno nell’ottica del “palliativo”, non dell’incentivo ad un’azione strategica per il cambiamento dei sistemi agricoli da individuali ed intensivi a sistemi collaborativi. Alle luce dell’Economy of Francesco si dovrebbe fare di più e diversamente per incentivare la costituzione di distretti territoriali ad alta intensità relazionale. Il segreto delle campagne, quando erano abitate, era proprio nell’alto tasso di mutualità tra le famiglie di agricoltori che si aiutavano scambiandosi reciprocamente beni e manodopera. Oggi l’agricoltura della sharing economy non è abbastanza incentivata ed i programmi di sostegno al settore primario contribuiscono di fatto alla discarica delle attrezzature tecnologiche che in pochi anni diventano obsolete.

2. Rilanciare e corregggere “Resto al Sud”

Il programma “Resto al Sud” è certamente un programma strategico e ben congeniato, ma non sta funzionando quanto dovrebbe. Oltre agli ambiti troppo ristretti di azione (viene escluso il commercio al dettaglio ad esempio), anche questo piano non incentiva l’economia del riuso e del ricambio generazionale. Il Sud, ma anche il Nord, sono pieni di attività artigiane che rischiano la chiusura solo per un mancato ricambio intergenerazionale, eppure se un gruppo di giovani intende rilevare l’azienda artigiana di una persona anziana non troverà alcun incentivo in Resto al Sud. Potrà solo acquistare attrezzature nuove ed aprire nuove aziende. Ma come avviene la transizione verso l’economia dello Sviluppo sostenibile se gli incentivi pubblici chiedono di rincorrere sempre nuovi acquisti?

3. La Chiesa si metta in gioco

Il mondo della Chiesa Cattolica resta sempre una delle istituzioni del Sud con più disponibilità di beni immobili e di terreni a rischio abbandono, a causa della progressiva chiusura di ordini religiosi e di parrocchie per carenza di nuove vocazioni alla vita consacrata e per effetto del calo demografico. Nessuno ne ha il conto preciso ma il dossier di Altraeconomia del 2019 parla di migliaia di strutture. Si può immaginare, alla luce della carta di impegno di Assisi, un dialogo programmatico tra Chiesa Cattolica, agenzie coinvolte nei piani di sviluppo rurale, piattaforme come Resto al Sud, attori strategici come Fondazione con il Sud, teso ad un rilancio generativo dell’uso economico di questi beni? Sono diverse le realtà del terzo settore meridionale e dell’economia civile che si ritrovano a combattere con mega e prestigiosi studi di consulenti a cui viene affidata la gestione di questi importanti patrimoni ecclesiastici e che nello svolgimento del loro compito non hanno alcun riferimento né al Vangelo né alla dottrina di Benedetto XVI e di Francesco. Ripartire da una nuova progettazione dell’uso dei beni ecclesiastici all’interno dei sistemi di incentivi pubblici all’economia civile ed allo sviluppo sostenibile potrebbe essere la prima immediata risposta ad Assisi.

*Presidente Rete di economia civile Sale della terra

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