Cinema sociale
Il film che racconta i veleni del più grande petrolchimico d’Europa
"In nome del popolo inquinato" tuonano gli abitanti di una delle coste più belle della Sicilia, quella della provincia di Siracusa, dove si consuma la storia del polo petrolchimico che dagli anni '50 avvelena suoli, aria e acqua, vedendo aumentare vertiginosamente tumori, malformazioni e altre patologie legate all’inquinamento. Una storia drammatica oggi raccontata da "Toxicily", opera cinematografica firmata dal regista francese Francois Xavier Destors e dal geografo palermitano Alfonso Pinto
Nessuno si sognerebbe mai di pensarlo, ma c’è chi ,con lo sguardo proteso all’orizzonte delle acque trasparenti di una costa che incanta, leva il suo urlo di dolore e colpisce al cuore affermando: “Meglio il cancro che la fame”. Non la tipica frase che si potrebbe leggere su un copione cinematografico, anche se in questo caso pronunciata nel contesto di un opera pensata per il grande schermo, ma la drammatica verità che racconta come, nella costa orientale della Sicilia, laddove svettano rovine storiche come quelle del Teatro Greco, visitato ogni anno da milioni di turisti, sorge uno dei più grandi poli petrolchimici d’Europa. Una zona geostrategica di grande importanza, a metà strada fra i Canali di Suez e Gibilterra, che, dal 1949, avvelena l’ambiente e le persone; senza che nessuno, neanche i suoi stessi abitanti, si fossero accorti in tempo di quello che stava accadendo. Elevatissime, infatti, le quantità di sostanze chimiche tossiche che hanno contaminato il suolo, l’aria, l’acqua, compromettendo la salute degli abitanti, di questo territorio tra Augusta, Priolo, Gargallo e Melilli, che si estende fino alle porte di Siracusa.
Il film non è raccontato nella forma del reportage di denuncia ma attraverso la capacità del cinema di ricostruire immaginari, là dove il luogo diventa esso stesso personaggio e corpo
Francois Xavier Destors, regista
Una storia in gran parte sconosciuta al grande pubblico, non solo in Europa e nel mondo, ma purtroppo anche in Italia e, addirittura, nella stessa Sicilia, che oggi arriva come un pugno allo stomaco grazie a “Toxicily”, documentario che racconta e dà voce a tutte quelle persone che resistono e vivono la loro quotidianità accanto a queste fabbriche, le cui ciminiere fumanti sono il panorama che fa da sfondo al paesaggio dominato dalle spiagge.
A realizzarlo sono stati il regista francese Francois Xavier Destors e il geografo e fotografo palermitano Alfonso Pinto che, a settant’anni dall’arrivo delle prime raffinerie, hanno deciso di esplorare i temi del sacrificio ambientale e sanitario, restituendo la pluralità dei punti di vista degli stessi abitanti. Una piccola opera cinematografica, alla cui completezza contribuiscono in tanti, ognuno con una propria storia, una verità che tragicamente ha lo stesso finale per tutti. Ecco, dunque, Don Palmiro, il sacerdote che, decidendo di elencare durante una funzione religiosa i nomi di quelle vittime di cancro sconosciute ai più, comincia a fare conoscere la drammatica realtà, purtroppo pagando il prezzo del suo impegno per la salute dei suoi concittadini; ci sono poi Lina e sua figlia Chiara, quest’ultima in lotta dall’età di 7 anni contro una rara malformazione congenita; Andrea che, durante la sua vita di operaio, ha tentato di limitare, nel suo piccolo, i danni dell’industria su ambiente e salute. E ancora Nino la cui cecità non gli impedisce di condividere i ricordi di un mondo perduto, infine Giusi che, da quando ha perso il padre a causa di una malattia professionale, si batte contro tutto e contro tutti in nome della giustizia ambientale. Una lotta che è anche per il riscatto rispetto a un destino che “fuma” attraverso le sue ciminiere, serpeggia «nei villaggi abbandonati, nelle terre inaridite e le spiagge inquinate di una zona che racconta un’altra Sicilia», si legge nella sinossi del progetto, «quella tossica abbandonata al proprio destino post-industriale, in cui l’arrivo delle raffinerie ha permesso di superare le miserie di un’economia agricola ancestrale ma precaria, dove i pescatori, i contadini e pastori sono pian piano diventati operai, evitando così l’ineluttabile destino dell’emigrazione». Che forse sarebbe stata la scelta migliore, se a conti fatti, il premio per non avere tradito le proprie radici andando via è stato quel tragico destino che oggi vorrebbe fare dire loro meglio la fame che il cancro.
Un racconto che vuole ridare identità a un territorio dimenticato o, addirittura, celato ai più
«S’iscrive nella prospettiva di una trilogia consacrata ai crimini di massa, alla follia degli uomini e agli eccessi della nostra civiltà», spiega il regista, François-Xavier Destors, «con un primo film girato nel Ruanda (Rwanda, la surface de réparation, 2014) e un secondo nella città artica di Norilsk in Siberia, una delle più inquinate del pianeta (Norilsk l’étreinte de glace, 2018). Prima del mio incontro con Alfonso Pinto, specializzato nello studio dei mondi urbani dell’Antropocene, ignoravo del tutto l’esistenza di questa zona industriale estesa per più di venti chilometri a nord di Siracusa. Un territorio che sembra essere stato abbandonato a sé stesso e all’inquinamento del cielo, della terra e del mare. Lo abbiamo esplorato con un certo rigore cinematografico allo scopo di dare forza e profondità al soggetto. Allo stesso modo in cui Vittorio De Seta si impadronì del cinema per esplorare la geografia umana in “Il Mondo perduto”, abbiamo lavorato in maniera complementare incrociando i nostri punti di vista per cercare di indagare come si evolvono gli esseri umani, capire e vedere il loro futuro. La complementarità di questo approccio e visione è la forza del film».
Nonostante fossi siciliano, non ho mai fatto caso a questa striscia di terra che separa le città di Augusta e Siracusa. Per me è sempre stato un luogo di transito, un paesaggio che scorre veloce dietro i finestrini
Alfonso Pinto, autore e geografo
Complice Norilsk, ecco l’incontro di due culture e due modi di vedere e intendere il racconto, attraverso le immagini, di diversi temi
«Dietro l’inquinamento e dietro la petrolchimica», spiega il geografo, Alfonso Pinto, «si cela la parabola di un’umanità intera che, a partire dalla modernità industriale, ha deciso in piena coscienza di sacrificare il benessere e la salute di tanti in nome dei privilegi di pochi, spacciati spesso come un interesse collettivo. Alla base, c’è la voglia di riflettere sull’idea stessa di sacrificio ambientale, un tema spesso affrontato nel campo delle lotte ambientali, ovviamente non come concetto astratto, ma come un’esperienza umana e vissuta. La malattia, il lavoro, il ricatto occupazionale, il silenzio generalizzato e talvolta anche l’ostilità nei confronti di chi pensa che, alla base di tutto questo, vi sia una profonda ingiustizia. Il polo petrolchimico di Siracusa, la sua geografia e la sua storia, ci permette di riflettere su alcuni temi cruciali che vanno al di là delle specificità locali: la petrolchimica, l’Antropocene, la crisi climatica e, in una scala ridotta, l’industrializzazione italiana del dopoguerra, le politiche di sviluppo del Mezzogiorno promosse dal partito di governo e il loro clamoroso fallimento. Del resto, sono passati settant’anni dall’arrivo della prima raffineria. È un tempo più che sufficiente per fare un bilancio sociale, politico, economico e soprattutto ambientale e sanitario».
Il paesaggio come personaggio, con il suo vissuto, le sue ferite, la sua memoria, alla base della struttura narrativa di “Toxicily”
«Ci sono ovviamente gli abitanti», aggiunge il regista, «alcuni dei quali protagonisti del documentario che abitano questo territorio con tutta la potenza della loro resilienza/ resistenza, con i tanti paradossi e le innumerevoli contraddizioni. Il film non è raccontato nella forma del reportage di denuncia, ma attraverso la capacità del cinema di ricostruire immaginari là dove il luogo diventa esso stesso personaggio e corpo. L’obiettivo è allora quello di rivelare attraverso l’inquadratura, il movimento, la distanza focale, la durata o il ritmo, gli organi vitali, i tentacoli e le frontiere del territorio. Speriamo di esserci riusciti».
Storie di vita che toccano il cuore, creando quella connessione empatica che non ti permette di tirarti indietro
«Quando qualcuno mi chiede a quale delle persone che abbiamo incontrato mi sono più affezionato, perchè magari mi ha colpito più di altre, ho una certa difficoltà a scegliere», conclude Pinto, «ma, se proprio dovessi, direi Andrea, l’operaio, uno dei primi che ho conosciuto, dopo Don Palmiro, perchè mi ha sempre colpito questa sua serenità e anche la contraddizione di un uomo che che ama l’ambiente, si è indignato per l’ambiente, pur lavorando dentro un petrolchimico. Una persona mediamente illuminata, che sa bene quali sono i problemi, ma ti dice che ha dovuto scegliere. E oggi è lì che coltiva il suo orto, ben sapendo quali sono i rischi. Forse è il personaggio più sorprendente perchè va a mettere il dito nelle piaghe, anche in virtù del fatto che è stato militante di Legambiente. Ha, infatti, fondato il circolo di Priolo, comune di quell’hinterland, nel quale la questione ambientale è tabù».
Per rivelare la memoria del paesaggio è stato fondamentale anche l’uso di materiali di archivio, provenienti sia da fondi pubblici quali Teche RAI, Archivio Storico Luce e Archivio audiovisivo del Movimento Operaio sia da filmati di famiglia che sono stati digitalizzati da CRicd – Filmoteca Regionale Siciliana.
Prodotto da Elda Productions (Francia) e Ginko Film (Italia) con il sostegno di Eurimages, del fondo Francia Italia CNC MIC, Sicilia Film Commission e Rai Cinema, ma anch con il patrocinio di Legambiente, era naturale che fosse la Sicilia il luogo dal quale far partire il tour che lo vedrà fare tappa in numerose sale cinematografiche: il 18 aprile a Palermo, il 19 a Messina e il 20 e 21 nella “sua” Siracusa, alla presenza contestuale dei registi e dei protagonisti. Sarà, poi, la volta di Roma, Brescia, nuovamente in Sicilia a Modica e Catania, per concludersi in Veneto e in Puglia, dove girerà le sale dal 2 al 6 maggio a partire da Taranto. Ma è solo l’inizio perché non è neanche uscito e già è stato selezionato al Fipadoc di Biarritz e ha ricevuto una menzione speciale al Festival dei Popoli di Firenze. Una strada, dunque, tracciata.
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