Il cantiere sociale della Caritas compie cinquant’anni
1971 - 2021, il prossimo 2 luglio la Caritas italiana compie mezzo secolo. La testimonianza di Mario Nasone, presidente del centro Comunitario Agape di Reggio Calabria
di Redazione
La Caritas ha raggiunto i 50 anni di cammino, sono stato tra i fortunati a condividere a livello nazionale soprattutto il primo periodo esaltante della sua nascita, quando ricoprivo l’incarico di vicepresidente nazionale del Mo.V.I. (movimento di volontariato italiano), la prima grande rete di associazioni guidata da Luciano Tavazza, da tutti considerato il fondatore del volontariato moderno.
Tra i grandi meriti storici da ascrivere alla Caritas guidata da grandi testimoni della carità come Mons. Giovanni Nervo e Mons. Giuseppe Pasini sicuramente c’è quello o di avere letteralmente scoperto un fenomeno sconosciuto per quei tempi, anche alla Chiesa, il volontariato. Un segno dei tempi, una mondo sommerso frutto della primavera conciliare che soffiò in tutta la chiesa Italiana, soprattutto nelle periferie e che vide protagonisti preti di frontiera come don Luigi Ciotti, don Italo Calabrò, don Franco Monterubianesi, don Elvio Damoli, don Gino Rigoldi, don Mario Picchi e tanti altri laici da loro formati e accompagnati che diedero vita ad un grande movimento di rinnovamento spirituale ma anche civile che portò ad una ventata nuova nelle Chiese Locali ed anche nella politica. Che affascinò e coinvolse tantissimi giovani reduci dal 68 che riuscì ad intercettare, a canalizzare in positivo la loro contestazione al sistema e spesso anche alla Chiesa istituzionale.
Nervo, Pasini, Tavazza di fronte a questo tesoro decisero di farlo venire allo scoperto, di valorizzarlo. Lo fecero organizzando negli anni settanta i grandi convegni nazionali del volontariato di Sassone, Cappella Cangiani, di Roma che aprirono il dibattito sul ruolo sociale, educativo e politico del volontariato che poi ebbe un riconoscimento nelle leggi nazionali e regionali, ma anche sul contrasto alle povertà, alla necessità di coniugare carità e giustizia. Con un volontariato che non accettava di fare supplenza allo Stato inefficiente, che chiedeva un cambiamento passando dalla logica della beneficenza ad un volontariato di condivisone di vita con i più poveri. Che anticipò le riforme fondando i consultori e le case accoglienza per ragazze madri, , i centri anti droga , le case famiglia per i malati di mente, l’affido ed i centri sociali per minori e giovani.
Un grande cantiere sociale che ebbe nella Fondazione Zancan a Malosco la sede per elaborare le nuove proposte di politiche sociali e del welfare moderno.Come non ricordare poi il ruolo del MoVI che con Luciano Tavazza guardava molto al volontariato nel mezzogiorno con i grandi eventi di Paestum su bambini e ragazzi al sud. Un altro compagno di viaggio di Luciano Tavazza in particolare fu Riccardo Bonacina che con la sua trasmissione televisa “Il coraggio di vivere” diede voce e spazio a quelle esperienze che dal basso davano risposte innovative ai bisogni emergenti e inauguravano una nuova partecipazione fondata sulla presa in carico delle persone più fragili e sulla socializzazione del territorio. Un impegno costante che proseguì poi con il settimanale Vita. Anche la Chiesa, lentamente, ne colse il valore e la valenza pastorale come esperienza esemplare per i giovani non solo di servizio agli ultimi, di palestra per una cittadinanza, ma anche occasione di evangelizzazione, di opportunità di arricchirsi di nuove vocazione anche religiose che portarono tantissimi laici a scelte per il sacerdozio e la vita religiosa maturate proprio nel servizio a Gesù sofferente, nei soggiorni sociali della Caritas, della piccola Opera e dell’Agape.
Una stagione che vide protagonista importante anche un pezzo di Chiesa reggina, con alcuni laici come Piero Modafferi (direttore per anni delle comunità di accoglienza della Caritas reggina) che parteciparono attivamente a quella azione di rinnovamento pastorale e soprattutto di Don Italo Calabrò, un pilastro della Caritas Italiana di cui fu vice presidente per diversi anni. (rifiutando l’incaro di succedere a Nervo per non lasciare le sue opere e la sua comunità).Fu Lui a insistere per arrivare a un altro grande risultato ottenuto dalla Caritas, convincere la Conferenza episcopale a stipulare la convenzione per gli obiettori di coscienza ed il servizio civile, un’altra piccola rivoluzione di cui ancora oggi godiamo i frutti, per avvicinare i giovani, anche quelli lontani dalla Chiesa alla scuola del servizio e del vangelo che chiede di farsi prossimo, di curare le ferite dei bastonati che si incontrano nelle strade della vita.
Un bilancio positivo, come ha ricordato Papa Francesco che ha riconosciuto alla Caritas di essere presente nella cura delle povertà anche durante la crisi della pandemia, ma non può essere vissuto come una rendita. Proprio la pandemia con le tante ferite che ha aperto deve costringere tutta la chiesa a ridefinirsi ed a ricollocarsi in un mondo che è cambiato e che pone nuove sfide se vuole essere fedele alla missione che il Signore gli ha affidato. Per riaffermare e rilanciare soprattutto la sua funzione pedagogica, di un organismo pastorale che aiuti tutta la comunità ecclesiale a vivere la carità, a mettere al centro i poveri gli scartati , ad investire ancora di più e con maggiore fantasia sul volontariato come spazio per i laici per vivere la loro responsabilità di costruttori del regno di Dio, di una Chiesa e di una società che continui il sogno di don Italo,di Nervo, Pasini e Tavazza, dove “nessuno sia escluso, mai” trasmettendo quell’entusiasmo e quella passione ecclesiale e civile che contagiarono tanti e che questi maestri di fede ci hanno lasciato in eredità.
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