Economia
I vini pugliesi “liberati” dalla mafia
Vini rossi, bianchi o rosati che portano il nome delle vittime innocenti di mafia. Vini che parlano di storie, che in Puglia, anche grazie alla legge 109/96 sul riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, vengono realizzati su terreni un tempo appartenuti alla criminalità organizzata. Oggi sono luoghi di economia, lavoro, inclusione.
Vini rossi, bianchi o rosati che portano il nome delle vittime innocenti di mafia. Vini che sanno di libertà, che parlano di storie, che invitano ad andare oltre alla degustazione del nettare di bacco per spiegare che dei simboli un tempo appartenuti alla criminalità organizzata sono diventati generatori di occasioni di lavoro, economia, sviluppo, inclusione. In Puglia, anche grazie alla legge 109/96 sul riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, l’imprenditoria agricola affida gran parte della sua produzione alla cura dei vigneti. Se il Veneto si conferma capofila in Italia con quasi 11milioni di ettolitri – secondo i dati di Assoenologi, Ismea e Unione Italiana Vini – la Puglia lo scorso anno si è piazzata al secondo posto con 8,5 milioni di ettolitri di vino, ed alcuni di questi vengono realizzati su terreni un tempo appartenuti a boss e clan mafiosi. Ed al di là dei vitigni, della quantità e della qualità organolettiche dei vini messi sul mercato – che comunque risultano eccellenti – alla base del percorso produttivo l’aspetto più rilevante è quello dell’inserimento socio-lavorativo di persone che provengono dal circuito della giustizia riparativa, migranti strappati dalle mani dei caporali, soggetti che arrivano da situazioni di profondo disagio sociale.
“Rosso Libero-Michele Cianci”
«Lavorare su un terreno confiscato alla mafia a livello sociale è molto importante, perché parliamo di terreni che non appartenevano a persone oneste ma a chi ha commesso dei reati. Questa esperienza mi sta cambiando molto, perché non frequento più gli ambienti di prima e mi sto reinserendo nella vita normale». Silvio De Bellis ha fatto parte del gruppo di lavoratori provenienti da situazioni di disagio e da percorsi di giustizia riparativa che lo scorso mese di settembre sono stati impegnati nella vendemmia sul bene confiscato alla criminalità cerignolana oggi intitolata a “Michele Cianci”, ucciso la sera del 2 dicembre 1991 per essersi opposto ad un tentativo di rapina.
Da quella raccolta è nato il vino “Rosso Libero-Michele Cianci”, frutto dell’ats “Le terre di Peppino Di Vittorio”, che da quasi un anno gestisce un terreno di circa 7 ettari a pochi chilometri da Cerignola. La prima produzione ha superato le 2.200 bottiglie e per il momento di “Rosso Libero” è entrato nel circuito delle vendite dirette e dei gruppi di acquisto solidale, in attesa di inserirlo anche nei canali della grande distribuzione «per sensibilizzare le comunità attraverso un prodotto etico e di qualità, dimostrando che è possibile mettere in campo azioni di antimafia sociale che mettono al centro il lavoro, le persone, il rispetto dell’ambiente» conclude Vincenzo Pugliese, dell’ats.
Da “Hiso Telaray” a “Renata Forte
“Hiso Telaray” è l’anima vitivinicola di Libera Terra in Puglia, una cooperativa che dal 2008 ha restituito valore e bellezza a terreni confiscati alla Sacra Corona Unita della provincia di Brindisi nei comuni di Mesagne, Torchiarolo, San Pietro Vernotico. Oltre trenta ettari di vigneti recuperati dopo anni di abbandono ed incuria, oggi coltivati in biologico, nel rispetto delle tradizioni e dell’ambiente, ed in stretta sinergia con Libera Terra «Ogni bottiglia di vino è dedicata ad una vittima innocente di mafia della nostra regione» ha spiegato Francesco Gigante, consigliere d’amministrazione di Terre di Puglia Libera Terra. Come l’etichetta che porta il nome di Hiso Teleray, la cui produzione arriva a 90.000 bottiglie. Il vino ottenuto con vitigno di Negroamaro è dedicato al «giovane migrante albanese che lavorava nei campi del foggiano ucciso nel settembre del 1999, a soli 22 anni, per non aver ceduto alle minacce dei caporali, e a tutti coloro che non chinano la testa dinanzi l’arroganza mafiosa».
Ma è l’intera produzione di vini a raccontare e far conoscere le storie di chi è caduto per mano della criminalità per non esseri piegato ai ricatti, alle corruzioni, alle intimidazioni. Il vino “Renata Forte”, per esempio, porta il nome dell’assessora al Comune di Nardò assassinata nel 1984 per aver cercato di difendere la sua terra. “Antò”, invece, è un Primitivo dedicato Antonio Montinaro, Caposcorta del giudice Giovanni Falcone morto nel 1992 nella strage di Capaci. E ancora: “Alberelli della Santa” conserva il sorriso dei giovani Michele Fazio e Gaetano Marchitelli, ragazzi baresi uccisi innocenti per mano mafiosa. A seconda della tipologia del vino prodotto per ogni prodotto viene individuato il canale di vendita più giusto.
Il vino “Franco”
Lo scorso anno, in occasione del 26° anniversario dell’omicidio di Francesco Marcone – Direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, ucciso dalla Società Foggiana il 31 Marzo del 1995 – ha fatto la sua comparsa il vino “Franco”. A realizzarlo, la cooperativa sociale Pietra di Scarto, che dal 2010 gestisce un bene confiscato alla mafia a Cerignola intitolato proprio alla memoria di Marcone. Il vino, un 100% Nero di Troia IGT, è ottenuto da coltivazione biologica.
«Per noi la memoria delle vittime innocenti di mafia è qualcosa di prezioso, che va trattato con cura. E’ un elemento multidimensionale che ci ricorda la vita che continua dopo la morte, soprattutto dopo una morte provocata per mano della criminalità» ha raccontato Pietro Fragasso, presidente della cooperativa Pietra di Scarto. «Il vino ci sembrava proprio il prodotto migliore per raccontare tutto questo. Perché il vino è convivialità, è stare insieme. Stare insieme vuol dire anche festeggiare e noi festeggiamo la vita che Francesco Marcone ha saputo incarnare fino alla fine della sua esperienza terrena. Con il vino facciamo un brindisi al futuro e all’azione che si deve generare, che deve avere la lotta alle mafie come priorità» ha concluso Fragasso. «Un’antimafia sociale che per noi è gioia di vivere, è la possibilità di raccontare un’esperienza positiva che non si limita ad essere simbolo, ma che incide sulla realtà attraverso lavoro, educazione, formazione».
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