Cultura
Gli archi di Pasqua sotto ai quali si anima una comunità
Si lavora ogni anno segretamente sino alla notte successiva per svelare nel giorno della Santa Pasqua la magnificenza delle opere realizzate tutte con il pane e decorate con elementi della natura. Gli "Archi di Pasqua" di San Biagio Platani tornano dal 20 aprile all'8 giugno per raccontare la capacità della comunità agrigentina di essere riuscita a proteggere una tradizione centenaria, trasformando un rito in modello

Ci sono luoghi in cui le mani diventano lo strumento per intessere storie di devozione religiosa che prendono forma come spettacolari architetture effimere che ogni anno incantano migliaia di visitatori. È una vera e propria magia ciò che accade a San Biago Platani, nel cuore dei Monti Sicani, dove dal 20 Aprile all’8 giugno vanno in scena gli Archi di Pasqua, simbolo di una comunità che ha scelto di rinascere proprio a partire dalla propria identità.
Gli Archi sono il cuore, ma attorno a essi c’è una comunità che crea. Un paese che sembrava destinato al silenzio oggi è una voce forte nel panorama culturale nazionale
Salvatore Di Bennardo, sindaco di San Biagio Platani
Identità che si rappresenta attraverso il pane, il grano, ma anche i legumi, i cereali, i salici e le canne, elementi della terra che vengono raccolti, maneggiati, impastati e ai quali viene data forma per trasformarsi da bozzetti a vere e proprie strutture coreografiche mantenute segrete sino al giorno di Pasqua dalle due confraternite dei Madunnara e dei Signurara che, separatamente, lavorano per fare ognuna più bella figura dell’altra, in una sorta di competizione che, alla fine, porta solo a dare il meglio a tutti.
E si sbaglierebbe a considerarlo solo un evento artistico, in quanto si tratta di lungo processo collettivo che dura mesi, cominciando nei magazzini del paese, dove ogni notte o in qualunque momento in cui la comunità è libera, si radunano artigiani, bambini, giovani e anziani, ognuno contribuendo con il proprio sapere, in una staffetta generazionale che tramanda tecniche, simboli e senso di appartenenza. Il tutto si illumina e viene svelato ai cittadini, ma anche ai tantissimi turisti che arrivano a San Biagio per l’occasione, la mattina di Pasqua, quando il borgo si trasforma in un museo a cielo aperto e la processione religiosa si fonde con la potenza visiva delle installazioni.

L’edizione 2025, poi, si carica di un doppio significato. Da un lato, la confraternita dei Madunnara celebra “Agrigento Capitale Italiana della Cultura”, rendendo omaggio al territorio e alla sua vocazione artistica e mediterranea. Dall’altro, i Signurara rispondono con un tributo all’ingegno degli abitanti del posto, “San Biagio Platani, paese dell’Arte 2025”, un grido d’orgoglio e di visione che racconta ciò che il borgo è diventato. Non solo un custode di tradizioni, ma un laboratorio vivo di cultura e rigenerazione.
Il pane impreziosito dagli elementi che regala la natura
«Io sono figlia di emigranti perchè i miei genitori sono nati e cresciuti in Svizzera», racconta Sabrina Circo, che a San Biagio Platani porta avanti un panificio e, nel tempo, ha anche costituito “Art’in pane“, associazione di sole donne che portano avanti la tradizione degli Archi di Pasqua, «ma, quando siamo tornati qui perchè la mia famiglia aveva le radici in questa terra, ho cominciato ad appassionarmi a quest’arte. Anche la più piccola rosa di pane mi sembrava un miracolo. Passione cresciuta velocemente, infatti ormai sono oltre 25 anni che tutta la famiglia fa parte di questa imponente macchina organizzativa. Neanche a dirlo, non ci sono soldi che possono ripagare l’impegno di ognuno di noi. Basti pensare che per mesi, dopo le attività lavorative che ognuno svolge durante il giorno, ci ritroviamo intorno alle 21 nei diversi magazzini dove realizziamo le opere, per rientrare a casa dopo l’una, le due di notte. Cosa potrenne motivare se non il sentirsi parte di una comunità che lavora per l’interesse collettivo?».

Solo il giorno di Pasqua San Biagio Platani rivela al mondo la bellezza delle sue opere
«Prima erano luoghi anche fatiscenti, con le porte sgangherate, senza finestre, dove si lavorava quasi in penombra, anche sopportando il freddo non indifferente, pur di raggiungere l’obiettivo», racconta Santina Pastorella, per tutti la maestra Santina -. «Portavamo con noi i bambini, che si addormentavano sui sacchi di farina. In effetti sono sempre stati dei veri e propri laboratori di arte. La menoria mi riporta alla mia infanzia quando, all’età di neanche 8 anni, facevo le bandierine per le strutture centrali: quelle rosse per la confraternita dei Signurara, le azzurre per quella dei Madunnara. Poi aiutavo a passare il bianco dell’uovo sulle marmurate, dolce tipico locale fatto di pane azimo ricoperto di glassa bianca. Andavamo, tutti noi bambini, a casa di una vicina, sperando che qualche marmurata si rompesse per prederne ognuno un pezzetto. Ogni tanto capitava ed era una festa».
Laboratori nei quali si costruiscono anche tutti gli elementi decorativi degli Archi di Pasqua
«Noi ci occupiamo dei fiori», aggiunge l’amata maestra di San Biagio, «e devo dire, con un pizzico di orgoglio, che sono bellissimi. Li realizziamo con la carta crespa. Una volta gli Archi di Pasqua duravano pochi giorni mentre oggi, dovendo restare allestiti per mesi, li trattiamo con la cera delle candele che li fa diventare come fosse ceramica. Un’esplosione di forme e colori che rende unica ogni struttura. Così come unica è questa tradizione. Oggi, che ho 77 anni, sono felice di insegnare ai più giovani i segreti di quella che è un’arte, le cui radici sono nella storia del nostro territorio».
Fondamentale nel mantenere viva la tradizione anche l’impegno profuso per fare crescere il territorio da tanti punti di vista. Grazie al progetto “Rigenerazione Archi di Piano 2030”, vincitore del Bando borghi, promosso dal Ministero della Cultura nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), infatti, San Biagio Platani è oggi protagonista di un importante intervento di riqualificazione urbana e culturale. La manifestazione degli Archi è il cuore pulsante di questo cambiamento. Attorno a essa si è costruito un sistema di opere e servizi che stanno restituendo alla comunità spazi prima dimenticati e nuove prospettive di sviluppo: la rifunzionalizzazione dell’anfiteatro con laboratori di musica e teatro, la nascita di un Centro per l’identità immateriale e l’Osservatorio del patrimonio culturale locale, così come l’apertura di un’ area camper multiservizi per l’accoglienza turistica in contrada Montagna.
Ed è in un’ottoica di crescita comune che un ruolo chiave lo gioca anche lo sviluppo di percorsi di autonarrazione comunitaria, condotti dall’associazione Maghweb, pensati per valorizzare lo sguardo delle comunità nel racconto del territorio e delle sue trasformazioni.

Inoltre, dal 6 al 18 maggio, evento atteso da molti, San Biagio Platani ospiterà l’Erasmus delle Aree Interne, un’iniziativa ideata dalla Rete Italiana dei giovani Facilitatori delle Aree Interne (Rifai), che vedrà arrivare giovani da tutta Italia per un confronto tra modelli ed esperienze di animazione territoriale. Un’occasione unica di dialogo tra regioni, di scambio tra realtà diverse ma unite dalla volontà di costruire un futuro possibile nei territori fragili, a partire dalla partecipazione.
Confronto che parte dalla partecipazione già attiva dei più giovani, non solo di quelli che, sino alla notte che precede la Pasqua, saranno all’opera in religioso silenzio. C’è, infatti, già chi, come Marika Nugara e Fulvio Sabella, giovani studenti di architettura, hanno raccolto il testimone. Cresciuti all’ombra degli Archi, oggi sono tra i progettisti della nuova generazione. Uniscono il sapere appreso sui libri con l’esperienza pratica sul campo. Una “staffetta di bellezza”, la loro, fatta di proporzioni, materiali naturali, strutture effimere e fortissima identità territoriale. Il loro sguardo giovane è già parte della storia.

Quanto può essere difficile o facile, a seconda dei punti di vista, unire la contemporanità alla tradizione?
«Si cerca di rimanere legati alla tradizione», spiega Marika, 27 anni a maggio, «perché l’identità degli Archi di Pasqua deve essere sempre forte ed emergere. Quello che, per esempio, abbiamo introdotto come innovazione è stata l’illuminazione delle “ninfe”, le strutture portanti, che oggi viene realizzata con i led, mentre negli altri anni si usavano le tradizionali lampadine. Una novità che non è da poco. Poi è bello vedere che sempre più giovani si appassionano, chiedendo anche aiuto per imparare. Se non ci fosse così tanta passione, come tanta volontà, in realtà andrebbe tutto perduto, anche perché la fatica è tanta. Si arriva sfiniti, ma soddisfatti di avere contribuito a proseguire la storia di una comunità che è anche un pezzo di storia della Sicilia».
Le foto sono state fornite da Maghweb, l’agenzia che cura la comunicazione dell’evento
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