Innovazione
Gaetano Giunta: «Dobbiamo ripensare il pensiero economico per costruire nuove visioni»
Un modello innovativo di sviluppo riconosciuto a livello internazionale. È la "Fondazione di Comunità Messina", la cui strategia guarda anche alla necessità di inglobare il concetto di limite e di complessità nei programmi e negli approcci teorici, Ne ha parlato il suo fondatore, Gaetano Giunta, nel corso della presentazione del Book Sicilia
Le esperienze non sono mai replicabili perché legate alle persone che le costruiscono e alle comunità in cui sono inserite
— Gaetano Giunta
Un periodo storico, quello che stiamo vivendo, in cui i flussi glocali soffiano molto più velocemente e molto forti per costruire identità territoriali. Per capire meglio quali strategie adottare per costruire nuove visioni, bisogna partire da alcune questioni generali per poi focalizzarci sulle strategie messe in campo da “Fondazione di Comunità Messina“
Prima di tutto la rivoluzione digitale. Siamo negli anni ‘70, l’accelerazione dei processi di cambiamento tecnologici diventa superiore alle capacità delle persone e delle società di assimilare questi cambiamenti e gestire attorno a questo un’etica e una cultura. Le conseguenze sono enormi: i processi di precarizzazione, la scomposizione del mondo del lavoro che da piramidale diventa quasi a clessidra, processi di finanziarizzazione dell’economia e di accentramento dei poteri tecnologici su scala globale, mentre le democrazie rimangono locali creando uno scompenso che poco ha a che fare con il rapporto tra Sicilia a Lombardia. Un flusso globale forte. Rispetto alla rivoluzione digitale che stiamo vivendo in questo momento, l’intelligenza artificiale e connessioni molto veloci. Ci sarà una seconda scomposizione del lavoro, questa volta in modo particolare sul lavoro di concetto, su quello che gli anglosassoni chiamano “white pollar”, ma le connessioni molto veloci forse apriranno a stili di vita di multi-località. Secondo elemento: una dissimmetria demografica senza precedenti. Le stime dei colleghi che si occupano di modelli fisico matematici ci dicono che, nell’arco di 30 anni, il nostro paese potrebbe perdere 12 milioni di abitanti. D’altra parte, per la dissimmetria climatica sta rendendo il nostro Paese sempre più piccolo con la conseguenza che le persone tenderanno a stringersi nelle parti di pianeta ancora ospitali per l’uomo. La Banca Mondiale stima che he nei prossimi 20 anni saranno 250 milioni circa le persone che migreranno per ragioni climatiche. Ultimo elemento: le diseguaglianze economiche e sociali di riconoscimento, su qualunque scala si osservi il pianeta, un’area vasta come il Mediterraneo, un territorio come il nostro Paese e, se scendi di scala, su una città scopri geometrie auto similari cioè la distribuzione della ricchezza ha sempre la stessa legge funzionale che è la regola e sta superando quel livello di prossimità che è necessario persino per lo sviluppo economico. Questi sono flussi generali che riguardano la Sicilia come la Lombardia.
Ma qual è la particolarità della Sicilia?
Intanto è una grande frontiera di questi flussi globali. Lo è climaticamente perché, se non invertiamo la tendenza dei modelli di sviluppo, si stima che nei prossimi venti anni – noi lavoriamo con l’International Centre for Theoretical Physics dove ci sono i colleghi climatologi che si occupano di questo – il 70% dei territori siciliani sarà desertificato e il clima sarà più simile a quello dell’attuale Libia. Questo se non ci sarà un radicale inversione di tendenza. Ma la Sicilia è anche frontiera per le migrazioni, in quanto importante snodo poiché la parte più vicina alla sponda sud e per alcuni versi alla sponda est del Mediterraneo dove ci sono i grandi flussi migratori. Ormai mi sembra palese che quell’ipotesi di sviluppo che non ha inglobato il concetto di limite e anche quello di complessità, non funziona più. Abbiamo la necessità sui territori non tanto di ragionare con logiche sindacali (primo settore, terzo settore, settore pubblico, ecc.), ma siamo davanti alla necessità di operare con umanità una vera e metamorfosi.
Perché è interessante e perché è così conosciuta fuori Fondazione di Comunità Messina?
Perché quello che sta facendo su basi teoriche solide e su basi modellistiche solide è provare a sperimentare sui territori modelli di sviluppo che, da logiche lineari e predatorie, si trasformano in logiche circolari che connettono ricerca scientifica e innovazione tecnologica con modelli di welfare comunitari. Se replicabili le esperienze, anche se io non penso che non siano mai replicabili perché sono legate alle persone che le costruiscono, alle comunità in cui sono inserite, alle competenze e alle reti di relazioni, ci dicono che c’è la necessità di inglobare il concetto di limite e di complessità nei programmi e negli approcci teorici, uscire della logica del continuare a perseguire modelli economici che si fondano sulle ipotesi antropologiche false e riduzioniste che dicono che l’uomo è una macchina perfettamente egoista. Per fortuna non è vero.
Due esempi chiariscono quel che voglio dire. Messina è una città che, in rapporto alla sua popolazione, ha il più alto disagio abitativo del mondo occidentale perché ancora circa 2mila famiglie vivono nelle baraccopoli originarie del terremoto del 1908, uno scandalo nazionale. Il sistema di baracche sta dentro una logica di controllo clientelare che vive tra criminalità organizzata e famiglie che, in maniera pianificata, controllano le baraccopoli non dando modo di organizzare processi autentici di liberazione. Per darvi un numero, per dirvi come ci sono auto similarità anche sugli indicatori macro, le persone che vivono nelle baraccopoli hanno una vita media di 7 anni minore dal resto della città. Non esiste nessun altro posto al mondo in cui attraversi la strada, esci dalla baraccopoli, fai dieci metri di strada e le persone vivono 7 anni di più. La stessa differenza di vita media che esiste tra la sponda sud e la sponda nord del Mediterraneo. La fondazione crea: un network internazionale di ricerca che ha messo insieme dall’MIT di Boston ai centri di ricerca più avanzati del nostro Paese e del Cnr per fare audit e prototipizzare alcuni elementi dell’architettura e dell’ingegneria sostenibile che potessero esser utili e costruisce anche teoricamente un’ipotesi modellistica di tipo economico ispirata al Capability Approach di Amartya Sen lavorando in maniera originale per lo sviluppo locale.
Il risultato finale? Ben 650 persone sono andate a vivere in una casa scelta.
Circa la metà in una casa di proprietà operando la più grande operazione di redistribuzione della ricchezza che nella mia città c’è stata dal dopoguerra a oggi. Secondo esempio che chiarisce questo approccio e che chiarisce perché abbiamo scelto la parola “complessità” per raccontare la nostra realtà: la Fondazione in questi anni ha promosso oltre 200 imprese social green, alcune delle quali – per noi strategia generale e in questo caso generalizzabile – workers buyout, per scongiurare ciò che solitamente accade con le imprese che vengono abbandonate perché non avrebbero continuità. Stiamo aprendo un fondo per raccogliere come fondazione imprese sane di imprenditori con l’obiettivo di restituirle ai lavoratori. Abbiamo già degli esempi vincenti, il più famoso è il Birrificio Messina, ma ce ne sono altri come le Ceramiche Pattesi e Caleca, fabbriche costruita tutte con ipotesi avanzate di sostenibilità ambientale. Avevamo il problema di cosa fare con le trebbie di scarto. Apriamo un programma di ricerca con il Dipartimento di Nanosistemi di Venezia e il nostro Dipartimento di Ingegneria per capire come queste trebbie potevano avere una seconda vita. Da considerare che oggi produciamo nanoplastiche, la fondazione rileva un’area collinare interna della città metropolitana di Messina, nel comune di Roccavaldina, un polo artigianale abbandonato che stiamo trasformando in polo di ricerca, polo di formazione, polo di coworking e il primo polo produttivo di questi nuovi bio materiali. Il polo artigianale sarà anche il nodo produttivo di una comunità energetica che diventerà fabbrica e borgo. Comunità energetica gestita da un hub che permette di redistribuire l’energia tra i nodi secondo algoritmi sociali cioè dà più energia e costi più bassi alle persone che hanno più bisogni e hanno comportamenti ambientali più virtuosi. Infine, quel polo di ricerca sta accompagnando il Comune verso un piano strategico più ampio ripensando il trasporto in termini sostenibili, avviando processi di rimboschimento che fanno dei quell’area un’area a minacce di Co2 e gas serra negativi per contribuire a contrastare processi di desertificazione della Sicilia e non solo.
Questi esempi chiariscono cosa vuol dire avere bisogno di luoghi di ricomposizione dei saperi: da quella rivoluzione digitale sono specialistici e non comunicanti o nanometrici, superficialissimi e non utilizzabili. La vita degli uomini e la vita della comunità, però, sono irriducibilmente complesse. Dobbiamo ripensare il pensiero economico, ma dobbiamo farlo su basi anche teoriche chiare. Noi non abbiamo bisogno soltanto di reti di pratiche, ma di reti di pratiche che siano anche pensate: ci servono per costruire nuove visioni. Fare metamorfosi è questo, avendo un pensiero nuovo. Questa è la grande sfida che dobbiamo affrontare da nord a sud, senza differenze.
Il Book Sicilia si può scaricare a questo link.
In apertura Gaetano Giunta (foto Fondazione Comunità Messina)
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