Economia
Francesca, l’imprenditrice che scommette sull’inclusione sociale
Si chiama Tela Fertile ed è l'azienda agricola di Villamar che va controcorrente: lavoratori con contratto a tempo pieno e collaborazione con le comunità residenziali per minori, puntando su innovazione e biologico puro. In questo angolo verde della Sardegna un nuovo modo di fare impresa, perché «il profitto non è l’unica ragion d’essere»
«Nel settore dell’agricoltura c’è un sommerso spaventoso, moltissime persone vi lavorano in nero. Io combatto questa logica perversa, non a caso ho due dipendenti a tempo pieno e indeterminato: qualcosa da fare, in azienda, si trova sempre». Francesca Masala, titolare dell’azienda agricola Tela Fertile di Villamar (Cagliari), ama andare controcorrente. La fantasia non le manca, come dimostra il nome dell’azienda: Tela Fertile è un gioco di parole che richiama il lavoro della terra, cioè la fatica, e il lavoro artistico che Francesca adora. Una via alternativa che ha un solo obiettivo: modellare uomini nuovi.
Aiutata dal marito Giovanni, nel 2013 si è trovata davanti al classico bivio che può cambiarti la vita. Quell’anno morì suo padre Rinaldo, che per tanti anni aveva gestito una consistente porzione dell’azienda avviata nell’Ottocento da suo nonno e suddivisa tra sette figli. «Non ho mai pensato di poter raccogliere il suo testimone», confessa Francesca. «Avevo la mia attività di consulente aziendale ed ero appagata sotto tutti i punti di vista. Ma devo ammettere che ero dispiaciuta all’idea di vedere andare in fumo oltre un secolo di sacrifici di quattro generazioni. Così ho deciso di proseguire, con il beneplacito di mia mamma e la piena collaborazione di mio marito».
Francesca l’ha fatto a modo suo: tuffandosi a capofitto nella nuova attività. «Ho commesso tanti errori e ancora ne commetto, perché comunque provengo da un settore completamente diverso», racconta. «Sto facendo esperienza tutti i giorni, sul campo, a volte andando a sbatterci il muso. Ma ho alcune idee molto chiare. Tra queste il rapporto con la gente, a cominciare dai miei principali collaboratori. Avrei potuto fare come tutti e prendere degli stagionali, ma non mi sembra la via migliore per aiutare la gente a stare bene. Credo invece nell’inclusione sociale, purché ci sia dietro un progetto ragionato e condiviso. Ognuno di noi deve restituire quanto ha ricevuto dalla vita. Mi ritengo una persona fortunata, la mia famiglia mi ha permesso di crescere bene e felice. Ma non per tutti è così. Ecco perché, nel mio piccolo, cerco di concorrere ad aiutare alcune persone a rimettersi in cammino e correggere la rotta. Insomma, il profitto non è l’unica ragion d’essere».
Le si illuminano gli occhi, quando parla dell’azienda che era guidata da suo padre. «Ho conosciuto i periodi difficili dell’agricoltura in Sardegna. Ricordo bene gli anni Ottanta, quando l’Unione Europea foraggiò l’espianto dei vigneti. Vivevano bene coloro che coltivavano la barbabietola da zucchero e il grano. Molti invece preferirono ricevere quei soldi e smettere di lavorare. Per me era inconcepibile, ai confini dell’assistenzialismo. Ho voluto fare importanti investimenti in questa azienda, puntando sull’innovazione e sul biologico puro. È una scommessa in cui credo, anche se sinora ci è costata una cifra».
Da imprenditrice sensibile e illuminata, Francesca ha dribblato le opportunità offerte dai fondi comunitari, statali e regionali. Privilegia, laddove possibile, la collaborazione con alcune strutture che si occupano di minori. «Non mi interessa avere lavoratori pagati a monte dalla pubblica amministrazione, anche se ciò significherebbe risparmiare un mucchio di soldi. Non cambierò il mondo ma, come sosteneva Gandhi, intanto inizio a cambiare me stessa. Poi qualcosa accadrà. L’agricoltura per me è un mezzo per restituire al mio territorio e alla comunità qualche opportunità di sviluppo sociale, prima ancora che economico. Ovviamente, cercando di fare impresa in maniera intelligente e illuminata. Da un po’ di tempo stiamo scommettendo sul recupero di oliveti secolari, con cui produciamo olio extravergine, e su una serie di legumi e cereali di cui nell’Isola si era persa traccia da mezzo secolo. E vogliamo preparare cibi pre-cotti utilizzando esclusivamente la materia prima prodotta dalla nostra azienda, coinvolgendo i minori di alcune comunità residenziali. Stiamo costituendo una rete tra entità che parlino lo stesso linguaggio. Noi possiamo essere inclusivi e accoglienti, ma alle spalle occorrono strutture altamente professionali che accompagnino i ragazzi in difficoltà. Non fosse stata per le restrizioni della pandemia, che condizionano soprattutto le comunità per minori, saremmo già partiti con un progetto ambizioso. Siamo bloccati da un anno, ormai, ma spero di poter avviare tutto nel 2021».
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