Giustizia in Sardegna
Detenzione, le comunità dialogano con le istituzioni: ecco la nuova strada
I responsabili delle otto strutture che fanno capo al Coordinamento regionale della Sardegna delle Comunità per l’accoglienza rivolta al mondo della detenzione, hanno incontrato l'assessore della Sanità per segnalare criticità e proposte d'intervento
Un più efficace coordinamento con il sistema della giustizia e l’avvio di una campagna di ascolto reciproco. Lo chiede a gran voce il Coordinamento regionale della Sardegna delle Comunità per l’accoglienza rivolta al mondo della detenzione, composto da otto realtà che da decenni svolgono un’intensa attività su tutto il territorio dell’Isola: cooperativa sociale “San Lorenzo” – Iglesias; cooperativa sociale “Il Samaritano” – Arborea (OR); cooperativa sociale “Ut Unum Sint” – Nuoro; cooperativa sociale “Comunità Il Seme” – Santa Giusta (OR); associazione di volontariato “Giovani in cammino” – Sorso (SS); associazione “Cooperazione e confronto – Comunità la Collina” – Serdiana (CA); cooperativa sociale “Casa Emmaus” – Iglesias; cooperativa sociale “Differenze” – Sassari. All’incontro ha partecipato anche il portavoce del Forum Terzo settore della Sardegna, Andrea Pianu.
Questa mattina nella sede regionale di Acli Sardegna, a Cagliari, i rappresentanti delle otto strutture hanno illustrato al neo assessore regionale dell’Igiene e sanità e dell’assistenza sociale, Armando Bartolazzi, un documento di analisi e proposte in merito al disagio delle persone nell’ambito della detenzione e al rilancio e potenziamento delle misure alternative al carcere. Si è parlato di sovraffollamento nelle carceri, del disagio delle persone nell’ambito della detenzione e pena, del rilancio e potenziamento delle misure alternative alla detenzione. «Gli episodi di pestaggi negli istituti penali per minori, il ripetersi di casi di suicidi, le stesse difficoltà che vivono i lavoratori del sistema delle carceri, richiedono un’attenzione che deve andare oltre i semplici proclami della disponibilità a favorire l’unico modo di alleviare il carico delle strutture: favorire concretamente le misure alternative alla detenzione», hanno più volte sottolineato i componenti del Coordinamento.
Le proposte sostanzialmente sono due, così riassumibili. «Intanto, occorre che la nostra rete possa coordinarsi in modo più efficace con tutto il sistema della giustizia (Tribunali di sorveglianza, carceri, Uiepe), in modo tale da rendere più coerenti i tempi di valutazione, verifica e approvazione da parte delle aree trattamentali degli istituti di pena, abbattendo così il lungo iter burocratico necessario per le autorizzazioni da parte dei magistrati di sorveglianza», è stato spiegato oggi. «Il Fondo dedicato dalla legislazione regionale al particolare servizio che svolgiamo, dalla sua istituzione ha passato varie difficoltà, comunque con trasformazioni positive che sono ancora molto distanti dalle vere esigenze di gestione. Infatti, i tempi delle attribuzioni delle risorse finanziarie rispetto a quelli di gestione restano inconciliabili con un servizio che vogliamo essere di qualità. Le strutture, indipendentemente dal numero di ospiti, sono tenute al pagamento del personale e delle tasse in coerenza e nel rispetto della legalità che insegniamo ai nostri ospiti, e in tempi che le procedure chiedono stringenti. La recente riforma Cartabia ha impostato un nuovo corso sulle misure alternative alla detenzione, avviando i percorsi della giustizia riparativa ma non ancora sul piano del coordinamento delle misure alternative nel loro complesso. Pertanto, riteniamo essenziale che il sistema cammini dentro un processo progettuale coerente che valorizzi tutte le risorse».
La seconda proposta riguarda l’avvio urgente di una campagna di ascolto reciproco, di fatto partita oggi con questo incontro, e «si rivolge ai Tribunali di sorveglianza per migliorare i meccanismi di attribuzione delle misure alternative; alle carceri per favorire un percorso coordinato e orientato allo sviluppo di percorsi educativi concettualmente e metodologicamente coerenti; agli Uiepe per una migliore connessione e definizione dei progetti educativi personalizzati; infine, alla Regione Sardegna per cambiare e migliorare i meccanismi di attribuzione delle risorse finanziarie, in coerenza con le esigenze del lavoro sociale che svolgiamo e della dignità dei lavoratori e dei nostri ospiti».
I fondatori e operatori delle strutture che aderiscono al Coordinamento sono molto noti nell’Isola per la serietà, la competenza e la capacità di progettazione: Gianluca Carboni, Antonello Caria, Antonello Comina, don Ettore Cannavera, Giuseppe Madeddu, Giovanna Grillo, don Gaetano Galia e don Pietro Borrotzu. Con le loro strutture scrivono da tempo, tutti i giorni, pagine di vita e progetti che ricostruiscono uomini e donne, minori e adulti, in un percorso virtuoso di ri-nascita. Ma la volontà non è più sufficiente, sono richieste sempre di più professionalità di alto profilo che vanno pagate adeguatamente e in tempi certi. Le istituzioni non possono fingere indifferenza di fronte a questi problemi, che si trascinano da troppo tempo.
«Le nostre strutture sono nate nel solco del percorso costituzionale, generando in Sardegna una rete originale e peculiare che opera ormai da oltre 30 anni», spiegano. «Il nostro Coordinamento nasce nel 2015 dall’esigenza delle associazioni e cooperative sociali costituenti, già operanti nel settore anche all’interno di apposite strutture presenti nel territorio regionale, di comunicare alla società civile che è possibile affiancare le persone entrate nel circuito penale e sostenerle nel percorso di un cambiamento che porti all’autodeterminazione e ad abbassi il livello della recidiva. Tale convinzione si fonda nell’art. 27 della Costituzione Italiana».
Non è solo un problema di risorse finanziarie. I responsabili delle strutture spiegano che «in caso di difficoltà di gestione dell’ospite o della inadeguatezza dell’inserimento (ad esempio detenuti psichiatrici o con problemi di dipendenza patologica), permangono tempistiche lunghe per la revoca della misura di affidamento alla struttura. Oppure, nei casi di minori, molti ragazzi attualmente in carcere minorile hanno serie patologie psichiatriche che vanno trattate adeguatamente. I posti letto nelle strutture residenziali specialistiche ad alta intensità sono troppo pochi. I minori vengono inseriti in strutture inadeguate all’accoglienza della loro gravità, con conseguenze importanti sugli stessi ragazzi e sul gruppo dei pari. Inoltre, l’80% di loro ha anche una diagnosi di dipendenza patologica (spesso cannabis e alcol) non diagnosticata e non seguita dai servizi».
Decisamente simbolico il luogo da cui si è collegato don Pietro Borrotzu. «In questo momento mi trovo alla colonia penale di Mamone con una classe di un liceo di Nuoro», ha spiegato. «Dalle scuole passa il cambiamento culturale che non riguarda soltanto gli adulti, se è vero che anche molti ragazzi mostrano una cultura giustizialista». Forcaiola, l’ha invece definita invece don Ettore Cannavera. Un po’ tutti i convenuti hanno battuto su un punto: eliminare le carceri minorili per destinare i giovanissimi detenuti a realtà strutturate come queste: si ottengono migliori risultati di recupero, a vantaggio della collettività, e pure lo Stato risparmia tanti soldi.
L’assessore Bartolazzi, dopo aver ascoltato gli interventi, ha detto che sono problemi che lui conosce molto bene. «Nel quartiere di Roma dove sono nato e cresciuto, molti giovani sono rimasti invischiati nella criminalità: alcuni hanno fatto molto carcere e si sono rovinati, altri addirittura sono morti», ha spiegato. «La Sardegna ha una realtà differente dalla maggior parte delle altre regioni italiane. Qui ci sono strutture di eccellenza che possono salvare tanti ragazzi. I detenuti devono potersi riscattare ed essere reinseriti in un contesto di inclusione sociale reale. Sono contrario in generale al carcere, purché ci sia una valida alternativa. Qui c’è. Aiutatemi a mettere in campo azioni adeguate, ma coinvolgiamo anche la magistratura».
Non si esclude che, nei prossimi mesi, la Regione possa organizzare una giornata di lavori che coinvolgano non solo il Coordinamento ma anche il ministro della Giustizia, i magistrati di sorveglianza, i direttori degli istituti di pena e la Garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa. «Dobbiamo avviare una stagione di dialogo a tutti i livelli», ha detto Bartolazzi. «Ma voi dovete comunicare meglio all’esterno i risultati che state ottenendo con il vostro lavoro».
Il direttore generale delle Politiche sociali, Giovanni Deiana, è intervenuto per ricordare che «dal 2006 in Sardegna esiste un fondo per queste comunità sarde, pari a 1,9 milioni di euro l’anno. Andrebbe inserito nella Finanziaria a inizio anno, per non rincorrerlo per mesi. Questo contributo non è diffuso in tutte le altre regioni. Il ministero non interviene, la Regione Sardegna sì perché il Consiglio regionale ha ben compreso il significato sociale dell’intervento». Se le otto strutture residenziali lavorassero a pieno regime (il tetto massimo è fissato in 16 detenuti per struttura, per un totale di 128 posti letto), basterebbero tra i 500mila e il milione di euro aggiuntivi per pagare tutti i costi. «Ma è più importante avere la certezza dei tempi dell’erogazione», hanno fatto notare i componenti del Coordinamento.
«Oggi si è fatto accenno più volte alla Costituzione», ha commentato la deputata sarda Francesca Ghirra. «Ebbene, questo apparato normativo è il più violato, soprattutto per quanto riguarda i diritti umani. Dopo il Decreto Caivano, c’è stato un aumento esagerato di arresti di minori. Ma non è questa la strada per tirarli fuori da un percorso di illegalità».
In Sardegna sono presenti dieci carceri: le Case circondariali di Lanusei, Oristano, Sassari-Bancali e Tempio Pausania; le Case di reclusione di Alghero, Arbus – Is Arenas e Isili; le Case circondariali e di reclusione di Cagliari-Uta e di Nuoro; le ex colonie penali di Is Arenas, Mamone e Isili. Al 31 maggio 2023 erano detenute in Sardegna 2.079 persone (dati ministero della Giustizia). Le donne detenute nell’Isola sono il 2% del totale dei detenuti, mentre gli stranieri sono il 22,7%. In questo periodo, nel carcere minorile di Quartucciu (l’unico nel territorio regionale), sono presenti soltanto 5-6 ragazzi, anche a causa dei lavori di ristrutturazione in corso.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.