Tra memoria e solidarietà
Dal sangue versato al sangue donato, nel nome delle vittime di mafia
L'associazione della moglie di Antonio Montinaro, caposcorta di Giovanni Falcone morto a Capaci nel 1992, prosegue il tour per l'Italia insieme a Donatori Nati, realtà di volontariato della Polizia di Stato che sensibilizza i cittadini a donare il sangue. Per la prima volta questa testimonianza è arrivata in Sardegna
Quarto Savona 15, per la prima volta, è arrivata in Sardegna. O, meglio, a Cagliari è sbarcato ciò che resta della Fiat Croma blindata su cui viaggiava la scorta del giudice Giovanni Falcone, alle 17:57 del 23 maggio 1992, quando 500 kg di tritolo hanno fatto impietrire l’Italia. Custoditi in una enorme teca scortata dagli agenti della Polizia, i rottami aggrovigliati stamane hanno richiamato l’attenzione di centinaia di persone, tra cui moltissimi studenti. Sono state le parole di Tina Montinaro a far capire, in particolare a coloro che 32 anni fa non erano ancora nati, che cosa è accaduto nella strage di Capaci e come è cambiato il mondo da allora.
«Il dolore ce l’ho ancora dentro, sarebbe sciocco negarlo. Ma ho la lucidità e la determinazione per andare avanti in questo progetto tra memoria, legalità e donazione». Così ha esordito Concetta Mauro Martinez, da tutti conosciuta con il diminutivo Tina e il cognome del marito, di fronte a una platea attenta di circa 200 studenti delle scuole superiori di Cagliari, ospiti per l’occasione nella struttura di Tiscali, a Sa Illetta. L’incontro rientra nel progetto “Dal sangue versato al sangue donato”, curato dall’associazione “Donatori Nati” della Polizia di Stato in stretta collaborazione con l’associazione “Quarto Savona 15”, fondata e presieduta dalla stessa Tina e così denominata in ricordo del nome in codice della scorta del giudice Falcone.
La moglie di Antonio Montinaro («Ci tengo a considerarmi così, lui è ancora vivo nel mio cuore e nella mia mente», ha precisato) ha mostrato una grande forza d’animo, un carattere vulcanico e persino una buona dose di ironia, da sfoggiare quando occorre. Ha acchiappato subito i presenti, non solo gli studenti ma anche i loro insegnanti e i rappresentanti delle istituzioni. Lo stesso è accaduto in un’affollata piazza del Carmine, a Cagliari, quando la teca è stata portata e svelata in tarda mattinata, in un momento più ufficiale che ha coinvolto la cittadinanza.
«Sono napoletana, Antonio era pugliese, ma dopo quel giorno non ho avuto dubbi: sono rimasta a Palermo», ha spiegato Tina Montinaro. «Avrei potuto vivere più serenamente nella mia città d’origine, ma così avrei reso vana la morte di mio marito. Che aveva 24 anni quando ha voluto lasciare la Lombardia per andare a Palermo e offrire il suo contributo nella lotta contro la mafia. Era consapevole dei rischi che correva e non si è tirato indietro perché credeva in Falcone e nei valori della Patria e della legalità. È stato difficile spiegare ai miei figli, che allora avevano quattro anni e mezzo e 21 mesi, ciò che era accaduto e soprattutto il perché di quella ferocia. Ma siamo andati avanti a testa alta: sono quei criminali a dover tenere la testa bassa».
Come si fa a non avere paura, le hanno chiesto gli studenti. «Tutti hanno paura, l’importante è gestirla e non lasciarsi sopraffare. Altrimenti diventa difficile vivere. La presenza di tanti giovani mi incoraggia a proseguire in questa strada. E questo progetto abbina la lotta alla mafia e la donazione, in questo caso di sangue. Perché è un gesto d’amore che praticamente tutti, o quasi, possono fare e salvare tante vite umane. Questi atti di generosità ci fanno mettere da parte l’indifferenza, che uccide più della mafia. Ragazzi, non voltate mai la faccia fingendo di non vedere: avete tanto da dare, non abbiate timore. Noi abbiamo commesso tanti errori, spetta voi ora cercare di trovare una strada migliore per il vostro futuro».
«Mio marito era davvero un bellissimo giovane, e neppure io scherzavo», ha aggiunto, strappando sorrisi e applausi durante l’incontro nella sede di Tiscali. «Ma io mi sono innamorata di Antonio quando ho capito che grande uomo era. Quel giorno è cambiata la mia vita e quella di altre famiglie, ma ogni volta che giro per l’Italia e incontro tanta gente che non conosco, mi rendo conto di quanto sia importante tenere viva la memoria. Ricordatevi, ragazzi: noi, tutti insieme, siamo più forti di loro».
Gli studenti non si sono fatti pregare per donare il sangue all’autoemoteca dell’Avis provinciale di Cagliari, parcheggiata a pochi metri. «Grazie a quanti donano, c’è tanto bisogno di sangue ma, purtroppo, in molti territori c’è una grave carenza di sacche. Soprattutto in Sardegna», ha detto Claudio Saltari, presidente nazionale di Donatori Nati. Sulla stessa linea l’intervento dell’avvocato Luigi Trudu, consulente legale dell’Associazione italiana leucemie – Ail, testimone diretto dell’importanza di dare il sangue periodicamente. «Io sono un ricevente, cioè una persona che ha beneficiato della generosità di tante persone», ha spiegato. «Avevo la leucemia e per un anno intero sono stato ricoverato in ospedale. Da solo, in una camera sterile, attaccato ai macchinari che pompavano il sangue. Io ce l’ho fatta, sono stato fortunato rispetto a molti altri pazienti, ma non ce l’avrei fatta se non ci fosse stata la disponibilità di tante sacche di sangue del gruppo compatibile».
La giornata intensa e ben organizzata, che domani sarà replicata a Sassari e giovedì a Oristano, si è conclusa con un gesto altamente simbolico e commovente. Marcello ed Emanuela Loi, rispettivamente fratello e nipote dell’agente di Polizia Emanuela Loi che morì nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992, hanno consegnato a Tina Montinaro un bouquet di fiori a nome del questore di Cagliari, Rosanna Lavezzaro, presente in piazza a fianco al prefetto Giuseppe Castaldo, al presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini, e ai massimi dirigenti di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza, Vigili del fuoco e Forze armate. Anche la Sardegna ha pagato il suo dazio nella battaglia contro le mafie e non dimentica.
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