Giustizia

Dal carcere di Agrigento il grido di 55 detenuti: «Stiamo morendo di fame e freddo»

Scaturisce dalle condizioni di vita nelle celle, ma anche dalle restrizioni rispetto a cibo e vestiario previste dalla circolare emanata dal Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria in Sicilia, Maurizio Veneziano, la lettera di 55 detenuti della casa circondariale di Agrigento, divenuta denuncia grazie al sostegno dell'associazione "Quei Bravi Ragazzi Family Onlus"

di Gilda Sciortino

No a giubbotti imbottiti, niente lenzuola di pile e scaldacollo,  blocco all’ingresso di farina, lievito, salumi e formaggi. Questo per quel che riguarda quei beni “di conforto” che dovrebbero servire a combattere il freddo in carcere e, quindi, evitare eventuali malori, così come generi alimentari, anch’essi a quanto pare, paradossalmente, considerati di lusso.

Queste le ultime disposizioni della circolare del Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria in Sicilia, Maurizio Veneziano, considerata discriminante rispetto ai detenuti siciliani, in quanto vieta beni essenziali consentiti altrove.

Se, poi, a questo aggiungiamo che un solo lavandino per cella viene usato come bidet, lavello e per l’igiene personale, che le docce sono senza acqua calda e le celle infestate da scarafaggi, blatte e topi, possiamo capire il limite di sopportazione raggiunto dai detenuti, tanto da fare scrivere e firmare a 55 di loro una lettera diventata denuncia, ora depositata alla Procura di Agrigento.

La lettera dei detenuti

È un grido d’allarme sulle condizioni disumane definite “una violazione sistematica dei diritti fondamentali e una tortura silenziosa”

Guendalina Chiesi, avvocato

Angela Crugliano, Concetta Pirito ed Erminia Cotena sono le mogli e sorelle di alcuni detenuti rinchiusi nella struttura che, per il momento, parlano attraverso l’avvocata Guendalina Chiesi, vicepresidente dell’associazione “Quei Bravi ragazzi family Onlus”, a cui i familiari si sono rivolti.

Il documento, indirizzato anche al Garante nazionale dei detenuti e al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, descrive un quadro drammatico anche rispetto alle condizioni in cui si è costretti a vivere i detenuti della struttura detentiva, le cui celle, progettate per una persona, sono occupate da quattro detenuti, con brande arrugginite, materassi infestati da acari e spazio vitale inferiore a 3 m² a testa. Senza contare la violazione della privacy. Basti pensare che lo spioncino posizionato di fronte alla doccia, viene giustamente visto come “uno sfregio alla dignità”.

«L’azione intrapresa da noi familiari», si legge nella denuncia «si pone come una battaglia di civiltà anche in nome della società civile sensibile alle problematiche del carcerario. La dignità è un diritto di ogni essere umano. Il carcere è già il loro pegno da pagare,  ma la pena deve essere scontata con umanità e dignità. Tralasciando gli indumenti firmati, che può essere o meno condivisibile vietarli al fine di garantire una parità di condizioni a tutte le persone private della libertà, indipendentemente dalle loro condizioni sociali, economiche e di appartenenza, non si spiega la ragione per cui sono vietate le lenzuola o pigiami in pail, plaid o giubbotti, soprattutto con il freddo invernale e con l’assenza di riscaldamenti, anche con la consistente umidità dal momento in cui quando piove l’acqua entra anche nelle celle. Parimenti non si comprende la ragione per la quale i detenuti delle carceri siciliane debbano essere privati dei generi alimentari primari come la farina, il lievito, i salumi e i formaggi».

Grave e con conseguenze immaginabili la mancanza di spazio nelle celle perchè, non avendone per riporre il vestiario, il disagio va oltre il limite di sopravvivenza.

«Le cosiddette “brande”», prosegue la dettagliata denuncia ,«presentano ruggine e i materassi sono vecchi e sporchi, tempestati di acari, a riprova dell’elevato numero di contagi da scabbia, non consentendo un adeguato riposo, ripercuotibile, a disturbi di natura posturale».

Ce n’è anche rispetto a quei momenti in cui i detenuti del carcere di Agrigento dovrebbero potere interagire con i familiari.

«I colloqui in chiamata, videochiamata e in presenza con le famiglie sono limitati. Vengono, infatti, concesse solamente due chiamate al mese della durata di 10 minuti, mentre, secondo la legge di ordinamento penitenziario, ne sono previste almeno 4  al mese in regime di alta sicurezza e 6 al mese in media sicurezza. Infine, anche se l’elenco è lungo e doloroso, i detenuti trascorrono più ore al giorno in cella senza poter accedere ad aree di passeggio e hobby adeguate. Nella saletta fumatori viene svolta l’attività di scuola alberghiera, spazio in cui pure si cucina, si svolge l’attività di palestra e la messa».

Reatrizioni, carenze, commistione di servizi non giustificati dalla mancanza di spazi che i detenuti non sopportano più, considerando tutto questo una palese violazione dei diritti sanciti  dalla Costituzione. Non lo sopportano più soprattutto i familiari, costretti a scontare una doppia sofferenza, quella dei loro cari, seppure consapevoli del fatto che la pena vada scontata, e la loro,  quella che combatte ogni giorno contro la paura di ricevere qualche brutta notizia.

«La disparità di trattamento tra i detenuti delle carceri siciliane rispetto a tutte le altre d’Italia è evidente», commenta  l’avvocato Guendalina Chiesi, «e si aggiungono alle condizioni  inumane, degradanti, d’igiene che si vivono in molte strutture del nostro Paese, dove è impensabile che siano costretti a lavarsi il viso e a farsi il bidet nello stesso lavandino in cui lavano i piatti e le padelle. In più, in Sicilia, in quanto regione a statuto speciale, si hanno ambiti di autonomia tali da poter emanare delle circolari regionali come quella che mette i paletti su tante cose. Inevitabile, quindi, presentare questa denuncia-esposto alla Procura di Agrigento,  al magistrato di sorveglianza, ai garanti nazionale, regionale, provinciale e comunale, anche al DAP. Purtroppo, dietro il pretesto della sicurezza, si nasconde un sistema per arricchire l’erario. Lo Stato lucra sulla pelle dei detenuti».

Uno Stato che affama i detenuti, lasciando che le loro ossa assorbano l’umidità che in inverno abita le anguste celle del carcere? Quale la ratio?

«Quale la ratio?», tuona Nadia Di Rocco, presidente dell’associazione “Quei Bravi Ragazzi Family Onlus“, che opera su tutto il territorio nazionale in difesa dei più fragili, tra cui ovviamente i detenuti. «È presto detto. Non so se tu hai mai visto il listino prezzo all’interno di un carcere. Stiamo parlando di cose assurde. Se una bottiglietta d’olio di mezzo litro fuori la paghi al massimo 6 euro, dentro arriva a costarti anche 15 euro. Così come shampoo, detersivo, qualsiasi cosa. Quindi, se io vieto a te familiare di introdurre alcuni alimenti, il detenuto è costretto a comprarlo all’interno, andando a incrementare le cassa del business di quell’appalto vinto dentro quel carcere. Lo scrivono gli stessi detenuti nella loro lettera. Sono cose da Medioevo, da Inquisizione, affamare, tenere al freddo. Attenzione, i detenuti e le loro famiglie non stanno chiedendo la libertà, ma il rispetto della loro dignità, così come recita l’art. 27 della Costituzione. La detenzione deve tendere alla rieducazione, non può assolutamente consentire sopprusi, abusi, torture e violenza».

La denuncia cita, infatti, articolo 27 della Costituzione e l’articolo 3 della CEDU, oltre a precedenti sentenze della Corte Europea (come il caso “Torreggiani c. Italia” del 2013) che hanno condannato il Paese per trattamenti disumani.

«Le celle del carcere di Agrigento replicano le stesse condizioni per cui l’Italia è stata sanzionata», aggiunge l’avv. Chiesi. «Qui si violano anche le regole minime del DPR 230/2000 su igiene e spazio vitale».

vita a sud

Alla denuncia seguirà anche un’interrogazione parlamentare per chiedere conto e ragione di quanto accaduto e per porre dei paletti rispetto al futuro. Ma si poteva evitare di arrivare a tanto?

«Quello che posso dire è che, rispetto alla circolare, i primi sentori li abbiamo avuti a ridosso delle festività di fine anno», spiega il Garante dei diritti dei detenuti di Sicilia, Santi Consolo «perché, presso l’Istituto Penitenziario di Siracusa, era stata applicata addirittura con anticipo rispetto alla data di entrata in vigore della Circolare che doveva essere il 13 gennaio. Il malessere maggiore era determinato dal divieto di acquistare o ricevere dai familiari le farine e i lieviti per i dolci. Addirittura, per i detenuti napoletani, anche il grano col quale, nel corso delle festività, è risaputo che si confezionano i dolci per avere un minimo di conforto. Uno su tutti la famosa pastiera napoletana. Altre limitazioni riguardavano i capi di abbigliamento con un’elencazione abbastanza lunga di marche che non potevano fare ingresso perchè considerate di lusso. I direttori degli istituti, a quanto pare, hanno fatto delle osservazioni che, anche se magari qualcuna può essere stata rivista, resta il fatto che rimane una circolare che ha una sua singolarità, perché trova applicazione solo in Sicilia. Una situazione che non può essere lasciata correre, infatti, se persisterà questa disparità di trattamento per la nostra Regione, scriverò personalmente sia al garante nazionale sia al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria perchè non possono esistere tante e tali disparità in nessun carcere».

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