Ambiente

Cambiamenti climatici: la Sardegna tra adattamento e sfida collettiva

Una nuova iniziativa del Forum Terzo settore Sardegna per conoscere le strategie di Regione e Città metropolitana di Cagliari in materia ambientale. Si comincia a puntare sui progetti condivisi con gli enti locali e la partecipazione attiva del mondo del volontariato e dei cittadini

di Luigi Alfonso

“Adattarsi al clima che cambia: una sfida collettiva. Qual è il ruolo del Terzo settore?”. Il titolo scelto dal Forum Terzo settore Sardegna per un nuovo incontro con i rappresentanti degli enti pubblici e del privato sociale racchiude due parole chiave che possono indicare una strada percorribile, alla luce dei fenomeni climatici che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte. Adattamento e collettivo sono le parole che ci propongono una soluzione di autodifesa, che da sola però non basta. L’iniziativa promossa dal Forum, tuttavia, ha permesso di conoscere alcune informazioni che sinora erano rimaste un po’ sottotraccia. Per esempio, le strategie della pubblica amministrazione (nello specifico, della Regione Sardegna e della Città metropolitana di Cagliari) di fronte a problematiche che riguardano tutti.

L’incontro che si è tenuto nei giorni scorsi alla sede cagliaritana del Csv Sardegna ha mostrato segnali di speranza. Una volta tanto, la politica ha fatto un passo indietro e ha permesso ai tecnici dell’amministrazione regionale di lavorare su questa complessa tematica, con un intreccio di competenze che ha consentito di arrivare a tracciare la Strategia di sviluppo sostenibile, la cui cabina di regia è stata affidata all’assessorato regionale della Difesa dell’ambiente. Il direttore del servizio di sostenibilità ambientale, Gianluca Cocco, ha spiegato che «dal 2018 ad oggi la Regione Sardegna ha costruito un percorso che, attraverso tre delibere di Giunta, ha messo i paletti per un ciclo di programmazione di lungo respiro. Il lavoro svolto è perfettibile, ma almeno abbiamo capito come possiamo utilizzare i vari fondi comunitari disponibili senza inutili sovrapposizioni. È stato un lavoro enorme di condivisione partecipata e trasversale tra quasi tutti gli assessorati perché la sostenibilità non riguarda soltanto l’ambiente. Abbiamo cercato di intercettare le reti e tutti gli attori coinvolti in questo ambito: l’obiettivo è quello di progettare un green deal in chiave sarda, con un target fissato al 2030. Siamo partiti dal progetto europeo “Life Master Adapt”, lavorando con i più bravi, e continuiamo su quel solco. È un processo molto complesso. Oggi abbiamo un quadro più chiaro sulla piovosità da qui al 2050, che ci aiuta a capire gli scenari prossimi futuri. Credo che i Ceas, Centri di educazione ambientale della Sardegna, siano un’ottima opportunità per informare correttamente tutti i cittadini isolani».

Gianluca Cocco (Regione Sardegna)

«Il cambiamento climatico è un fenomeno che non possiamo più ignorare», ha commentato Andrea Pianu, portavoce del Forum Terzo settore Sardegna. «I dati scientifici sono chiari e inconfutabili: le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica stanno aumentando, il livello del mare sta salendo, le temperature si stanno innalzando e la frequenza dei disastri naturali sta diventando sempre più alta. Altrettanto si può dire per le concentrazioni di gas serra, come CO2 e metano. Ma insieme possiamo ancora fare molto per combattere il cambiamento climatico. Iniziamo diffondendo la consapevolezza e promuovendo comportamenti e stili di vita sostenibili. Possiamo trasformare le città rendendo i suoli più permeabili, e aumentando il verde urbano, possiamo trasformare il nostro modo di spostarci, passando a veicoli elettrici o utilizzando i mezzi pubblici, dato che il trasporto rappresenta circa un quarto di tutte le emissioni di gas serra. Infine, possiamo sostenere le imprese locali che utilizzano e promuovono pratiche sostenibili e intelligenti per il clima. Ognuno di noi può fare la sua parte, ma è l’azione collettiva che può davvero fare la differenza. In questa direzione, il ruolo del Terzo settore può svolgere, in collaborazione con gli enti pubblici, un ruolo fondamentale».

Come e quanto sta cambiando il clima? Lo ha spiegato con dovizia di particolari Carlo Torchiani, meteorologo, colonnello dell’Aeronautica in pensione che ora svolge un ruolo di consulenza per vari enti. «Le variazioni climatiche sono di origine naturale e antropica», ha ricordato Torchiani. «Nel tempo si è modificata la situazione del globo terracqueo, è cambiata l’atmosfera, sono comparse le diverse forme di vita che hanno contribuito a modificare il quadro generale. Negli ultimi 400mila anni, cioè nelle ultime glaciazioni, abbiamo avuto un aumento della CO2 nell’atmosfera, con le conseguenti variazioni delle temperature. Dopo l’ultima glaciazione, quella cosiddetta di Würm, ci troviamo in una fase interglaciale. Alcuni secoli fa c’è stato un periodo in cui le temperature sono state persino più alte rispetto a questi ultimi anni, ma poi le precipitazioni sono state decisamente abbondanti: ecco perché in Africa, là dove oggi ci sono deserti inabitabili, un tempo c’erano insediamenti umani. Nell’anno Mille, l’innalzamento delle temperature ha permesso ai vichinghi di colonizzare la Groenlandia. Successivamente c’è stata una diminuzione delle temperature e, intorno al 1450-1470 d.C., in Francia si è arrivati a commerciare il vino ghiacciato, tagliato con l’ascia e venduto al peso. Ora assistiamo a un nuovo quadro. Voglio dire che certe situazioni sono cicliche, non costituiscono una novità in assoluto».

Carlo Torchiani (primo da destra) durante il suo intervento

Torchiani ha poi mostrato una serie di dati molto interessanti. Sino al periodo pre-industriale, la CO2 nell’atmosfera non ha mai superato le 300 ppm (parti per milione, ndr) su metro cubo. Oggi siamo arrivati a 423 ppm. «Significa che si sta verificando qualcosa di diverso rispetto ai periodi precedenti. Se pure riuscissimo a chiudere oggi i rubinetti di tutto ciò che produce CO2, dovremmo tenere conto di un fattore: questo gas ha una persistenza nell’atmosfera che varia dai 20 ai 200 anni. Ecco perché, se non si azzera l’emissione di CO2 entro il 2050, non possiamo avere previsioni rosee per il futuro del pianeta. Francamente, vista la situazione attuale, la riduzione del 90% di questo gas entro il 2040 mi sembra un obbiettivo irraggiungibile».

I settori che inquinano di più sono, notoriamente, quelli energivori (industria e trasporti) che, uniti al consumo di energia dei singoli edifici e altre voci minori, arrivano al 73% complessivo. Il 19% riguarda invece agricoltura, silvicoltura e utilizzo del suolo (dati Ispi). La Cina è di gran lunga il Paese più inquinante, con 9,8 miliardi di tonnellate di CO2 emessa nell’aria ogni anno. In Italia, la Sardegna detiene il record di CO2 (9 tonnellate per abitante) mentre la regione più virtuosa è la Campania (2,1); la media nazionale si attesta su 4,9 tonnellate per abitante.

Le emissioni di anidride carbonica in Italia

Lo scioglimento dei ghiacciai produrrà un serio problema aggiuntivo, legato al permafrost, cioè lo strato di terra permanentemente gelato in certe aree della Terra. È stato calcolato che contiene 1.700 miliardi di tonnellate di carbonio sotto forma di CO2 e metano. Il suo parziale scioglimento determinerà un massiccio aumento dei gas serra. «L’innalzamento delle acque previsto da qui al 2050 è di 60-70 centimetri, con conseguenti ripercussioni in città come Venezia, Taranto, Oristano e Cagliari», ha precisato Carlo Torchiani. «Ma a me non piace fare terrorismo psicologico, preferisco studiare in maniera approfondita questi fenomeni. Ci sono alcune teorie che ci dicono qualcosa di confortante: l’innalzamento dei mari e l’aumento delle temperature dell’acqua potrebbe interrompere la circolazione termoalina, cioè la circolazione globale oceanica causata dalla variazione di densità delle masse d’acqua. Questo potrebbe favorire l’inizio di una nuova glaciazione. Il mio auspicio è che questa tesi si concretizzi nella realtà. Nessuno ha la certezza di ciò che accadrà, ma intanto dovremmo mettere un freno alle emissioni di gas serra».

Isabella Ligia (LabMet)

Isabella Ligia, dirigente del LabMet (Laboratorio metropolitano d’innovazione, agenzia urbana della Città metropolitana di Cagliari), ha parlato di “Città verdi, partecipazione e coinvolgimento sulla sostenibilità” e della svolta impressa al territorio che ruota attorno al capoluogo sardo. «Abbiamo finanziato 33 interventi urbani con 101,2 milioni di euro già appaltati», ha spiegato Ligia. «Soprattutto, abbiamo dialogato con tutti i 17 Comuni che appartengono alla Città metropolitana, coinvolgendoli nelle scelte programmatiche insieme ai portatori d’interesse. Nel Piano strategico vi erano 91 progetti che ricadono su 13 azioni di sistema. Così è nato il Piano urbano integrato. Tra i tanti interventi, ce ne sono due che mi stanno particolarmente a cuore perché simboleggiano il metodo di lavoro impiegato: il progetto che consentirà di rendere interamente navigabile il Canale di Terramaini, all’interno del Parco naturale regionale di Molentargius: una volta dragate le acque e realizzate le infrastrutture, potrà essere utilizzato anche per il trasporto pubblico locale, oltre che per attività sportive come canoa e canottaggio. Interessante anche il processo di riforestazione compiuto sull’altro versante, cioè nel territorio di Sarroch, per mitigare l’impatto ambientale della vicina raffineria. Questo tipo di lavoro è ben più esteso: sinora abbiamo piantato 190mila alberi nei territori di Pula, Sarroch, Cagliari, Sinnai e Maracalagonis. Vogliamo evitare i progetti spot e prediligere una strategia condivisa».

Annalisa Colombu (Legambiente Sardegna)

L’incontro del Forum è stato reso possibile da una stretta collaborazione con Legambiente Sardegna, rappresentata per l’occasione dalla presidente Annalisa Colombu e dal direttore scientifico Giorgio Querzoli, docente di Idraulica all’Università di Cagliari. «Legambiente ha una impronta ben precisa, basata su ricerca e conoscenza, che cerchiamo di trasmettere ai cittadini attraverso il coinvolgimento», ha rimarcato Colombu. «Dal 1980, quello del clima è uno dei temi a cui prestiamo grande attenzione e che va trattato in maniera accessibile a tutti, non con un approccio cattedratico affinché sia popolare. Stiamo coinvolgendo molti giovani, nelle scuole, nelle università e pure nelle associazioni di volontariato. Per aumentare la loro partecipazione, ogni anno proponiamo lo Youth Climate Meeting, improntato su confronto e formazione. Puntiamo alle giovani generazioni, che sono il futuro e la speranza, ma la crescita riguarda anche gli adulti».

Il docente universitario Giuseppe Desogus

Ha invece parlato di comunità energetiche rinnovabili Giuseppe Desogus, docente di architettura tecnica all’Università di Cagliari, il quale ha illustrato il recentissimo esempio inaugurato in piazza Medaglia Miracolosa, a Cagliari. Si tratta della prima comunità di questo tipo nel capoluogo sardo e coinvolge numerosi residenti e anche una scuola materna, che si avvale essa stessa dell’energia autoprodotta per ridurre sensibilmente i costi energetici. Gli impianti, che consentono di produrre circa 130mila kWh/anno, sono stati finanziati con 410mila euro del fondo Pon Metro 2014-2020. L’iniziativa è collocata al centro del quartiere popolare di San Michele, una scelta strategica che rappresenta anche una sfida al tema della povertà energetica.

«La costituzione dell’associazione è il passo conclusivo del processo di creazione della comunità energetica, promossa da Comune di Cagliari e attuata dal servizio “Smart City e innovazione tecnologica”, che ha visto un importante contributo dei ricercatori dell’ateneo cagliaritano coinvolti nel progetto Pnrr “Ecosystem of Innovation for Next Generation Sardinia”», ha spiegato Desogus. «Con questo tipo di comunità si va oltre la produzione di energia del singolo utente, che ha un grande limite: non è possibile la condivisione. C’è un obiettivo comune e anche un patrimonio condiviso, l’impianto. È qualcosa che va oltre progetti simili condotti in passato da alcuni condomìni, che non hanno prodotto grandi risultati. Le comunità energetiche hanno un vantaggio rispetto ai singoli utenti: hanno il bilancio energetico, cioè sanno quanto producono e quanto consumano. E questo consente di spuntare condizioni più vantaggiose. Il monitoraggio è fondamentale. Ma da sole, sia chiaro, non possono risolvere il problema della produzione di energia pulita».

Credits: foto d’apertura Fabrizio Coco su Unsplash

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