Reggio Calabria

Arghillà, dove la rigenerazione del quartiere parte da chi lo abita

È uno dei quartieri più delicati della provincia di Reggio Calabria. Fuoco, Acqua, Terra, Aria - F.A.T.A. sono i quattro elementi che hanno ispirato il nome del progetto di rigenerazione urbana. L’azione Fuoco mira a realizzare una comunità energetica con i pannelli fotovoltaici. L’Acqua all’installazione di un sistema sperimentale di raccolta e recupero delle acque piovane. La Terra simboleggia le azioni di sensibilizzazione ed educazione ambientale. Infine l’azione Aria ha l’obiettivo di aumentare gli spazi verdi

di Giulia Polito

Fuoco, Acqua, Terra, Aria. I quattro elementi naturali hanno ispirato il nome di un progetto di rigenerazione urbana, nato con lo scopo di restituire decoro ad uno dei quartieri più delicati della provincia di Reggio Calabria e dignità alle persone che lo abitano. Il progetto F.A.T.A. non è solo un insieme di interventi strutturali, ma un vero e proprio percorso condiviso con la comunità locale del quartiere di Arghillà, nella periferia nord della città. Ma è anche, come racconta una delle referenti del progetto, Laura Cirella, «un vero e proprio modello di intervento sociale, nato dall’ascolto delle esigenze del territorio».

Arghillà è nato come insediamento di edilizia popolare tra gli anni Ottanta e Novanta. In principio, qui vi abitavano le famiglie di origine rom, costrette ad emigrare da un altro quartiere più vicino al centro città. Arghillà si estende in un’area collinare, seguendo quella che è la morfologia caratteristica della provincia, che nasce dal mare e si estende in altezza fino alla montagna. Nel corso degli anni, il quartiere ha subito una profonda trasformazione. Le case, di proprietà dell’Aterp e del Comune di Reggio Calabria, sono state assegnate a famiglie che qui non hanno mai voluto abitare. Così altre hanno iniziato a sfondare le porte e ad occuparle autonomamente. «Questo non è più il quartiere dei rom – spiega Cirella – ma il quartiere dei poveri. E nessuno vuole che la povertà si faccia vedere». La buona parte delle case oggi funziona con allacci abusivi. Le palazzine, che si estendono su entrambi i lati del vialone principale, sono completamente al buio perchè nessuno paga la luce. Le condizioni sono fatiscenti, molte di queste andrebbero addirittura abbattute. Ad Arghillà non ci sono scuole o mezzi pubblici. Qui non esistono più diritti. L’unico presidio esistente, sorto da qualche anno, è il Centro ACE, polo sanitario di medicina solidale.

Nel corso degli anni il quartiere è stato oggetto di altri progetti, mai nessuno di questa portata. F.A.T.A. nasce dal Consorzio Ecolandia ed è finanziato dai fondi 8xmille della Chiesa Valdese; intorno ruotano diversi partner del mondo sociale e associazionistico del territorio, come il Centro ACE che funge da quartier generale e l’associazione Fare Eco. C’è soprattutto il Coordinamento di Quartiere di Arghillà: «Non appena arrivati, abbiamo subito preso contatti con i residenti e frequentato i loro incontri – spiega Cirella – per iniziare a conoscerli e a confrontarci con loro». Le azioni che vengono intraprese da F.A.T.A. vengono condivise con gli abitanti che ne diventano i principali protagonisti. Al progetto F.A.T.A. lavorano ad oggi circa 30 persone. Sono progettisti, architetti, ingegneri, animatori e ricercatori reggini; la maggior parte donne e sotto i 50 anni. Sono le migliori risorse professionali della città che oggi sono al servizio del quartiere di Arghillà. 

Gli elementi naturali, che hanno ispirato il nome del progetto, sintetizzano per punti le azioni infrastrutturali più importanti che saranno intraprese. L’azione Fuoco mira a realizzare una comunità energetica con i pannelli fotovoltaici, per garantire un sistema di illuminazione notturna tra i diversi comparti del quartiere e alimentare le pompe per la distribuzione dell’acqua. L’azione Acqua mira all’installazione di un sistema sperimentale di raccolta e recupero delle acque piovane per migliorare l’approvvigionamento idrico di un comparto del quartiere. La Terra simboleggia le azioni di sensibilizzazione ed educazione ambientale: laboratori per il riuso e il riciclo degli oggetti, installazione di un eco-compattatore per lo smaltimento della plastica e la Casa del riuso di quartiere per ridurre la produzione stessa dei rifiuti. Per queste azioni, è già stato siglato un accordo di partenariato con il Comune di Reggio Calabria. Infine, l’azione Aria: aumento degli spazi verdi, installazione di aree ludico-sportive, implementazione di nuove forme di mobilità sostenibile. 

Dall’inizio del progetto ad oggi, ad Arghillà sono stati piantumati 250 alberi, bonificata un’area limitrofa al polo sanitario e creato un campo da bocce, installate delle nuove panchine. Una, in particolare, è una panchina rossa, il simbolo contro la violenza di genere. Importante è l’installazione delle targhe toponomastiche, azione rimasta in sospeso dal passato. «Pur esistendo la toponomastica – spiega Cirella – qui le strade non avevano ancora un nome e le persone si riconoscevano in base ai comparti di appartenenza». Infine, è stato avviato il servizio di taxi sociale, un pullmino che supplisce la mancanza del trasporto pubblico. Il servizio agisce su prenotazione e accompagna le persone verso il centro città per le diverse esigenze. Ha anche accompagnato i bambini di Arghillà al Museo Nazionale della Magna Grecia, permettendo loro di visitarlo per la prima volta. È una piccola cosa che, insieme ad altre, ha offerto l’opportunità di accedere a servizi culturali di cui i residenti non hanno mai usufruito. Così è stato anche il Cinema sotto le stelle che ha permesso in estate la proiezione di film nei cortili interni ai comparti. 

L’assunto da cui parte il progetto F.A.T.A. è che «all’infrastruttura urbana e materiale deve coincidere l’infrastruttura sociale. Il nostro è un vero e proprio metodo che mette al centro il processo di coscientizzazione collettiva, l’unica chiave possibile per far sì che quello che realizziamo perduri poi nel tempo». A questo scopo sono stati individuati anche degli animatori di comunità, operatori che lavorano sul quartiere nel tentativo di creare delle connessioni più forti e allentare le reciproche tensioni. Alcuni di loro sono di origine rom. Ad Arghillà perdura, infatti, la reciproca diffidenza tra le persone di origine rom e tutti gli altri; è una spaccatura sociale che insiste «ma che svanisce quando vengono tutti coinvolti nella realizzazione di qualcosa di utile per il bene del quartiere. In questi casi resta solo una sana mescolanza di persone che vivono qui e che hanno diritto a vivere meglio. L’intervento materiale diventa così un modo per costruiamo la comunità a partire dal principio della prossimità».  

Nonostante tutto, ad Arghillà si sente il suono del futuro: nelle risate e nelle grida dei bambini e dei ragazzi che vi abitano. Sono circa 6 mila gli abitanti del quartiere. Lungo le vie principali del centro storico reggino l’età media è elevata: non è una novità che da Reggio Calabria la maggior parte dei giovani emigri. Ad Arghillà l’età media della popolazione si abbassa notevolmente. Da qui i giovani e i bambini non hanno via di scampo, non esiste per loro il diritto alla mobilità per lavoro o per studio. 

«Le responsabilità ad Arghillà sono politiche», spiega Cirella. «Ci sono interventi che non possono essere portati avanti dal Terzo Settore e dal privato sociale, ma su cui può intervenire solo la politica. Serve un piano nazionale che parli delle nostre periferie, che abbia a cuore questi luoghi e che destini una manovra finanziaria specifica per l’abbattimento di alcune palazzine o per la rimozione delle carcasse di automobili, l’apertura di una scuola. Servono poi le politiche sociali per tutti i bambini che non possono usufruire del servizio di scuola bus perché le famiglie sono insolventi. Escludendoli, alleveremo braccia per la criminalità organizzata. Mancano i cassonetti per la spazzatura, perché ci stupiamo allora di vedere la spazzatura in giro per le strade? Non servono politiche repressive, ma restituire diritti alle persone. L’intervento strutturale richiede costanza e quotidianità. Noi qui oggi stiamo sperimentando una modalità di intervento sociale che però non risolverà il problema».

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