Memoria

Alice Grassi: «Grazie al sacrificio di mio padre oggi si può scegliere da che parte stare»

Alla vigilia dell’anniversario che ricorda l’omicidio di Libero Grassi, avvenuto il 29 agosto del 1991, è giusto interrogarsi su cosa ha insegnato il sacrificio di un imprenditore la cui denuncia voleva segnare la strada, affinché altri come lui trovassero il coraggio di seguire il suo esempio. Un messaggio positivo arriva dalla figlia Alice, per la quale è importante parlare di esempio più che di sacrificio, proprio per costruire un futuro nuovo

di Gilda Sciortino

Alla vigilia del XXXIII anniversario della sua uccisione e a cento anni dalla sua nascita, Libero Grassi non si può dimenticare, sia perché il suo rigore e la sua incorruttibilità hanno fatto scuola, sia perché la sua memoria ispira da sempre i movimenti antiracket come progetti come quelli della figlia Alice, che da anni si sta battendo affinché il parco a lui dedicato ad Acqua dei Corsari, una delle borgate palermitane, possa vedere la luce.

Mio padre ci ha insegnato con il suo esempio che la libertà e la coerenza non hanno prezzo

Alice Grassi, figlia di Libero Grassi

«Un progetto che attende da anni», spiega Alice Grassi, figlia dell’imprenditore, ucciso dalla mafia il 29 agosto del 1991, «esattamente dal 2013, quando quest’area è stata intitolata a mio padre, ma che si è impantanato nelle sabbie mobili della burocrazia che, nonostante gli 11 milioni di euro del Po.Fesr 2014-2020 sulle nuove programmazioni 2021-2027 previste per la bonifica dell’area siano stati confermati proprio in questi giorni, deve ancora capire quali altri impedimenti sussistono prima di raggiungere un obiettivo che punta a qualificare quest’ampia zona della Costa Sud, a lungo depredata e abbandonata, utilizzata come area di risulta negli anni del Sacco di Palermo».

Un obiettivo ambizioso, quello che si persegue per portare benefici a una comunità nella quale la socialità negli anni è stata solo una lontana ipotesi

È chiaramente un progetto di riqualificazione urbana, ma anche sociale perché l’associazione “Parco Libero” vuole dare vita a un luogo da consegnare a un territorio privo di qualunque servizio possa offrire occasioni di socialità. Siamo in tanti a volerlo, singoli cittadini, professionisti, realtà associative, ma tutto deve passare prima dalla bonifica. Poi, essendo area demaniale, deve essere consegnata al Comune, per poi darci modo di aprire il cassetto dei sogni e cominciare a pensare a tutte quelle splendide occasioni di aggregazione e crescita che passano attraverso il teatro, la danza, la cura degli animali. Un luogo destinato a grandi e piccini, nel quale le brutture di un passato di abbandono e sfruttamento possano rimanere solo un lontano ricordo.

Un  luogo che respirerà nuova vita anche attraverso un palcoscenico d’eccezione come il mare che lambisce questa costa, sulla quale un tempo sorgevano anche bagni termali come i Virzì, frequentati anche dalla borghesia palermitana

Non poteva essere diversamente visto che papà è tornato a Palermo perchè non poteva stare lontano dal suo amato mare. Se oggi fosse qui sarebbe contento di quello che stiamo facendo, anche se sono sicura che mi direbbe che sono pazza ad avere a che fare con la burocrazia delle amministrazioni pubbliche.

Davide, Pina e Alice Grassi. (foto di Luciano de Castillo)

Con il senno di poi, ritiene giusto, serve, secondo lei, sacrificare la propria vita per dimostrare che ci sono cose che non vanno bene e che devono essere cambiate?

Io preferisco parlare di esempio, più che di sacrificio. Sicuramente l’ uscita pubblica di mio padre è servita ad alzare il velo su una situazione che tutti conoscevano, ma ignoravano deliberatamente. Lui decise di denunciare pubblicamente le minacce degli estorsori per dare modo ad altri di uscire allo scoperto. Lo stesso presidente di allora di Confindustria dichiarò che andava tutto bene. A me piace pensare che abbia fatto scuola.

Una scuola che ha insegnato cosa? Quanto è cambiata la situazione oggi?

Purtroppo il pizzo si paga sempre, anche se con modalità diverse. Certo, anche prima veniva imposto il personale, così come i fornitori, ma oggi le richieste vanno oltre il denaro. Teniamo presente che le cose, rispetto al mondo del commercio, oggi sono cambiate; in città ci sono tante catene in franchising, per esempio molte nel campo del food, una ogni 100 metri, come se non potessimo vivere senza. Di contro, il movimento antiracket ha fatto tanta strada. La scelta di papà di dire “no” al pizzo e di farlo con quel gesto rivoluzionario – la lettera al “Caro estortore” fatta pubblicare il 10 gennaio del 1991 sul Giornale di Sicilia – ha segnato la storia di Palermo e della Sicilia, innescando la nascita di movimenti antiracket e la ribellione di imprese e cittadini all’oppressione mafiosa.

Quando oggi a suo padre che immagine le viene in mente?

Lo penso nella terrazza che amava tanto. Io nel 2000 sono tornata nella casa natia, quella da cui quel 29 agosto di 33 anni fa uscì per non fare più ritorno. Non che si dedicasse alle piante o a qualunque altra cosa di tipo manuale perchè non faceva parte della sua natura. Natura che non aveva neanche mia madre, ma in lei c’era la vena creativa. Era, infatti, laureata in architettura. Devo avere preso da lei. Non a caso anch’io nella vita ho deciso di fare l’architetto, amando creare, aggiustare, esprimere me stessa creativamente. Esemplare il fatto che mia madre parafrasasse il cartello delle attività artigianali, scrivendo dietro la porta della mia stanza: “Questa figlia è un’artigiana”.

Pina Maisano Grassi e Libero Grassi

Il movimento antiracket è tanto cresciuto negli anni, proprio a partire dall’uccisione di suo padre, ma cosa non riesce ad aumentare la coscienza critica dei cittadini rispetto al fenomeno?

Una delle riflessioni che fa “Addiopizzo”, e che non posso non condividere, è che la riqualificazione dovrebbe essere a 360 gradi. Non puoi pretendere, dal cittadino che abita quartieri periferici o dello stesso centro storico, che cambi, che diventi perbene, se poi il degrado sociale aggredisce il contesto in cui è immerso. Non si possono impiegare venti anni per approvare un piano regolatore pretendendo che le persone sopportino le tante brutture che ci circondano. Io da architetto, per esempio, soffro di tutto questo. Negli altri Paesi, con i fondi comunitari fanno di tutto, perchè per noi è così difficile capire che ci vuole poco per rendere la vita più bella?

vita a sud

Ma c’è una nota positiva, un messaggio che possiamo lanciare?

Assolutamente si. Oggi abbiamo tante risorse in campo. Le forze dell’ordine, per esempio, collaborano in modo diverso anche tra di loro. Oggi abbiamo il vantaggio di potere scegliere da che parte stare, sapendo di essere protetti e non rischiare più come una volta. Una certezza e non un’ipotesi.

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