Inclusione

Al Capo di Palermo, la comunità educante sigla un patto con le famiglie

È nel cuore del Capo, uno dei tre mercati storici di Palermo, che la Comunità educante, nata grazie a un progetto contro la povertà educativa sostenuto da Con i Bambini, ha visto dieci realtà associative siglare un patto educativo. Un percorso che pone al centro della sua azione i bambini e gli adolescenti del quartiere, sviluppando pratiche educative diffuse e aperte che coinvolgono anche i genitori, utilizzando gli spazi del quartiere come luoghi di apprendimento

di Gilda Sciortino

Che emozione può regalare la visione di bambini, a prima vista scalmanati, ma quasi subito capaci di farti capire che quella frenesia sfogata tra sedie, tavoli, da un punto all’altro dell’atrio di quella che era una vecchia scuola di quartiere, oggi sede di attività educative, è solo voglia di comunicare la loro gioia di vivere. Argento vivo che riscatta la voglia dei genitori di offrire, prima che un futuro, un presente che non li veda costretti a giornate da trascorrere, se non per strada, sicuramente davanti a una tv.  Un oggi nel quale fare comunità significhi essere parte attiva e protagonista di quanto accade. Un esempio? Il Capo di Palermo.

Momenti unici per le mamme di questo antico e noto quartiere del centro storico del capoluogo siciliano, con il cui nome i palermitani chiamano uno dei tre mercati cittadini, insieme a Ballarò e alla Vucciria, luoghi pieni di colori, profumi e umanità che raccontano il cuore di una città piena di contraddizioni, come quelle che vedono chiudere uno dei più grandi istituti scolastici del quartiere sol perché le radici dell’albero al centro del cortile interno hanno invaso quasi tutto il cortile e si è preferito spostare i bambini altrove piuttosto che provvedere. Forse sarebbe bastato un intervento che non “sradicasse” la popolazione più giovane dal contesto a loro più familiare. Ma, a cose del genere a Palermo, nelle periferie, anche quelle che, paradossalmente, sono al centro cittadino, ci si è abituati da sempre, come se si trattasse di qualcosa di ineluttabile, di una realtà alla quale si è destinati karmicamente.

Dare forma alla socialità significa creare una comunità educante consapevole dei propri diritti

Paola Pizzo, Bond of Union

Una constatazione diventata anche una sorta di appello per chi ha deciso di prendere in mano le sorti di un territorio, offrendo alle mamme e ai loro bambini un nuovo modo di socializzare e di aggregare le forze. È, così, nata la 𝗖𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝘁𝗮̀ 𝗘𝗱𝘂𝗰𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗾𝘂𝗮𝗿𝘁𝗶𝗲𝗿𝗲 𝗖𝗮𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗣𝗮𝗹𝗲𝗿𝗺𝗼 che ha dato subito dopo vita a un patto educativo, sostenuto da Con i Bambini nell’ambito dei percorsi per combattere la povertà educativa, che ha innescato un processo che sperimenta azioni concrete sul campo, a partire dal dialogo.

Il tutto partendo da quello che viene o che dovrebbe venire più semplice a tutti, incontrarsi – mamme e figli, ragazzi e ragazze, operatori ed  educatori, scuola e istituzione pubblica – con l’unico obiettivo comune di costruire un mondo a misura di una comunità educante.

Una rete di realtà che innova con il dialogo

Forte il tessuto associativo e sociale, che ha voluto unirsi sotto il cappello di un progetto che annovera nove realtà, più la Fondazione Innovazione Urbana di Bologna che si è aggiunta con tanta voglia di mettere in campo la propria esperienza, quali: cooperativa sociale Bond Of UnionTeatro alla Guilla, biblioteca Piccolo Principe, Centro Amazzone, gruppo Palermo 15 – Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani, IISS Francesco Ferrara, M.A.S.C.I. (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani) Palermo 3° Aquile Randagie, associazione NaKa, Dipartimento di Architettura dell’università di Palermo.

«Una rete abbastanza eterogenea di realtà», spiega Paola Pizzo di Bond Of Union, coordinatrice del progetto, «ognuna delle quali ha portato il proprio vissuto e approccio. Abbiamo, per esempio, gli scout, a cui il Comune di Palermo quattro anni fa ha affidato una vecchia scuola abbandonata, l’Ugdulena, dove abbiamo fatto base.  È stato fondamentale per un percorso come il nostro perché al Capo, forse più che in altri quartieri della città, non esistono veramente spazi aggregativi che si configurino come comunità. L’utenza che frequenta alcune realtà, per esempio le parrocchie, è molto diversa da quella a cui si rivolgiamo noi. Spesso l’approccio è poco relazionale e si limita a rispondere ai bisogni immediati, come i pacchi di alimenti o il doposcuola. Attenzione, sono servizi fondamentali, senza i quali sorgerebbero tanti altri problemi, ma per noi comunità educante vuol dire tessere relazioni con la famiglia, i  minori,  e farlo con continuità occupando pacificamente la loro vita»

Un lavoro nel quale le tessere del mosaico sono le proiezioni dei genitori rispetto a un futuro che dia ai loro figli altre opportunità rispetto a ciò che la vita ha riservato loro. Una vita a colori e non in bianco e nero, come quella di molti di loro passata attraverso uno schermo in bianco e nero. Le tessere del mosaico, che spetta a questi bambini comporre, dovrà contenere i sogni di chi guarda il mondo a colori, non perdendo mai la fiducia in se stessi, ma alimentandoli attraverso chi li valorizza e non pone loro ostacoli.

I sogni escono dall’immaginario per diventare obiettivi

«Quando ci hanno proposto di partecipare a questo progetto», spiega Rosa, mentre osserva i suoi due bambini, Paola e Francesco, 11 e 8 anni, giocare esprimendo tutta la loro voglia di vivere, «io e le altre mamme abbiamo detto subito di si perché abbiamo capito che ce lo stava proponendo chi aveva a cuore i nostri figli. Con il tempo abbiamo imparato a distinguere. È stato importante perché noi mamme ci sentiamo sempre in colpa per qualcosa, ma ancora di più quando non possiamo offrire loro le occasioni per guardare al futuro. Al Capo i bambini possono solo stare davanti casa o dentro davanti alla televisione. Occasioni del genere fanno riprendere fiducia nella vita».

Opportunità che alimentano i sogni. Come quelli di Francesca, 6 anni, difficile da bloccare mentre schizza tra le sedie e i tavoli collocati sul palco, prima giocando con post it colorati sui quali scrivere come dovrebbe essere il quartiere ideale per ognuno di loro, per poi fare un balzo e raggiungere lo spazio merenda con tutti i compagni e amici.

«Il quartiere dei miei sogni», dice Sonia, mamma di Beatrice, 8 anni, «è quello in cui so che mia figlia può crescere continuando a sognare. Facciamo tanti sacrifici per lei, dopo la scuola la portiamo a danza, ma mi dispiace che poi non ci siano occasioni per socializzare. Il Capo è sempre stato abbandonato, ma forse ora si intravede una luce».

«Io da grande?, esordisce con voce gioiosa, quasi a sfidare l’interlocutrice, Francesca 8 anni. «Voglio fare la maestra. Ma non so, vedremo».

È un lampo e non la vedi più. Scompare dietro il grande albero, le cui radici sono state la causa della chiusura della scuola. Riappare, però, poco dopo per non lasciarsi sfuggire le golosità che le mamme hanno preparato per offrire una merenda degna di questo nome.

Il confronto che valorizza i vissuti della comunità

Un altro tassello del mosaico che la Comunità Educante del Capo sta componendo, però non dimentica di costruire reti anche con altri contesti territoriali.

«A luglio abbiamo portato tre dei nostri ragazzi di 13 e 15 anni a Corneliano D’Alba, in provincia di Cuneo, in Piemonte, per il Camp nazionale del diritto alla città pedagogico del Movimento Da Capo. È stata la nostra prima edizione ed eravamo tutti emozionati», prosegue Pizzo, «anche perché consapevoli che i nostri ragazzi avrebbero vissuto un’esperienza unica, insieme a circa 60 tra giovani, educatrici ed educatori, attiviste/i da tutta Italia, portando il nostro percorso ormai concreto e avviato. Il tema che ha guidato le riflessioni e le azioni di questa edizione è stato “SUPPERGIÙ eroi ed eroine”, anche per ricordarci che limiti e divieti ingiusti, ad ogni età, possono essere SUPERati. SUPPERGIÙ definisce qualcosa che non è perfetto e noi siamo consapevoli e fieri della nostra imperfezione: non è nelle nostre intenzioni esserlo; ciò che vogliamo è essere felici e uguali, ed esserlo come comunità, tutti e tutte. I nostri ragazzi lo fanno proprio ogni giorno e siamo felici di aiutarli in questo percorso di consapevolezza».

vita a sud

Un’estate che ha avuto inizio e prosegue portando con sé la gioia di raccontarsi attraverso la voglia di liberarsi da ogni limite. Quando questo accade in un quartiere come il Capo, una comunità sui generis che Palermo conosce molto bene perchè contenitore di tanto disagio, ma anche di colori e profumi che i turisti vengono ad assaporare e respirare da ogni parte del mondo, ecco che nasce uno spazio ricco di saperi e conoscenze.

Un luogo informale di apprendimento che si valorizza attraverso la bellezza di un’infanzia e adolescenza che chiedono solo di essere lasciare libere di essere ed esistere.

Le foto sono state fornite dall’ufficio comunicazione del progetto

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