Venerdì 9 marzo, un giorno prima che Angelino Alfano riaprisse il tourbillon delle estemporanee dichiarazioni dei politici, non c’era traccia di matrimoni gay nella relazione che Paolo Patané, presidente di Arcigay, ha presentato al proprio consiglio nazionale. Al centro dell’attenzione di Patané c’era invece la crisi del welfare e la volontà di «declinare diversamente le rivendicazioni degli omosessuali». La svolta soft di Arcigay si misura negli aggettivi: un piano «dialogante» con la società, «in sintonia con il Paese», con l’obiettivo «del consenso sociale». Al telefono Paolo Patané è ancora più chiaro: «Oggi ad Arcigay non interessa un trofeo da esibire politicamente, ma il risultato, che magari si raggiunge dietro le quinte».
È da qualche mese che la comunicazione di Arcigay ha cambiato i toni: dal rosa/verde della campagna “Fai contare il tuo amore” che ha accompagnato l’ultimo censimento Istat (il primo che ha provato a far la conta delle coppie conviventi dello stesso sesso, inserendo una domanda apposita nel questionario universale) alla campagna di sensibilizzazione 2012 “Diversamente uguali. Racconti di ordinaria diversità”, che al posto della rivendicazione mette la quotidianità, fino al delicato “Ti sposerò”, lanciato per San Valentino. «È vero, abbiamo messo in atto un cambio di immagine, che fa un punto di forza della nostra capacità di vita normale, in cui tutti possono riconoscersi», ammette Patané. Che va oltre: «Non è più tempo di rivendicazioni fatte per slogan politici, ma di una battaglia sociale, condivisa, nella consapevolezza che questo è solo uno step di una lotta antica, quella per l’uguaglianza, dove la vittoria di uno è immediatamente un bene per tutti».
Lucio Dalla e Rosa Parks
Non è allora un caso che Patané, nelle polemiche sul mancato coming out di Lucio Dalla da alcuni giudicato “discrezione”, da altri “ipocrisia”, citi Rosa Parks, la donna che nel 1955 rifiutò di cedere a un bianco il suo posto sul bus. Per ribadire che, nonostante la scelta di toni nuovi, non ci possiamo illudere di vivere già nel tempo in cui la rivendicazione è superflua e le coppie omosessuali possono “sedersi ovunque”.
«Il coraggio della battaglia per l’eguaglianza non può essere un obbligo, però è grazie al coraggio di alcuni che nasce la parità per tutti», dice Patané. «E sarebbe bello se i personaggi più visibili potessero spendersi per questa battaglia civile». E se è vero che oggi in Italia, per una coppia dello stesso sesso, «la possibilità di vivere insieme in modo ordinario c’è», è anche vero che «quando ci sono dei problemi, come la malattia o la morte di uno dei due, diventa chiaro che le condizioni di parità in realtà non esistono. Lì il consenso sociale non basta, ci vuole la legge».
Sotto il sole, senza diritti
In attesa dei dati del censimento Istat, oggi non si sa quante siano in Italia le coppie dello stesso sesso. Di certo per l’Oms gli omosessuali sono tra il 6 e il 10% della popolazione (il che significa che il tema riguarda quasi una famiglia su cinque), e nel 2005 “Modi di”, la più grande indagine statistica fino ad oggi realizzata in Italia, ha rilevato che più della metà di essi vive in coppia e che hanno almeno un figlio il 20% delle lesbiche e il 18% dei gay italiani sopra i 40 anni. Ecco come vivono.
«Siamo finalmente sotto il sole, ma ancora senza diritti»: Innocenzo Pontillo, 39 anni, fondatore del progetto Gionata, la rete che aiuta gli omosessuali cattolici nel loro cammino, convive da tre anni («ma sono fidanzato da dieci») con il compagno, a Firenze. «I pregiudizi sono meno che in passato», spiega, «ma i problemi rimangono». Lavoro e malattia sono i casi più disarmanti: «Il mio partner due giorni fa era in ospedale, non ho potuto prendere un permesso per visitarlo, perché la nostra unione non è riconosciuta dalla legge». Tutto è lasciato alla discrezionalità del posto in cui lavori: «Nelle grandi aziende e nel pubblico va meglio». Non solo diritti, comunque: «Vogliamo poter corrispondere anche ai nostri doveri: per esempio se una persona viene lasciata dal partner, oggi rimane sola, senza aiuti economici dall’ex, come avviene per gli altri», spiega Gianni Geraci, fondatore dell’associazione Il Guado. «I doveri portano responsabilità, oggi invece è tutto lasciato al caso». L’esempio limite è la morte del compagno di una vita: «Dopo 27 anni assieme, uno dei due conviventi è morto: i parenti hanno negato al compagno la presenza al funerale e tolto la casa, che non era di sua proprietà», racconta.
Figlio unico con tre fratelli
Maria Silvia Fiengo, cofondatrice del movimento delle Famiglie arcobaleno (iscritte 300 coppie omosessuali in tutta Italia, con 250 figli), ha 45 anni e quattro figli. Una storia emblematica: «Per i primi tre, che ho avuto io con l’inseminazione in Olanda, nessun problema a essere iscritti al nido pubblico vicino a casa», spiega Fiengo, balzata alla cronaca per aver pubblicato con la sua nuova casa editrice il libro per bambini Piccolo uovo, che con i disegni di Altan racconta la nascita di un bimbo in una coppia gay. «Il quarto, dato alla luce dalla mia compagna, risultava figlio unico e quindi è stato escluso dalla graduatoria». Direttrice della scuola, mamme e un avvocato sono corse in difesa della famiglia “diversa”: «Alla fine è stato reinserito, ma all’ultimo posto, forse per evitare problemi». In quel caso valeva solo l’attestato di filiazione: «Lo stato di famiglia, dove compare il nucleo familiare per intero, è valido solo quando ci sono da pagare le tasse», ironizza, ma non troppo, Fiengo.
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