Verso il 25 novembre

Violenza sulle donne, per le migranti una doppia valenza negativa

In occasione del 25 novembre, lunedì a Vizzini (Ct) avrà luogo il convegno "Crisalide. Contro la violenza sulle donne per la parità di genere". Tra i relatori, Paolo Ragusa (Als Mcl): «La violenza contro le donne immigrate da una parte lede i diritti di libertà e dignità, dall'altra rischia di arrestare ogni forma di integrazione e inculturazione»

di Ilaria Dioguardi

Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, lunedì 25 novembre, nell’aula consiliare di Vizzini (Ct), si svolgerà il convegno “Crisalide. Contro la violenza sulle donne per la parità di genere”. Interverrà Paolo Ragusa, presidente dell’Associazione lavoratori stranieri del Movimento cristiano lavoratori) – Als Mcl: «La violenza contro le donne va rifiutata in ogni sua forma con determinazione e fermezza, ma dobbiamo anche pensare che per alcune donne, soprattutto se immigrate, ha una doppia valenza negativa».

Da una parte «lede i diritti di libertà e dignità, dall’altra rischia di arrestare ogni forma di integrazione e inculturazione. Colpire una donna, spesso madre di famiglia, significa minare le basi delle nostre comunità. Non interessa la nazionalità, età o ceto, ma occorre guardare alla donna come centro della famiglia, il nucleo basilare per rendere stabili e sicuri i processi di sviluppo sociale, culturale ed economico della nostra società», dichiara Ragusa.


«La donna anche nelle migrazioni è centrale come figura di riferimento per la coesione familiare e per questo dobbiamo fare ogni sforzo affinché, chi si trova in una situazione comunque di fragilità, perché migrante, non debba subire ogni forma di  violenza di genere e soprattutto non debba pagare lo scotto di un diffuso pregiudizio nei confronti di chi arriva da altri paesi. La nostra esperienza», continua Ragusa, «ci dice che a pagare sono soprattutto le donne. E questa per noi è violenza».

«In ambito lavorativo, spesso la donna migrante deve subire non violenze fisiche, ma quelle che chiamiamo culturali legate ad un’idea sbagliata di chi arriva da altri paesi. La paura di chi è diverso dobbiamo trasformarla in uno stimolo all’incontro e all’integrazione. Sostenere una donna migrante», spiega Ragusa, «significa anche dare una chance ai suoi figli nell’inserimento nelle nostre comunità. Questo impedisce la nascita di ghetti, ma aiuta a formare cittadini consapevoli e partecipi».

Foto di Matthew Henry su Unsplash

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