Welfare

Vincent, schiavo del lavoro perduto.

Torna Louis Centet, il regista francese di Risorse umane. Propone un film amaro dove il protagonista non ha il coraggio di rivelare la sua condizione di disoccupato

di Antonio Autieri

Il regista francese Laurent Cantet si fece conoscere due anni fa con il film Risorse umane, che gli fece vincere i più importanti premi nazionali e lo rivelò alle platee internazionali. Un film sul mondo del lavoro che divenne un po? l?emblema delle lotte sindacali in Francia ma anche del complesso dibattito sulla legge delle 35 ore. Protagonista era infatti un giovane stagista del settore risorse umane di una grande azienda impegnata a tagliare posti di lavoro fra gli operai, fra cui anche quello del padre del ragazzo. La fotografia dei rapporti di forza in fabbrica colpì l?attenzione anche nel nostro Paese, dove il film fece breccia non solo tra i cinefili ma anche fra politici e sindacalisti. Con il nuovo film L?emploi du temps (che esce il 19 ottobre in Italia con il titolo A tempo pieno), Cantet parla ancora di lavoro ma in modo molto diverso. Non solo perché il protagonista Vincent, un dirigente, non fa parte della classe operaia ma della borghesia economicamente benestante. E neppure perché il lavoro, lui, lo ha appena perso. Il bellissimo secondo film di questo regista emergente e sensibile (fresco vincitore del premio Leone dell?anno al festival di Venezia) analizza non tanto le dinamiche del mondo del lavoro, quanto le possibili implicazioni del lavoro, e della sua perdita, sulla psiche di un uomo comune. Il film si ispira a un famoso fatto di cronaca: anni fa venne scoperto in Francia un uomo che si divideva, con un abile castello di menzogne, fra un?esistenza di marito e padre ideale e la seconda vita di omicida. Ma Cantet elimina questo aspetto di cronaca nera e trasforma Vincent (interpretato da Aurélien Recoing) nel personaggio di una vicenda paradossale: in seguito alla perdita del lavoro, un consulente aziendale prima tace con la famiglia (sta fuori casa tutto il giorno, viaggia), poi si inventa un prestigioso impiego a Ginevra come funzionario Onu. Il suo vero lavoro diventa mentire a moglie e figli, ai genitori, a chi gli vuole bene: Vincent si costruisce una vita parallela di impegni, appuntamenti, viaggi continui… E, lungi dal cercare un?occupazione, prova a guadagnare con una truffa (propone ad amici fondi di investimento inesistenti) con l?aria candida di chi pensa davvero di organizzare buoni affari. Finché la sua trama si aggroviglia su se stessa e la verità inizia a trapelare. Per il regista, Vincent è un camaleonte, capace di mescolarsi alle persone nei vari ambienti che frequenta: «Lui in realtà non desidera cambiare vita, ma soltanto liberarsi da ogni giogo economico e sociale». Un bugiardo, però a suo modo sincero, tanto da difendere con l?anziano padre il suo impiego all?Onu, dove dice di occuparsi di politiche di sviluppo a favore del Sud del mondo. «C?è in lui un profondo desiderio di far parte dei potenti del mondo», spiega il regista, «si inventa il lavoro all?Onu dove secondo lui si decide l?avvenire del pianeta. Per questo lo offende il cinismo di suo padre convinto che non si possa cambiare la situazione africana». Rimane il fatto che il film suggerisce la condizione di un uomo di oggi che vive il lavoro come un idolo – le aspettative degli altri, lo status sociale – e un incubo al tempo stesso. Come dice il protagonista alla moglie: «Ho paura di deludere, di non essere all?altezza. Ci sono momenti in cui non so cosa si aspettano da me. Allora inizio a esser preso dal panico? Passo da una riunione all?altra, senza avere il tempo di prendere fiato». Vincent parla del suo finto lavoro: ma per quanti è così veramente?


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