Politica

Vince il voto liquido

Nella società liquida siamo abituati a passare da un contenitore ad un altro con grandi fiammate che sembrano sconvolgimenti ed invece costituiscono esattamente l’ordinario incedere delle relazioni non solide. Che nel M5S ci fossero almeno due anime, una vicina dalle pulsioni anti-immigratorie e protezioniste che ammiccavano al movimento di Farage, ed una di “sinistra ecologista”, era chiaro, e guardando i dati elettorali possiamo dire che domenica abbiamo assistito alla scomposizione chirurgica di questa anima doppia

di Angelo Moretti

L’affermazione del partito di Giorgia Meloni, che in meno di cinque anni passa dal 4 al 26% può avere diverse letture fuori dagli schemi: la caparbietà premia sempre; essere strenuamente all’opposizione fa crescere l’appeal nel voto popolare; la politica del nuovo millennio resta un affare altamente liquido. Soffermandoci sull’ultimo punto c’è da dire che le elezioni 2022 non sono molto diverse da quelle del 2018. All’epoca il Movimento dei 5Stelle ebbe un exploit superiore al 32%, diventando improvvisamente primo partito di Italia, ma nel giro di un anno gran parte del consenso grillino era già transitato nell’alveo del sovranismo leghista, che alle europee 2019 toccò il suo massimo storico, passando dal 17% del 2018 al 34%. Che nel Movimento ci fossero almeno due anime, una vicina a componenti e pulsioni anti-immigratorie e protezioniste che ammiccavano al movimento di Farage in Europa, ed una di “sinistra ecologista”, era chiaro, e guardando i dati elettorali possiamo dire che domenica abbiamo assistito alla scomposizione chirurgica di questa anima doppia: un quota a due cifre del voto ai 5 Stelle è approdato in Fratelli di Italia (circa il 12% dicono gli studiosi dei flussi), mentre la Lega si è sgonfiata.

In definitiva il dato che ci consegnano le urne è che i partiti strutturati e di lungo corso (PD, Lega e Forza Italia) non hanno alcuna spinta propulsiva, mentre i due poli antagonisti all’establishment, impersonificato da Draghi, escono vittoriosi.

Assistiamo in politica allo stesso fenomeno che i meteorologi denunciano per il cambiamento climatico: non è tanto il cambio di temperature e di precipitazioni a preoccuparci, quanto la frequenza con cui accadono questi fenomeni. Nella società liquida siamo abituati a passare da un contenitore ad un altro con grandi fiammate che sembrano sconvolgimenti ed invece costituiscono esattamente l’ordinario incedere delle relazioni non solide. Non sarà un caso che il dato più inedito delle separazioni coniugali riguardi il dato di quelle che avvengono nei primi tre anni di matrimonio: grandi innamoramenti, promessa di amarsi per tutta la vita e separazione si verificano nel giro di mille giorni.

Il voto popolare va sempre ascoltato e rispettato, ma ci sembra importante dire che ciò che c’è da leggere ad urne chiuse non è tanto il contenuto nei programmi elettorali dei vincenti, quanto la sempre maggiore distanza tra rappresentanza politica e rappresentazione di una visione che abbia il tempo di realizzarsi. Mentre programmiamo il primo rendiconto dello stato di attuazione dell’agenda 2030 e progettiamo le nuove infrastrutture energetiche che entreranno in funzione nei decenni a venire, assisteremo alle continue oscillazioni di una borsa elettorale impazzita. Eppure, come ha ben spiegato Papa Francesco, non siamo di fonte ad un’epoca di cambiamenti, ma ad un cambiamento d’epoca, con sfide inedite: le pandemie, l’incubo di una guerra nucleare, la disuguaglianza, il cambiamento climatico, e tra le fiammate opposte che si susseguono (da Obama a Trump è stato un attimo) sembra una vera e propria illusione, neanche consolatoria, affidare ai soli partiti o ai soli stati nazionali il governo delle transizioni in corso.

I circa diciotto milioni di elettori nonvotanti ed i quattro milioni di attivisti della società civile (dieci volte il dato degli iscritti ai partiti) hanno la responsabilità di osare di più: costruire trame solide nelle città, nei quartieri, nelle aree rurali, per dare nuova cittadinanza politica ai gesti quotidiani collettivamente condivisi, dentro una cornice di cambiamento globale.

Per riprendere le parole di Luigino Bruni al Festival dell’Economia Civile 2020, è il momento di cambiare il paradigma glocale: da pensare globale ed agire locale, a pensare locale ed agire globale. Pensare alla strada sotto casa, alla cura delle relazioni di prossimità, scegliendo di consumare di meno, redistribuire meglio ed impegnarsi di più per un mondo che chiede il protagonismo di tutte e tutti, valorizzando e unendo la progettualità e la resilienza dei corpi intermedi costituiti dagli organismi della società civile organizzata.

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