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Vince Dall’Oglio: «Un mandato per ricomporre la Siria»

Parla il gesuita espulso a giugno dal paese in guerra e oggi in prima linea per promuovere un percorso di riconciliazione. Sul numero di Vita in edicola un servizio sulla catastrofe umanitaria in corso

di Daniele Biella

Padre Paolo Dall’Oglio, gesuita fondatore del monastero ecumenico di Deir Mar Musa a nord di Damasco, attivista per una rapida soluzione per uscire dalla guerra civile in corso in Siria, vince l’edizione 2012 del premio Pace della Regione Lombardia, riconoscimento che ricevono personalità che hanno mosso i loro primi passi nelle comunità lombarde e si sono rese poi attive nella costruzione di strutture di pace, di socialità, educazione. Parità di genere in Italia e nel mondo. La notizia è fresca, il premio verrà consegnato al 58enne Dall’Oglio e agli altri vincitori dal governatore uscente Formigoni giovedì 13 dicembre. Vita (che sul numero di dicembre in edicola dedica un servizio alla catastrofe umanitaria in corso nel paese mediorientale) raggiunge il religioso al telefono pochi attimi dopo la nomina, di passaggio nel nostro paese da Suleymania, Iraq, dove è di base è da quando, nel giugno scorso, ha abbandonato la Siria in seguito alla minaccia di espulsione del Governo e all'invito rivoltogli dalla Chiesa siriana a lasciare il monastero che ha fondato nel 1982.

Cosa significa per lei il premio che si appresta a ricevere?
Lo prendo come un mandato a fare molto di più per la pacificazione siriana. La rivoluzione in atto in Siria deve volgere presto al termine in modo positivo e sfociare in una nuova Siria democratica, e io voglio mettermi a disposizione per aiutare chi sarà il protagonista della rinascita civile e sociale.

Perché ha scelto Suleymania come luogo di vita dopo essere andato via dal monastero di Mar Musa e dalla Siria?
In primo luogo perché nel cuore del Kurdistan iracheno c’è una comunità molto attiva e con tre persone laiche mi sto adoperando per fondare un centro monastico nel centro della città, nel cuore del vecchio mercato, sulla scia di quanto iniziato più di 30 anni fa a Mar Musa. Poi perché ci tengo a non esser etroppo lontanto dalla Siria, in vista di poterci andare avanti e indietro una volta che le cose laggiù si metteranno meglio.

Prevede che la situazione sia destinata a migliorare in Siria?
Lo spero proprio. I segnali ci sono: in alcune zone del paese negli ultimi tempi mi viene detto che la situazione è molto più tranquilla di prima, e per certi versi sembra che la società civile si stia già muovendo come se il regime ancora in vigore abbia già cessato le sue funzioni. Ma la realtà attuale è ancora quella di un conflitto sanguinoso, quindi bisogna agire e ragionare con cautela.

Lei oggi che ruolo riveste verso un possibile processo di pace siriano?
Sono in stretto contatto con l’Organizzazione siriana per la pacificazione civile e con la commissione nazionale per la riconciliazione, che sta discutendo su come potrebbe volgere al termine il conflitto, con meno violenze possibili oltre a quelle già perpetrate in questi orribili 20 mesi. Infine sto collaborando con la televisione rivoluzionaria Orient, che si occupa di dare voce a chi vuole la caduta del regime di Bashar Al Assad e la nascita di una nuova Siria. In particolare, gestisco un talk show itinerante che invita siriani esiliati a raccontare la propria storia, per questo mi reco spesso in vari paesi tra cui in primis Turchia ed Egitto.

Proprio oggi Barack Obama ha detto che è pronto a “riconoscere i ribelli”. Come vede le diplomazie internazionali al lavoro?
Sono sorpreso e amareggiato del comportamento della comunità internazionale. Sono stati più di un anno e mezzo a guardare, con 50mila persone che hanno perso la vita nel frattempo,  e ora con la minaccia di un intervento con armi chimiche delle forze governative sembrano prendere posizioni più decise, come se volessero recuperare qualcosa. In realtà è stato fatto davvero troppo poco, l’angoscia continua a prevalere su quanto accade nel paese mediorientale.

Quale soluzione intravede per uscire dalla spirale della violenza e porre termine al conflitto?
Bisogna assolutamente ridare il potere che merita alla Lega araba, che più delle forze occidentale può far terminare il regime senza ulteriori spargimenti di sangue, data la loro esperienza nell’area. Ci vorrebbe un contingente guidato da paesi arabi, con a capo gli Stati che hanno appena terminato le loro primavere, come Egitto e Tunisia, rovesciando chi era al potere prima. Un contingente che abbia tutto l’appoggio dei governi occidentali, naturalmente anche economico. Solo in questo modo si può uscire dallo stallo attuale: si può e si deve fare presto.

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