Cultura

Vignettisti in terra di Maometto

A Doha «Cartooning for peace». La cronaca indiscreta di Damien Glez

di Redazione

di Damien Glez
3 maggio 2009. Hotel Intercontinental di Doha. Conferenza intitolata «Il potenziale dei media: dialogo, comprensione reciproca e riconciliazione». Il caffè scorre come un fiume in piena, ma è tempo di sbadigli. Tema politically correct, buoni sentimenti dell’Unesco, protocollo qatari, aria condizionata: tutto concorre alla letargia, fino alla diffusione di profumo d’incenso per mettere a proprio agio Sua Altezza Sheikha Mozah Bint Nasser Al-Missned?
Di colpo, le orecchie si drizzano. Nel cuore di un Paese ancora traumatizzato dai “ritratti satanici” di Maometto, un conferenziere evoca il mestiere di caricaturista. Seduto al tavolo di presidenza, un disegnatore della carta stampata – per giunta israeliano – Michel Kichka, parla della sua arte, delle sue intenzioni, ma anche delle sue emozioni o della Shoah. In fondo alla sala, il suo collega francese e vignettista di Le Monde, Plantu, mette in moto il suo portatile e scarica sul proiettore una serie di “cartoons”. Lo schermo inanimato della sala prende di colpo vita. Gli occhi si spalancano, ognuno ascolta in un silenzio quasi religioso i discorsi «israeliani». Robert Ménard, attivista della libertà di espressione, fondatore dell’associazione Reporter senza Frontiere e oggi direttore del Doha Center for Media Freedom, prende il testimone di Kichka e accarezza nel senso del pelo i musulmani offuscati. Dal pubblico emergono mani e mormorii in direzione del panel, infine sale la voce di Flemming Rose, caporedattore del Jyllands-Posten, il quotidiano “blasfemo” che pubblicò le caricature di Maometto nel settembre 2005. I pensieri del danese sono giusti, benché irritanti. Irritanti, benché giusti. Ognuno tenta a suo modo di coniugare la difesa “accecante” del principio di libertà di espressione, la critica delle opere bandite e l’imbarazzo che suscitarono le intenzioni ambigue del giornale danese. Una carica collettiva che risvegliò un risentimento musulmano di “due pesi, due misure” nei confronti dei media occidentali…
Evento nell’evento, la partecipazione di sette caricaturisti alla conferenza organizzata dall’Unesco apre un dibattito leale in un Paese dove la vernice della modernità è di uno spessore ancora poco sondato… E dove, più prosaicamente, sarebbe sconsigliato disegnare l’emiro…
Nell’ottobre 2006 il disegnatore Plantu lanciava dalla sede delle Nazioni Unite l’iniziativa «Disegni per la pace». La fondazione raggruppa oggi una quarantina di disegnatori del mondo intero che si interrogano, da Ginevra a Wellington, sul ruolo del disegno nella stampa. Il “cartoon” appare come un linguaggio universale grazie al quale il palestinese Baha Boukhary e l’israeliano Michel Kichka possono incrociare il pennarello senza colpi ferire. La caricatura tanto denigrata diventa una valvola di sfogo e il cimento di un dialogo insolito.
Il conferenziere indonesiano Bambang Harymurti lo ricorda in modo giudizioso a Doha: «Se Dio ha creato due orecchie e una bocca, è perché dobbiamo più ascoltare che parlare». Avrebbe potuto evocare i due occhi attratti dai disegni di stampa, per poco che questi ultimi siano pertinenti e responsabili. La bocca anche tacendo può pur sempre sorridere.

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