Volontariato

Vidas, la vita sino all’ultima sillaba

In vent’anni ha assistito 11mila persone inguaribili. Opera solo su Milano, perché ha scelto un metodo di diffusione molto innovativo. La fondatrice ce lo spiega.

di Benedetta Verrini

“Perché Vidas? Semplicemente, cercavo un acronimo che suonasse come vita“. Sembra paradossale, per un?associazione che ha come mission l?assistenza agli inguaribili di cancro. Ne ha accompagnati oltre 11mila, in vent?anni, “trascorsi per sollevare, assistere, dare amore. Crescere e creare”. è contenta della sua creatura, Giovanna Cavazzoni. E non a torto. Vidas non è solo una realtà forte, che assicura cure domiciliari complete e gratuite, su Milano e provincia, a 190 malati ogni giorno. L?associazione è un modello culturale e di gestione. Completamente ?open source?: in questi vent?anni molte associazioni e gruppi di persone, da diverse città, sono approdate nella sede Vidas di corso Italia, hanno conosciuto gli operatori, hanno appreso metodiche, criteri di gestione e li hanno replicati nella loro realtà locale. Un trasferimento gratuito di know how che si deve a lei, Giovanna. E al suo inestinguibile senso di libertà. Vita: Partiamo dall?inizio. Quando ha deciso di creare un?associazione con una mission così delicata? Giovanna Cavazzoni: La scintilla, come succede in molti casi, è stata un?esperienza personale. Avevo 16 anni e una signora sola, cui volevo bene, stava morendo di cancro. Negli ultimi mesi della sua vita, sono stata testimone del suo isolamento progressivo. Il medico sempre più frettoloso e imbarazzato, lo sfratto che incombeva, le vicine che vietavano ai loro bambini di giocare davanti a quella porta, perché pensavano che il cancro fosse contagioso. Di lì ho deciso che avrei dovuto fare qualcosa per questa sofferenza. Vita: E oltre trent?anni dopo è nata Vidas. Cavazzoni: Sì, ma appena nata si è subito voluta liberare della facile equazione “Vidas uguale volontari”. Abbiamo capito che la sola presenza del volontario non era un fattore sufficiente a rispondere alle molteplici esigenze del malato, che sono cliniche, psicologiche, igieniche e, in certi casi, anche di assistenza sociale. Vita: E allora? Cavazzoni: Ci siamo imbarcati in un?impresa mai sperimentata in Italia da un?associazione di volontariato: l?integrazione socio-sanitaria. Le assicuro che far interagire le figure professionali, cioè medici e infermieri, con i volontari, vent?anni fa sembrava un?utopia. Ci abbiamo creduto e oggi quest?alleanza terapeutica è una prassi. I nostri volontari siedono a pieno titolo ai tavoli di lavoro di medici e operatori specializzati. Sono depositari di bisogni inespressi del malato, che i medici non hanno l?opportunità di cogliere. Vita: Ha parlato dell?isolamento di quella sua amica. Oggi le cose sono diverse per un morente? Cavazzoni: C?è stato un salto pazzesco di conoscenza e tecnologia. Le indagini e gli esami scientifici sono precisissimi. Le cure sempre più mirate. La terapia del dolore è, almeno sulla carta, un importante fattore di sollievo. Ma, paradossalmente, la solitudine del morente è ancora più terribile che nel passato. Oggi nessuno è allenato all?esperienza della morte. E, a dire il vero, nemmeno all?esperienza di relazione e di affetto con il morente. Eppure, come ha scritto Marie De Hennezel, la psicologa che ha accompagnato alla morte l?ex presidente Mitterrand, se un morente ha vicino una persona che lo ama e lo rispetta, riesce a tirar fuori quel messaggio che era destinato a esprimere nel suo passaggio terreno. Vita: Un impegno difficile, dunque, per i volontari. Come va il reclutamento? Cavazzoni: Nei primi anni di Vidas si facevano tre diversi cicli di corsi di formazione, tale era il numero di volontari. Oggi ne facciamo uno soltanto all?anno. è un volontariato difficile, che richiede una selezione rigorosa, formazione specifica e permanente e periodi di pausa per recuperare energie e motivazioni. Però riusciamo ad andare avanti. E il segreto è anche fare cultura e formazione, attraverso collaborazioni con le università e seminari. Vita: E una diffusione “a cascata” del modello Vidas. Ma perché non avete creato tante sedi distaccate? Cavazzoni: Abbiamo fatto due scelte che molti considererebbero “strategicamente inopportune”. La prima è stata quella di operare fuori da ogni sfera politica e confessionale, cosa che ha reso più difficile il reperimento di fondi. La seconda è stata di non esportare altrove la nostra associazione col proprio marchio, perché le differenze territoriali ne avrebbero snaturato il modello. è andata bene così. La divulgazione del modello ha un successo straordinario: riceviamo 4 o 5 nuove richieste di supporto ogni mese, particolarmente da Roma in giù. Offriamo assistenza gratuita per tutti gli aspetti tecnici, arrivando fino all?invio di nostri esperti per spiegare come fare la selezione dei volontari e la loro integrazione nell?équipe multidisciplinare, e tenere i rapporti con le istituzioni. Così sono nate decine di realtà su ?modello Vidas? in Italia (come Advar a Treviso) e anche all?estero, come in Svizzera, Polonia e Bielorussia. Vita: Come vede il futuro? Cavazzoni: Stiamo vivendo tempi difficili, per la solidarietà. Per noi, in particolare, è in corso il grande sforzo di raccolta fondi per la realizzazione della Casa-Ospedale a Milano, che richiederà circa 5 milioni di euro. Ma non abbiamo paura. Penso a Vidas come a un albero con saldissime radici, che sono le motivazioni etiche, e rami flessibili, che sono la nostra creatività e l?apertura verso il nuovo. Info: Per approfondire il tema e conoscere le attività dell?associazione: VIDAS


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