Non profit
Viale Mazzini spegne l’Africa
La dirigenza ha proposto di chiudere 5 sedi di corrispondenza, fra cui Nairobi e Il Cairo
La Rai vuole cancellare le sedi in Africa e Sud America, nel subcontinente indiano e nel mondo arabo, e dimezzare la presenza sul Mediterraneo. La direzione generale della Tv pubblica ha portato in consiglio di amministrazione la proposta di chiudere gli uffici di Beirut, Buenos Aires, Il Cairo, Nairobi e Nuova Delhi. Ben cinque delle attuali 15 sedi di corrispondenza estera, fra cui quella costituita da pochi anni in Kenya dopo una forte pressione della società civile, delle associazioni del terzo settore e del mondo missionario.
La Rai abbassa i riflettori sull’Africa ma anche sul Medioriente: oltre alla soppressione delle cinque sedi di corrispondenza è prevista la cancellazione di Rai Med, il canale in italiano e arabo, per un totale di tagli previsti alle strutture per 8 milioni di euro. Da viale Mazzini Ennio Remondino, fiduciario dei corrispondenti esteri Rai parla di «una scelta giornalisticamente e politicamente dissennata, presa quasi di soppiatto a proporre risparmi irrisori rispetto alla incapacità di moralizzare e razionalizzare l’uso delle risorse». Secondo il sindacato non è questione di costi, ma di priorità: «Sette, ottocento mila euro l’anno, il costo di quelle cinque sedi contro contratti milionari che vediamo quotidianamente riproporsi».
È dura anche la critica della Federazione nazionale della stampa italiana, espressa in una nota dal presidente Roberto Natale: «Il proposito Rai di chiudere cinque sedi di corrispondenza estera e RaiMed, quasi cancellando ogni presenza stabile al di fuori dell’Europa e degli Stati Uniti dice con assoluta chiarezza che a viale Mazzini c’è momento solo una pallida idea dei compiti che dovrebbe svolgere il servizio pubblico».
«La chiusura delle cinque sedi consentirà un risparmio pressoché equivalente alla spesa che sarà fatta per scritturare Ron Moss e Raz Degan per lo spettacolo del sabato sera “Rai is Beautiful”» afferma Remondino, che denuncia anche «l’incongruenza del moltiplicarsi di anche recenti contratti anomali sull’estero» e difende il ruolo dei corrispondenti: «Noi siamo una risorsa e non un costo, una risorsa spesso poco o male utilizzata da scelte giornalistiche spesso provinciali, concentrate nell’attenzione più o meno compiacente alla politica nazionale».
In queste ore associazioni e parlamentari stanno reagendo alla notizia data dal sindacato Rai. A definirla «strabiliante» è Giuseppe Giulietti, parlamentare del Gruppo Misto e portavoce Articolo21, soprattutto «perché l’apertura di tali uffici era stata rappresentata con un tratto distintivo di un servizio pubblico capace di andare oltre la provincia italiana e di accendere i riflettori sulle zone più oscurate del pianeta».
Le associazioni riunite nel “Tavolo della Pace” hanno lanciato un appello già sottoscritto da riviste e agenzie di stampa. «Ci auguriamo che questa cattiva idea venga presto accantonata dalla Rai» afferma Flavio Lotti, portavoce della Tavola della pace. «Chiediamo anzi che il servizio sia potenziato, in un modo molto semplice: creando nuovi spazi di informazione sul mondo all’interno dei palinsesti quotidiani del servizio pubblico. Non si tratta di difendere questo o quel posto di lavoro, ma un presupposto molto semplice della democrazia: abbiamo bisogno di sapere quello che accade nel mondo e di professionisti che facciano in modo serio e qualificato il proprio lavoro di informazione».
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