Cultura

Via Quaranta o via zero?

Esclusiva. Il caso della scuola araba di Milano. Accoglie oltre 400 ragazzi, ma quest'anno difficilmente aprirà i battenti. Intervista al "preside" Alì Sharif

di Stefano Arduini

Nell?ultima lezione, il 4 luglio scorso, i bambini della scuola di via Quaranta hanno studiato la coniugazione del verbo potere. Lo testimonia la lavagna di questa aula lunga e stretta dove ci accoglie il responsabile della scuola più famosa e discussa d?Italia: l?istituto Fajr di Milano. La stanza è al piano rialzato dell?edificio. All?ingresso invece è appeso un grande quadro con una frase del Corano che ringrazia Allah «per essere su questa terra» e di esserci «per compiere atti puri».

L?italiano di Alì Sharif lascia a desiderare, le sue ?p? assomigliano molto di più a delle ?b? e spesso le frasi sembrano strozzarsi in gola, «per fortuna», assicura lui, «i miei figli lo parlano da madrelingua». La sua folta barba, bianca, non riesce a nascondere un viso sorridente e gentile. Una cortesia molto araba che Alì rivela fin da subito: «Sono felice di parlare con voi. Conoscere i propri vicini è sempre un piacere immenso». I lettori probabilmente non lo sanno, ma la redazione di Vita e il centro culturale di via Quaranta sono separate da una strada larga non più di 10 metri. Forse anche per questo, per la prima volta Alì proprio con noi decide di parlare di se stesso e non solo dell?affaire ?via Quaranta?.

Vita: Quando è arrivato in Italia?
Alì Sharif: Nel 1976. Io sono nato al Cairo 63 anni fa. Poi per lavoro mi sono trasferito qui da voi.

Vita: Di cosa si occupa?
Sharif: Di commercio, import-export.

Vita: Ha famiglia?
Sharif: Una moglie e tre figli. Il maggiore Mohamed ha quasi 24 anni, si è laureato in informatica e adesso sta frequentando un corso di specializzazione in mediazione culturale. Poi c?è la femmina, Iman che ha appena finito il liceo linguistico qui a Milano. L?ultimo si chiama Tarek e a dire il vero mi fa un po? disperare: ha 19 anni e studia come collaboratore d?ufficio. Tutti e tre hanno frequentato materna, elementari e medie in questo istituto.

Vita: Perché non li ha mandati in una scuola pubblica italiana?
Sharif: Per lo stesso motivo per il quale tante altre famiglie continuano a iscrivere qui i loro figli. Per noi è importante che la conoscenza della lingua e della cultura araba non vada perduta. Non potrei sopportare che i miei ragazzi non riuscissero a parlare e a comprendere la lingua e le usanze dei loro parenti in Egitto. Senza considerare che molte delle famiglie della comunità trascorrono, per ragioni di lavoro, diversi mesi l?anno in patria. I nostri programmi permettono ai loro figli di inserirsi con facilità nelle scuole egiziane anche ad anno in corso. Mentre se frequentassero la scuola pubblica italiana anche con laboratori in arabo il loro titolo non sarebbe riconosciuto in Egitto.

Vita: Sua moglie e sua figlia portano il velo?
Sharif: Sì. Ma io non ho imposto loro niente. Anche perché se lo avessi fatto, avrebbero benissimo potuto portarlo in mia presenza e poi levarselo quando erano da sole. È stata una loro libera scelta. E sinceramente non capisco perché dobbiamo sempre rendere conto del velo mentre non è richiesta alcuna spiegazione se una ragazza veste una minigonna. Sono semplicemente costumi diversi.

Vita: Chi l?ha nominata responsabile della scuola di via Quaranta?
Sharif: Formalmente nessuno. Mi sono assunto io l?incarico perché in questa comunità sono uno dei pochi che può investire del tempo nella gestione dell?istituto. I genitori dei nostri 420 alunni, che arrivano da Milano e provincia, tranne sette che abitano a Lecco, sono infatti quasi tutti operai e durante il giorno ovviamente devono lavorare.

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