Cultura
Via Quaranta o via zero?
Il caso della scuola araba di Milano. Accoglie oltre 400 ragazzi, ma quest'anno difficilmente aprirà i battenti. Dietro c'è la polemica sul suo ruolo. Intervista al "preside" Alì Sharif
di Redazione
Nell?ultima lezione, il 4 luglio scorso, i bambini della scuola di via Quaranta hanno studiato la coniugazione del verbo potere. Lo testimonia la lavagna di questa aula lunga e stretta dove ci accoglie il responsabile della scuola più famosa e discussa d?Italia: l?istituto Fajr di Milano. La stanza è al piano rialzato dell?edificio. All?ingresso invece è appeso un grande quadro con una frase del Corano che ringrazia Allah «per essere su questa terra» e di esserci «per compiere atti puri».
L?italiano di Alì Sharif lascia a desiderare, le sue ?p? assomigliano molto di più a delle ?b? e spesso le frasi sembrano strozzarsi in gola, «per fortuna», assicura lui, «i miei figli lo parlano da madrelingua». La sua folta barba, bianca, non riesce a nascondere un viso sorridente e gentile. Una cortesia molto araba che Alì rivela fin da subito: «Sono felice di parlare con voi. Conoscere i propri vicini è sempre un piacere immenso». I lettori probabilmente non lo sanno, ma la redazione di Vita e il centro culturale di via Quaranta sono separate da una strada larga non più di 10 metri. Forse anche per questo, per la prima volta Alì proprio con noi decide di parlare di se stesso e non solo dell?affaire ?via Quaranta?.
Vita: Quando è arrivato in Italia?
Alì Sharif: Nel 1976. Io sono nato al Cairo 63 anni fa. Poi per lavoro mi sono trasferito qui da voi.
Vita: Di cosa si occupa?
Sharif: Di commercio, import-export.
Vita: Ha famiglia?
Sharif: Una moglie e tre figli. Il maggiore Mohamed ha quasi 24 anni, si è laureato in informatica e adesso sta frequentando un corso di specializzazione in mediazione culturale. Poi c?è la femmina, Iman che ha appena finito il liceo linguistico qui a Milano. L?ultimo si chiama Tarek e a dire il vero mi fa un po? disperare: ha 19 anni e studia come collaboratore d?ufficio. Tutti e tre hanno frequentato materna, elementari e medie in questo istituto.
Vita: Perché non li ha mandati in una scuola pubblica italiana?
Sharif: Per lo stesso motivo per il quale tante altre famiglie continuano a iscrivere qui i loro figli. Per noi è importante che la conoscenza della lingua e della cultura araba non vada perduta. Non potrei sopportare che i miei ragazzi non riuscissero a parlare e a comprendere la lingua e le usanze dei loro parenti in Egitto. Senza considerare che molte delle famiglie della comunità trascorrono, per ragioni di lavoro, diversi mesi l?anno in patria. I nostri programmi permettono ai loro figli di inserirsi con facilità nelle scuole egiziane anche ad anno in corso. Mentre se frequentassero la scuola pubblica italiana anche con laboratori in arabo il loro titolo non sarebbe riconosciuto in Egitto.
Vita: Sua moglie e sua figlia portano il velo?
Sharif: Sì. Ma io non ho imposto loro niente. Anche perché se lo avessi fatto, avrebbero benissimo potuto portarlo in mia presenza e poi levarselo quando erano da sole. È stata una loro libera scelta. E sinceramente non capisco perché dobbiamo sempre rendere conto del velo mentre non è richiesta alcuna spiegazione se una ragazza veste una minigonna. Sono semplicemente costumi diversi.
Vita: Chi l?ha nominata responsabile della scuola di via Quaranta?
Sharif: Formalmente nessuno. Mi sono assunto io l?incarico perché in questa comunità sono uno dei pochi che può investire del tempo nella gestione dell?istituto. I genitori dei nostri 420 alunni, che arrivano da Milano e provincia, tranne sette che abitano a Lecco, sono infatti quasi tutti operai e durante il giorno ovviamente devono lavorare.
Vita: Quanto costa mandare avanti questo istituto?
Sharif: Noi paghiamo 8mila euro di affitto al mese. Altri 2.800 – 3mila euro se ne vanno per pagare la luce e il gas. Sottolineo che qui dentro il riscaldamento è acceso tutto l?inverno e nessun bambino e mai morto congelato come qualcuno ha voluto far credere. Poi ci sono gli insegnanti: ne abbiamo sette italiani e 17 arabi più tre mediatori egiziani. Ad ognuno di loro diamo circa 400 euro al mese.
Vita: Una parte dell?opinione pubblica italiana è spaventata da strutture come la vostra. Si sente di rassicurarli?
Sharif: Noi esistiamo da 15 anni. Dal 99 siamo qui nella sede di via Quaranta, prima eravamo in viale Jenner. Se davvero fossimo la culla del terrorismo non saremmo sopravvissuti così a lungo. Le istituzioni, Comune e Provincia e adesso anche la Prefettura ci conoscono benissimo. Le nostre porte sono aperte a chiunque voglia incontrarci. Aggiungo che non siamo una scuola islamica, ma una scuola araba. Da noi si studiano la storia, la chimica non il Corano. Più di così non so che altre rassicurazioni dare.
Vita: Però siete anche una moschea?
Sharif: Il venerdì, solo il venerdì questo si trasforma in un luogo di preghiera.
Vita: Il resto della comunità islamica in Italia non vi ha certo sostenuto in queste settimane. Anzi. Come se lo spiega?
Sharif: Quello che dice è vero. Ma davvero non ne so la ragione.
Vita: Come si immagina questa scuola fra 15 anni?
Sharif: Io non ci sarò più. Ma se Dio lo vuole, spero davvero che questo centro si ingrandisca il più possibile. Noi vogliano diventare una scuola per traduttori rivolta sia agli arabi che agli italiani. Vi immaginate quanto sarebbe importante anche dal punto della sicurezza se sempre più italiani conoscessero la nostra lingua? Inshallah, che sia così!
Quali prospettive
Tre soluzioni possibili
Dopo la dichiarazione di inagibilità dell?edificio, quali sono le soluzioni sul tavolo per i 420 alunni di via Quaranta? I dettagli non sono ancora stati definiti, ma le vie d?uscita non sembrano essere più di tre. La prima, la più gradita alle autorità italiane, prevede l?inserimento degli studenti arabi in strutture pubbliche. Lo studio della lingua e della cultura araba sarebbe salvaguardato da un programma di laboratori ad hoc aggiuntivi rispetto all?orario scolastico. I dirigenti egiziani invece sarebbero orientati verso la soluzione della scuola paterna. Un?ipotesi che l?amministrazione pubblica accetterebbe solo se le promozioni alle classi successive fossero ufficializzate da un esame pubblico. La scuola parificata, infine, costituirebbe la terza via, praticabile, però, solo a partire dal prossimo anno.
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