Cultura

Vi spiego perchè quello di Milano è un ghetto

La scuola araba di Milano: intervista al direttore del don Bosco in Egitto

di Federica Zoja

«La scuola araba di Milano? Sono contrario. Perché l?unico modo per i ragazzi di integrarsi è di essere inseriti in scuole statali, non di creare dei ghetti». Chi parla è un personaggio al di sopra di ogni sospetto, don Renzo Leonarduzzi, direttore dell?Istituto don Bosco de Il Cairo. Una scuola tecnica con una lunga storia (è aperta da 80 anni mentre Leonarduzzi è qui dal 1975), che oggi ha oltre 500 allievi, per il 32% musulmani, gli altri cristiani (ma alla sede di Alessandria le proporzioni sono rovesciate). «L?unico modo è mettere i ragazzi in mezzo agli altri», spiega Leonarduzzi: «studiano assieme, si danno calci in cortile giocando a pallone e alla fine si stimano, fanno amicizia, così è l?uomo. E quando i ragazzi si frequentano viene fuori che ci sono dei musulmani pii e generosi, delle persone degnissime, alcuni ragazzini sono delle perle, dobbiamo dirlo. In Italia c?è ignoranza al riguardo, molta disinformazione». Vita: Quanto è difficile portare avanti una struttura del genere, straniera e per di più religiosa, in Egitto? Quali sono i problemi di tutti i giorni, dato che gli alunni appartengono a diverse confessioni? Renzo Leonarduzzi: Difficile rispondere, la scuola ormai è abbastanza rodata. In questi 35 anni si sono diplomate qui 35mila persone… All?inizio sono diffidenti gli uni nei confronti degli altri, e non è detto che i musulmani lo siano più degli altri. Alla fine la mentalità è la stessa. Ma poi i ragazzi, non è giusto dire che si sopportano, si vogliono bene. È raro che salti fuori il problema ?mi ha insultato, ha insultato la mia religione? e in quei casi si è severi, non si sta a vedere chi ha ragione e chi torto. È un terreno molto pericoloso, dobbiamo essere attenti. Se poi parliamo di amministrazione, al livello più alto siamo stimati, rispettati e lasciati in pace; a livello un po? più basso, invece, ci sono difficoltà perché la scuola è straniera e cristiana, nonostante tutta la tradizione che abbiamo alle spalle. Vita: Come funziona l?insegnamento religioso? Leonarduzzi: In Egitto sono obbligatorie due ore di religione, curriculari. Non esistono alternative. Quindi, in quelle ore i musulmani e i cristiani si separano, la classe si scinde in due. Vita: Non ci sono mai momenti di tensione? Leonarduzzi: Alla fine dell?anno, magari quando ci sono i risultati: a volte non piacciono e li scaricano in politica, forse è più facile che capiti ad Alessandria dove il contesto è diverso. Al Don Bosco del Cairo la proporzione è 32% musulmani e 68% cristiani, mentre ad Alessandria 30% cristiani e 70% musulmani. Si sta molto attenti a mantenere l?equilibrio: per esempio, da noi c?è la pratica del buongiorno quotidiano, si dà un pensiero e si commenta un fatto, un valore, qualcosa che sia comune. La puntualità, l?ordine, la responsabilità. Se ci sono le feste musulmane si fanno gli auguri, aiutiamo i ragazzi a ?sciogliersi?. Vita: Le iscrizioni alla vostra scuola risentono delle crescenti incomprensioni fra mondo arabo e occidentale? Leonarduzzi: In realtà gli alunni negli anni sono aumentati: 500-520 è la media, quest?anno 600, avessimo avuto più aule avremmo potuto prenderne di più. Abbiamo chiuso le iscrizioni in due giorni e mezzo. Io mi regolo così: erano 350 le domande per il primo anno, ne ho accolte 180, sulla base del voto della scuola media, di un colloquio individuale personale e di un corso propedeutico di italiano, attivato da metà luglio a metà agosto. I ragazzini, digiuni di italiano, hanno seguito quattro ore al giorno di lezione per cinque giorni alla settimana. Il tutto con insegnanti italiani volontari. I risultati sono buoni, valutati attraverso un test. Poi, a settembre, con una base di fonetica e lettura, si inizia il corso. Le famiglie dei nostri alunni sono di ceto medio basso, non puntiamo certo al guadagno, ma a dare un futuro nel mondo del lavoro ai ragazzi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA