Famiglia

Vi spiego l’Italia 2009, un paese matrifocale

L'ipotesi di Eugenia Scabini, autorità della psicologia sociale

di Chiara Cantoni

La componente femminile gioca un ruolo sempre più cruciale, in particolare nel fenomeno dell’immigrazione. Per questo i ricongiungimenti familiari sono decisivi.
E devono essere una priorità della politica Argomentare onesto, pacato, persino materno: all’impalpabilità dei teoricismi, Eugenia Scabini, docente di lungo corso, preferisce la solidità di uno schietto buon senso. Ma il concetto che mette sul piatto per decifrare la modernità è tutt’altro che soft: «matrifocalità». È l’insolita chiave interpretativa che getta una luce nuova sul fenomeno epocale dell’immigrazione. «Bisogna metterselo bene in testa: o si passa dalla riflessività e dalla capacità di mediazione delle donne, oppure scordiamoci di risolvere i conflitti: sociali, familiari e certamente quelli legati all’incontro fra culture, oggi così centrali in un contesto di forti migrazioni».
Non parla dal pulpito della sua quarantennale esperienza accademica (oggi Eugenia Scabini è presidente della facoltà di Psicologia della Cattolica di Milano), piuttosto dall’osservatorio di una profonda esperienza e sensibilità maturate nel campo delle politiche e delle psicologie familiari. Dentro e fuori dalle aule. E, se assicura che le donne giocheranno un ruolo decisivo nella costruzione di un capitale sociale necessario e un po’ “meticcio”, c’è da crederle sulla parola.
Vita: Professoressa, cominciamo proprio dalla parola che lei ha messo sul piatto: «matrifocalità». Cosa vuol dire?
Eugenia Scabini: Vuole dire che stiamo vivendo una forte femminilizzazione della famiglia. È un fenomeno al quale negli ultimi decenni hanno concorso molti fattori: l’innalzamento del livello di istruzione femminile, che ha portato le mamme ad essere molto più presenti nella vita dei loro figli in qualità di interlocutrici colte. E dirò di più: l’aumento dei divorzi ha contribuito a un’ulteriore femminilizzazione della famiglia. Spesso le madri, alle quali vengono affidati i figli, si risposano e, a fronte di più figure paterne, rappresentano l’elemento di stabilità. Questo vale anche in Italia, dove le seconde nozze sono molto meno frequenti. Quando sopraggiunge una separazione, infatti, le donne si appoggiano alle famiglie d’origine ed è sempre l’asse materno a funzionare bene.
Vita: Anche nel fenomeno migratorio è centrale il femminile?
Scabini: Sì, anche se occorre fare dei distinguo in rapporto alla cultura d’origine. Ci sono gruppi etnici, come quello filippino, che mandano spesso le donne in avanscoperta. Possono farlo perché in genere hanno madri o sorelle che rimangono a casa ad occuparsi dei figli. Quindi, che partano oppure che rimangano in patria, le donne sono comunque una componente fondamentale del fenomeno. Ma non tutte le etnie si comportano allo stesso modo e non sempre l’approdo a un Paese diverso produce i medesimi effetti. Capita anche che alcuni gruppi etnici reagiscono radicalizzando le differenze e inasprendo la chiusura.
Vita: Che ruolo possono giocare in questi processi le politiche sull’immigrazione?
Scabini: Hanno il compito di favorire la famiglia, per esempio, nel regolamentare le dinamiche di ricongiungimento. Le politiche sociali poi dovrebbero tutelare le donne da situazioni di pesante subalternità, pur nel rispetto delle differenti posizioni culturali. Perché un conto è la poligamia, che mette in discussione l’unicità di una relazione, un altro invece le differenze di ruoli, perfettamente legittime e talvolta funzionali. Non è detto, infatti, che l’interscambiabilità sia preferibile alla complementarietà dei ruoli. Occorre quindi fornire una cornice normativa che salvaguardi i valori universali di rispetto e dignità della coppia e dei figli.
Vita: Crede che l’Italia stia andando in questa direzione?
Scabini: Ho l’impressione che il tema della famiglia fatichi sempre molto a fare breccia nella politica: quando lo si invoca viene subito piegato a fini ideologici, saltando completamente l’aspetto per cui una buona famiglia produce un capitale umano e sociale primario: se viene meno la personalizzazione che matura solo all’interno di un contesto parentale, ci tocca poi riparare continuamente con meccanismi spesso inadeguati. Oggi si tende a concepire la famiglia come una dimensione emotiva e ultimamente privata, come se non fosse una realtà effettiva: e invece lo è, immateriale se si vuole ma effettiva, perché ha delle ricadute economiche e sociali molto concrete.
Vita: Quindi, per esempio, favorire politiche di ricongiungimento converrebbe alla società?
Scabini: Le ricerche mostrano chiaramente che i fenomeni di patologia legati a delinquenza rientrano se la persona fa parte di un nucleo famigliare e ha un mondo vitale significativo. Al contrario, esplodono se gli individui mancano di un network relazionale forte. La forma dei ricongiungimenti poi può riflettere dinamiche e tempi diversi, può essere permanente o temporanea. Non è raro che la prima generazione decida di tornare al suo Paese. L’importante è che in qualche modo sia data alle persone la possibilità di mantenere i propri rapporti costitutivi.
Vita: Un gasterbeiter (“lavoratore ospite”), però, costa meno di un immigrato permanente.
Scabini: Può darsi che si debba trovare un equilibrio fra i due tipi di immigrazione. Comunque sia, il tema dei ricongiungimenti familiari è un punto nodale che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare. Mi rendo conto che si tratta di questioni delicate e che i fattori in gioco sono tanti. Basta tenere sempre presente che l’individuo isolato non esiste, è un’astrazione. La persona adulta esiste soprattutto nella sua identità di futuro genitore: fa parte della sua profonda natura e ignorarlo ha dei costi umani e sociali non indifferenti. Nei ricongiungimenti troppo macchinosi, per esempio, che arrivano dopo anni di separazione, la variabile del tempo ha un peso enorme: non è detto, infatti, che nella famiglia il riconoscimento reciproco fra i membri sia poi così automatico e che la frattura sia sanabile.
Vita: Come la donna può essere risorsa in questa dinamica di ricostruzione?
Scabini: Il femminile ha la capacità di mediare e di fecondare la relazione. Nel bene e nel male. Nell’incontro fra culture, in particolare, la donna può essere fattore di riconciliazione o, al contrario, di ulteriore inasprimento. Si tratta comunque di un processo molto lungo. Lo si capisce bene guardando le 2G: a logica le si direbbe maggiormente integrate ed emancipate dei genitori, e invece capita che vogliano tornare a espressioni più tradizionali, anche nel vestire. È un fenomeno che va letto nel profondo, come ricerca di un’identità. E, poiché l’uomo non può dire chi è se non a partire dalla propria storia familiare e culturale, è chiaro che una rottura troppo brusca genera disorientamento. Occorrerà un po’ di meticciato. Di nuovo, le capacità di cura della relazione e di mediazione graduale, tipicamente femminili, si rivelano capitale sociale primario. Valorizzarle può fare davvero la differenza.


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