Cultura

Vi racconto le peripeziedi un gay in Marocco

il tabù più tabù L'omosessualità è ancora una colpa infamante

di Redazione

Da tipica ragazzina marocchina, quando vivevo nel mio Paese di origine, non potevo neppure immaginare che ci potesse essere attrazione o passione tra persone appartenenti allo stesso sesso. Il contesto nel quale vivevo mi portava a considerare ogni tabù come una sorta di proibizione divina. L’islam, al pari di tutte le altre religioni monoteiste, condanna fermamente l’omosessualità, anche se, come ha scritto il poeta siriano Adonis, la verità si accetta solo dalle labbra morte.
L’omosessualità nel mondo arabo è considerata come un peccato, come una colpa da nascondere. «Fa come ti pare, purché non se ne sappia nulla», si dice in privato, ma quando si viene a sapere in pubblico, il coraggio di coloro che sono usciti allo scoperto per affermare la propria identità non viene apprezzato e spesso queste persone finiscono per pagare delle conseguenze come la prigione o l’esilio.
A questo proposito, la storia di Abdallah Taïa è emblematica. Questi è un giovane scrittore marocchino gay, autore del romanzo autobiografico Le Rouge Tarbouche. Nel libro (prima di questo ne aveva pubblicati già cinque) ha avuto il coraggio di rompere un tabù: è stato il primo uomo marocchino ad aver pubblicamente dichiarato di essere attratto da una persona del suo stesso sesso: «Sono sempre stato gay. Questo non è un viaggio, è la mia vita. L’omosessualità è vissuta, non va spiegata. Non posso nascondere che ne ho scritto, che l’ho raccontata nel mezzo di altre cose». Dal modo in cui scrive, così come nella sua vita, appare come un uomo fragile, timido, modesto, umile, che fatica a far accettare la sua identità nelle menti degli intellettuali marocchini che nella teoria sono acclamati all’estero per la loro tolleranza e apertura verso nuove idee ma che nella pratica sono tuttora ancorati a una tradizione culturale statica e conformista.
A differenza dell’immagine che il lettore si può fare leggendo il suo libro, la stampa marocchina l’ha pitturato come un mostro e ha giudicato l’ultimo romanzo di Taïa per lo più in termini spregiativi: «Si è prostituito per piacere all´Occidente»; oppure: «A parlare non è lui, ma il suo posteriore»; o ancora: «Lo pubblicano e ne parlano solo perché è omosessuale», ecc. L’autore rivendica pienamente la sua condizione omosessuale in tutti i suoi libri, anche se questa identità continua a traumatizzare l’opinione pubblica marocchina e a mettere in discussione le fondamenta di una società che, dal mio punto di vista, non può essere più statica e legata a vecchi preconcetti, ma che deve fare i conti e accettare le varie realtà e punti di vista diversi. Realtà che sono sempre esistite, ma mai comunicate fuori dalla sfera privata, non solo nella società marocchina, ma anche in tutta quella araba.
Il superamento di questo tabù, che forse è uno di quelli che più creano disagio, non solo nella società arabo-islamica ma anche in quella occidentale, nonostante le apparenze, potrà avvenire solamente nel momento in cui si comprenderà che essere omosessuale non è una malattia o una devianza dalla natura umana, ma semplicemente un aspetto della sua identità.
Il coming out dello “scandalo” di Taïa è l’inizio di una ricerca di apertura mentale e tolleranza anche se il suo percorso è stato segnato dalla mancanza di sostegno da parte dei suoi familiari. Nella corrispondenza di e-mail che ho avuto con Taïa, mi ha raccontato la telefonata della madre: «Hai perso la testa per farci tutto questo? Per dire tutte queste cose che non si devono dire?».
Taïa è un simbolo per chi, come me, è alla ricerca della propria identità perché fa capire che si può essere quello che si vuole quando si è fedeli a se stessi e si ha il coraggio delle proprie convinzioni anche quando si tratta della propria identità sessuale.

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