Economia

Verso un’economia comunitaria: il confine sempre più sottile fra profit e non profit

Le riflessioni del direttore di Aiccon dopo le giornate di Bertinoro 2016: «ll primo atto è ripartire dalle risorse che ci sono (non da ciò che manca), valorizzandole e condividendole dentro nuove conversazioni capaci di generare una trasformazione degli “Spazi” in “Luoghi”»

di Paolo Venturi

Affrontare il tema dello sviluppo all’interno di uno scenario che evidenzia forti tratti di discontinuità (economica, sociale e politica) e, conseguentemente, di forte incertezza è cosa ardita e mette in gioco un’alta percentuale di rischio. Ma d’altronde siamo nella società del rischio e rinunciare a pensare il futuro equivale ad accettare un’inerzia mortifera. L’incapacità ad affrontare l’incertezza ha conseguenze molto gravi fra cui quella dell’aumento della paura e della sfiducia e, si sa, che quando la densità di paura e sfiducia è troppo alta la prima cosa che viene sacrificata è la cooperazione, cioè la capacita di condividere mezzi e fini. I costi legati alla rinuncia al cooperare sono visibili, non solo nelle emergenze (basti pensare all’incapacità di immaginare l’immigrazione come opzione positiva) ma nei percorsi d’innovazione: in altri termini, non cooperando la gente riproduce dualismi e dicotomie e, di fatto, spreca risorse (o ne richiede di aggiuntive, spesso superflue).

Bisogna quindi agire e prendersi dei rischi per cambiare. Il primo atto è ripartire dalle risorse che ci sono (non da ciò che manca), valorizzandole e condividendole dentro nuove conversazioni capaci di generare una trasformazione degli “Spazi” in “Luoghi”. È stato questo il tema su cui abbiamo riflettuto durante la XVI edizione de Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile, partendo dallo spazio pubblico come locus su cui osservare un cambio di paradigma: la globalizzazione, infatti, ha amplificato il valore della dimensione comunitaria (e di prossimità) rendendola imprescindibile nei meccanismi di produzione del valore.

Da “Spazi a Luoghi” è diventato uno slogan usato da molti per segnalare un cambiamento, un passaggio di natura non solo quantitativa (non stiamo parlando di crescita del PIL), ma qualitativa (e per questo parliamo di sviluppo e non di crescita)

Ecco che da “Spazi a Luoghi”, ancor prima dell’evento, è diventato uno slogan usato da molti per segnalare un cambiamento, un passaggio di natura non solo quantitativa (non stiamo parlando di crescita del PIL), ma qualitativa (e per questo parliamo di sviluppo e non di crescita). Trattasi di un “plus valore”, surplus di generatività che ha come input la dimensione comunitaria (Istat ha evidenziato come i volontari nelle periferie crescano di più rispetto le aree metropolitane: +62,4% contro una media del 43,5%) e dove la produzione e l’imprenditorialità diventano un fatto sociale attraverso percorsi inclusivi e relazionali. Quattro sono i punti da considerare per trasformare gli “Spazi” in “Luoghi”.

  • Il Luogo è espressione del civile: è, cioè, un’entità socio-culturale e si distingue dallo spazio inteso come "mera entità geografica; “[…] la distinzione che si riallaccia alla distinzione tra urbs e civitas: la prima è fatta di pietre, la seconda di anime e motivazioni(Stefano Zamagni).
  • La fragilità diventa risorsa. Nei processi di trasformazione ci sono due “attrattori deboli” a cui non si può rinunciare: i legami e il territorio. Non si può prescindere dai “legami deboli (Ivana Pais) ossia da quelle interazioni sociali, spesso mosse dal desiderio di partecipare e condividere, per attivare percorsi di inclusione e innovazione sociale; né si può rinunciare alla “coscienza dei luoghi” ossia alla capacità di attivare il territorio come piattaforma dove pubblico, privato e civile si ricombinano in conversazioni e in nuove azioni (soggettualità) collaborative (Ezio Manzini).
  • I luoghi prima si pensano e poi si abitano (Aldo Bonomi). Occorre intenzionalità, creatività e una visione d’impatto sociale capace di immaginare le trasformazioni del territorio ed, in particolare, è necessario intercettare i “flussi” che oggi, attraverso la tecnologia e l’economia della conoscenza, incrociano questi luoghi (come hanno dimostrato le esperienze di ExFadda, il Festival Wikimania di Esino Lario, il Gruppo Coopereativo Goel e la Casa del Volontariato di Gela).
  • È urgente passare dalla cultura dell’empowerment a quella delle capabilities. Non esiste trasformazione senza un soggetto che la propone, quindinon possiamo permetterci di lasciare in panchina una generazione(Alessandro Rosina). Sbloccare il potenziale di capitale umano delle nuove generazioni postula un cambio radicale nelle scelte politiche: da una logica compensativa ad una d’investimento. Non basta formare le competenze, bisogna trasformare le capacità in azioni (capacit-azione) ossia abilitare quel patrimonio di conoscenze tacite e non codificate attraverso nuove pratiche di natura cooperativa e relazionale.

Riflessioni queste che rendono ormai labile il confine fra for profit e non profit e alimentano un nuovo ecosistema di sviluppo (ecologia), dove l’esperienza di senso e l’economia, conversano per cambiare radicalmente punti di vista e costruire nuovi luoghi di rigenerazione umana e sociale.

PER APPROFONDIRE:

Imprese Ibride ( P.Venturi, F.Zandonai – Egea 2016)

III Rapporto sull’Impresa Sociale di Iris Network (P.Venturi –F.Zandonai )

Ibridi Organizzativi (P.Venturi –F.Zandonai – ed. Il Mulino )

www.aiccon.it

www.fundrasingschool.it

www.legiornatedibertinoro.it

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