Le parole della Costituzione
Uno degli aspetti più interessanti negli incontri di “formazione generale” con i volontari civili sul tema della “difesa della patria” è la possibilità di mettere a fuoco alcune parole della Costituzione. A proposito delle quali il linguista Tullio De Mauro racconta lo scrupolo dei Costituenti nello scrivere una Costituzione con un linguaggio “trasparente”, comprensibile a tutti, in quell’Italia del primo dopo-guerra nella quale il 60% dei cittadini non aveva neanche la “licenza elementare”. Analizzando l’articolo 11 con i volontari poniamo l’attenzione sul verbo “ripudiare”, che ha un significato diverso del più semplice “rifiutare” scritto in prima stesura, ma significa respingere, allontanare, non riconoscere. Quella generazione di antifascisti che scrive il Patto fondamentale sul quale si fonda l’Italia liberata, appena uscita dal flagello della guerra, aveva chiaro, e vuole che lo sia tutti, che la guerra non fa parte dei mezzi e degli strumenti leciti né come “offesa alla libertà degli altri popoli” (mi piacerebbe poter dire “ovviamente”) ma neanche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Un vera e propria affermazione di disarmo unilaterale, posta nei “principi fondamentali” della Costituzione repubblicana. Che non a caso – notiamo con i volontari – fu colta dal diciottenne Pietro Pinna che alla fine dello stesso anno in cui la Costituzione fu promulgata – il 1948 – esprimeva il proprio personale ripudio della guerra, rifiutandosi di prepararla attraverso il servizio militare. Finendo in galera, ma aprendo la strada all’obiezione di coscienza, al servizio civile, alla difesa civile non armata e nonviolenta.
Con mezzi pacifici
Non sono ingenui seguaci di dottrine ireniche i Costituenti, sapevano che le “controversie” internazionali, i conflitti, non si cancellano per legge, ma affermano il “principio fondamentale” che la guerra non è il mezzo con il quale il nostro Paese vuole affrontarli, tanto meno risolverli. Infatti, il secondo comma dell’art.11 rimanda alle “limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La Nato non c’era ancora, ma il 26 giugno del 1945 era stata sottoscritta dai primi 51 Stati la Carta delle Nazioni Unite, allo scopo di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”, dove si afferma un principio consonante e complementare al “ripudio” della guerra: “conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace”. Anche se l’Italia aderirà alle Nazioni Unite solo nel 1955, i Costituenti rilanciano anche nel nostro Paese quella consapevolezza già scritta nella Carta fondante dell’ONU: “la guerra no!” Occorre, dunque, cercare mezzi alternativi, “mezzi pacifici”, per affrontare e gestire i conflitti internazionali. Questo è il compito lasciato in eredità da quella generazione di antifascisti costituenti alle generazioni successive.
La logica di potenza
Eppure le cose, fin’ora, sono andate diversamente. Come ha denunciato il 31 agosto del 2012 Ban Ki-moon, Segretario generale delle Nazioni Unite – ossia l’organismo che per Statuto dovrebbe primariamente approntare i “mezzi pacifici” per ricomporre i conflitti internazionali – l’ONU ha un bilancio annuale pari alla metà di quanto si spende ogni giorno nel mondo per gli armamenti, cioè per preparare e fare le guerre . In un pianeta dove i governi non hanno mai speso tanto globalmente per armarsi, come documenta anno dopo anno il rapporto internazionale del SIPRI, siamo ancora prigionieri della follia della “logica di potenza” che il filosofo Norberto Bobbio denunciava in un discorso del 1982 (ripubblicato dalla Stampa delle scorse settimane ): “se la volontà di potenza conduce all’aumento indiscriminato delle macchine di morte e alla giustificazione del loro uso come extrema ratio, coloro che ne sono i portatori e i servili difensori sono dei folli o dei criminali oppure tutte e due le cose insieme”. Ma se negli anni ’80 grandi manifestazioni per il disarmo mobilitavano le coscienze, gli intellettuali, la politica e gli organi d’informazione, oggi l’esigenza del disarmo è oggetto di una gigantesca rimozione. Anzi, spiega il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro, oggi “nulla come la guerra riesce a mobilitare le risorse intellettuali e materiali”, la guerra “degli ingegneri della manipolazione dell’informazione, della verità e delle coscienze, che ne diffondono l’esigenza o i pretesti sfruttando le debolezze, le ambizioni e le paure umane”
Minacce e difesa
Dunque, il principio fondamentale del “ripudio della guerra” affermato dai Costituenti non solo è pienamente valido ancora oggi, ma – come altre parti importanti della Costituzione – deve ancora essere applicato. La guerra non è ripudiata, anzi è accuratamente preparata e spesso realizzata – grazie agli “ingegneri della manipolazione”, proprio in quanto “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” – producendo profonde lacerazioni non solo alla Carta costituzionale, ma alla sicurezza civile e sociale della comunità, alla quale vengono sottratte preziose risorse per la difesa dalle minacce reali: in Italia sono presenti 18,5 milioni di poveri certifica la Caritas e oltre 3,3 milioni di disoccupati aggiunge l’Istat. Le spese per gli armamenti che preparano le guerre, per le quali l’Italia svetta ai primi posti in Europa e nel mondo, rende così inermi sia cittadini che i principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Dunque ripudiare la guerra, ristabilire i principi costituzionali, promuovere la difesa civile e sociale dei diritti è compito che spetta alla nostra generazione. In particolare – aggiungono spesso i volontari, una volta presa coscienza della distanza tra le norme scritte e la loro realizzazione – alla generazione dei “difensori civili della patria” (come le nuove “Linee guida” per la formazione generale definiscono i volontari in servizio civile) i quali pur occupandosi della difesa di quei diritti costituzionali valgono complessivamente per il Paese – in un anno in termini di risorse investite – appena un terzo di un solo caccia F-35.
Per questo molti volontari civili, anche su invito della Conferenza Nazionale degli Enti di Servizio Civile, si stanno preparando a partecipare il prossimo 25 Aprile a Verona all’Arena di pace e disarmo, dove sarà lanciata la Campagna per il disarmo e la difesa civile. Una giornata di resistenza e liberazione. Una giornata costituzionale.
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