Immigrazione
Ventimiglia, la frontiera dimenticata
È diminuito il numero dei respingimenti alla frontiera francese, ma il territorio rimane militarizzato. «Il flusso delle presenze è altamente variabile, ma inferiore rispetto al 2023», dice Jacopo Colomba dell’organizzazione umanitaria WeWorld. «Arrivano diverse donne e minori stranieri non accompagnati. La presenza dello Stato si percepisce nella risposta securitaria, ma manca un supporto umanitario: non ci sono strutture per accoglierli tutti, molti dormono in strada»
di Anna Spena
Sta facendo il giro del web il video di un camionista che trova migranti nascosti nel tir e li prende a frustate per farli scendere. Siamo a Ventimiglia, punto di frontiera italiano prossimo alla Francia. Ma che cos’è Ventimiglia oggi e cosa significa per i migranti quel luogo?
Ventimiglia oggi
«Non siamo davanti alle presenze del 2023», spiega Jacopo Colomba, project manager dell’organizzazione WeWorld a Ventimiglia, «che per quantità avevano quasi superato quelle dei picchi del 2017. Ma la situazione rimane comunque complessa. La diminuzione delle presenze dipende da un unico fattore: sono diminuiti gli sbarchi». Non esistono numeri precisi di quanti migranti si trovino adesso su quel punto di frontiera, possiamo fare solo delle stime: «Il flusso delle presenze è altamente variabile», continua Colomba. «Cambia da settimana a settimana e da quanti barconi riescono ad attraccare sulle coste italiane, o anche da quanti salvataggi in mare riescono ad effettuare. La stima attuale è di circa 150 arrivi a settimana, tra di loro molte donne e minori stranieri non accompagnati». C’è un altro dato che misura il fenomeno: «Il numero delle riammissioni alla frontiera francese, lo scorso anno sono state 40mila. Quest’anno – visto il numero di sbarchi inferiore – le riammissioni si fermano a circa 30 al giorno». Nel 2023 le persone che arrivavano a Ventimiglia lo facevano, in larga parte, dalla rotta tunisina. Dopo gli accordi del Paese con l’Unione europea ci sono circa 30mila migranti bloccati a Sfax. «E infatti registriamo», continua Colomba, «un numero più elevato di persone che arrivano dalla rotta libica».
Le riammissioni, ovvero: i respingimenti illegali
Fino allo scorso anno i migranti che venivano scoperti alla frontiera venivano direttamente rispediti in Italia. «Le cose hanno iniziato a cambiare quando, a seguito di un’azione legale di un gruppo di ong francesi, lo scorso febbraio una sentenza del Consiglio di Stato (francese ndr), ha affermato che il sistema basato sui respingimenti diretti immediati è illegittimo e contrario alla normativa europea. Questo non significa che non esistano più respingenti, ma quantomeno viene fatto uno screening di valutazione individuale: vengono prese le impronte e si controlla se le persone sono già state registrate. Se per fare questi controlli vengono impiegate più di quattro ore le persone vengono messe in fermo amministrativo. In ogni caso la riammissione ora deve essere concordata con le autorità italiane».
I trafficanti di uomini
«Chi ha più disponibilità economica», spiega Colomba, «si affida ai trafficanti, questi nascondono i migranti in macchina o nel retro dei camion, il costo è di 250 euro circa, a persona, fino a Nizza. I camionisti, nella maggior parte dei casi, non sono a conoscenza della cosa, come nel video che sta circolando in queste ore. Qualcuno prova a passare il confine in treno: qui i controlli sono fatti su base etnica. E poi c’è chi tenta di passare il confine camminando sulla ferrovia, o in autostrada, o ancora per i sentieri del crinale: il più famoso è il cosiddetto “passo della morte”». Il Campo Roja, il presidio della Croce Rossa italiana dove venivano accolti i migranti di passaggio, è stato chiuso dopo la pandemia. Da quel momento l’organizzazione WeWorld ha aperto a Ventimiglia una struttura di accoglienza insieme a Caritas Intemelia e Diaconia Valdese, pensata per famiglie e donne che cercano di attraversare il confine con la Francia e che hanno bisogno di un riparo per la notte. «La permanenza media è di tre notti», dice Colomba. «Ma non c’è nessuna struttura per gli uomini. La maggior parte si ferma in case abbandonate o lungo il fiume Roja. Quello che è certo è che qui la presenza dello Stato si percepisce nella risposta securitaria, ma manca un supporto umanitario».
Credit foto: LaPresse/Andrea Alfano
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