Elezioni europee

Ventidue milioni di elettori italiani diserteranno le urne a giugno

Il dato emerge dall’indagine “Il Sud e l’Italia alla vigilia delle europee”, promossa da Fondazione Con il Sud e condotta da Demopolis su un campione di quattromila cittadini. Non solo: il nostro è un Paese sempre più spaccato in due, soprattutto nella percezione dei servizi di welfare

di Luigi Alfonso

Oltre 22 milioni di italiani sono orientati a disertare le urne per il rinnovo del Parlamento europeo, l’8 e il 9 giugno. Forse è un dato che sorprende sino a un certo punto, vista la tendenza delle ultime tornate elettorali, ma induce a riflettere su tanti aspetti sociali e politici. È solo uno degli elementi che emergono dall’indagine “Il Sud e l’Italia alla vigilia delle europee”, promossa da Fondazione Con il Sud e condotta dall’Istituto Demopolis.

Il nostro è fondamentalmente un Paese spaccato in due: lo era in passato e la situazione non è mutata, per lo meno nella percezione collettiva dei cittadini italiani. Già, perché l’Italia continua a non essere uguale per tutti: nelle prestazioni del welfare (la sanità pubblica è il vero tallone d’Achille) ma anche dal punto di socioeconomico. Il 70% dei residenti nel Nord, per esempio, promuove i servizi pubblici territoriali, ma al Sud e nelle isole la percentuale cala addirittura al 39%: ne consegue che gli insoddisfatti raggiungono il 61%. Eterna abitudine alla lamentazione dei meridionali? Qualcuno propende per questa (frettolosa?) visione, ma c’è pure un fondo di verità. Di sicuro c’è una crescente, progressiva disaffezione dei cittadini verso la pubblica amministrazione e la politica.

L’indagine è stata condotta dal 3 al 12 maggio 2024 su un campione di 4.002 intervistati, statisticamente rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne, stratificato per quote sulla base del genere, dell’età e della macro-area geografica di residenza. Il coordinamento della ricerca è stato curato da Pietro Vento, direttore di Demopolis, con la collaborazione di Giusy Montalbano e Maria Sabrina Titone. I dati sono stati presentati questa mattina e riservano qualche sorpresa. I cittadini, per esempio, sono sostanzialmente d’accordo per quanto riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il tanto discusso Pnrr: la maggior parte degli italiani, al Nord come al Sud, sostiene che si tratta dell’ennesima occasione mancata.

A due settimane dalle Elezioni europee, meno di un quinto degli italiani confida che le risorse del Pnrr saranno spese in modo efficace per far ripartire il Paese. Il 53% degli italiani che non hanno votato negli ultimi anni indica come motivazione la delusione e la sfiducia nei partiti (il 53%) e preannuncia la diserzione delle urne. È sin troppo evidente la sfiducia nella capacità della politica di incidere sulla vita reale delle famiglie (38%) e nella possibilità di cambiare attraverso il voto la gestione della cosa pubblica (36%).

Solo il 16% degli italiani ritiene che le ingenti risorse del Pnrr assegnate all’Italia dall’Unione europea saranno spese in modo efficace per far ripartire il Paese. Gli italiani individuano due problemi su tutti che gravano su Comuni e amministrazioni pubbliche per avviare i progetti del Pnrr: le lentezze della burocrazia e l’insufficienza di figure specializzate nella pubblica amministrazione (78%), ma anche la bassa qualità o l’improvvisazione di molti progetti (lo dichiara il 60% degli intervistati). C’è però un 43% di intervistati che immagina il Pnrr in grado di dotare l’Italia di infrastrutture all’avanguardia, ma meno di un quarto confida che possa diminuire il divario tra Settentrione e Mezzogiorno, e appena un quinto degli intervistati immagina che il Piano nazionale di ripresa e resilienza possa contenere l’emigrazione delle giovani generazioni verso il Nord o l’estero.

«Deve far riflettere che l’80% degli italiani, al Nord come al Sud, siano preoccupati dalla fragilità della sanità pubblica», commenta Stefano Consiglio, presidente della Fondazione Con il Sud. «Da questo clima di sfiducia e scettiscismo verso il Pnrr, che in teoria dovrebbe essere la principale leva di profondo cambiamento positivo, emerge un’attesa: che, nella pianificazione dello sviluppo territoriale, lo Stato ascolti e coinvolga realmente imprese e Terzo settore Un elemento cruciale anche per recuperare fiducia tra i cittadini e, forse, la speranza che il Pnrr non sia completamente un’occasione mancata. Dopo tutto, otto italiani su dieci ritengono che il ritardo economico e sociale del Sud blocca la crescita complessiva del Paese. Ma ne usciamo soltanto insieme, nei fatti e non a parole».

Non è solo una questione di velocità. Dopo le crisi sistemiche innescate dalla pandemia e dalla deriva inflazionistica che ha colpito duramente anche l’Italia nell’ultimo biennio, le disuguaglianze si sono acuite e si sono ulteriormente dilatati i divari di cittadinanza. «Meno di un quinto degli italiani ritiene che il welfare pubblico garantisca oggi tutte le prestazioni di cui c’è bisogno nella propria regione di residenza», spiega il direttore di Demopolis, Pietro Vento. «I servizi sociali, la sanità, la scuola sono garantiti nella dimensione strettamente essenziale, nella percezione del 43%. Ma il 38% afferma che non sono più garantiti oggi neanche i servizi fondamentali del welfare, con un dato che a Sud sale al 58%».

A livello nazionale, il 58% degli italiani promuove i servizi pubblici, ma con nette differenziazioni territoriali: in un’ideale pagella scolastica, le prestazioni sui territori ottengono almeno la sufficienza per il 70% dei cittadini residenti a Nord, dato che si riduce al 57% fra quanti vivono nel Centro Italia e si assottiglia al 39% nel Sud e nelle Isole. Secondo l’indagine Demopolis, è la sanità a rappresentare la dimensione più problematica nella percezione dei cittadini: per l’84%, il problema che peserà maggiormente sul futuro dell’Italia è la fragilità della sanità pubblica. La deriva inflattiva e l’aumento del costo della vita, con la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, sono citati dai due terzi degli intervistati, mentre il 62% richiama le carenze nel welfare ed il 59% l’insicurezza urbana e la criminalità.

Ma esistono questioni che si sollevano ben oltre la quotidianità nazionale e che iniziano a minacciare il futuro, nella percezione degli italiani: lo spopolamento e la denatalità, con la riduzione delle nascite e l’invecchiamento della popolazione, citati dal 58%, ma anche gli effetti del cambiamento climatico (53%), che il Paese inizia ad avvertire con frequenza sempre maggiore, nelle forme degli eventi estremi, dalle alluvioni alle ondate di calore smodato e di siccità, come sta accadendo anche in questi giorni.

Lo studio promosso da Fondazione Con il Sud ha analizzato l’opinione pubblica nazionale rilevando le dimensioni problematiche che gravano sulla quotidianità e sul futuro del Paese, i divari territoriali e di cittadinanza percepiti dagli italiani, ma anche le propensioni degli intervistati sui temi caldi del dibattito politico, come la riforma dell’autonomia differenziata, il cui iter parlamentare avanza in virtù del Ddl varato dal Governo. Come è noto, il Disegno di legge al vaglio delle Camere prevede il trasferimento di diverse competenze statali alle Regioni, che potranno trattenerne il gettito fiscale, il quale non sarebbe non più distribuito su base nazionale secondo l’attuale ripartizione. Malgrado la riforma preveda livelli minimi essenziali di prestazione nei servizi, il 53% degli italiani ritiene che sia inopportuna e sbagliata perché favorirebbe le regioni più ricche. Il 35% invece la ritiene necessaria e urgente, in quanto aiuterebbe tutte le regioni, indistintamente.

Esiste poi un divario di sviluppo che, a differenza di quanto è accaduto in altri Paesi europei, in Italia non è mai stato colmato. Anzi, con il passare degli anni si è addirittura aggravato. Per gli intervistati, le forme di sostegno, le risorse speciali e i fondi di coesione destinati alle aree in deficit di sviluppo, poco hanno inciso sulla trasformazione socioeconomica del Mezzogiorno e sulla reale unità del Paese. Appena il 18% degli italiani ritiene che oggi, sul piano sociale ed economico, l’Italia sia unita. Il 45% sostiene che il divario si sia aggravato negli ultimi cinque anni, ma la percezione tra i residenti al Sud e nelle isole sale al 60%. Non solo: il 69% dei cittadini meridionali ritiene che il Mezzogiorno abbia inciso poco o per niente nelle scelte della politica nazionale.

Chi dovrebbe pianificare lo sviluppo sui territori? «I due terzi degli italiani (esattamente il 65%) sostengono che è un compito che spetta allo Stato, con l’ascolto e il coinvolgimento di imprese e cittadini anche in forma organizzata, affinché l’assunzione delle scelte di interesse collettivo abbia un respiro condiviso», spiega Maria Sabrina Titone. «Un segmento assolutamente minoritario (l’8%) ritiene che lo sviluppo andrebbe delegato al privato, anche sociale, perché lo Stato ha fallito, ha dimostrato di non saperlo fare».

Di seguito i risultati dell’indagine.

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