Economia

Vent’anni dopo l’assedio, senza dimenticare

La testimonianza di Azra Ibrahimovic del Cesvi

di Redazione

Vent’anni fa iniziava l’assedio più lungo della storia contemporanea, 1425 giorni, di una città modello di convivenza tra diverse religioni, per questo chiamata anche la  Gerusalemme d’Europa: Sarajevo. E’ il 5 aprile del 1992: si cominciano a sentire i primi colpi, cadono le prime vittime e la guerra inizia.

Gli attacchi delle forze serbe diventano sempre più feroci, la città resiste grazie alla difesa improvvisata organizzata dai patrioti, ragazzi della città che l’amano e sono pronti a morire. Dopo pochi mesi dall’inizio dell’assedio comincia a mancare tutto: cibo, acqua, gas, luce… ospedali, scuole, chiese, moschee, istituzioni, case vengono bombardate giorno dopo giorno.  La gente muore per strada, in fila per il pane o per l’acqua. Dalle colline di Sarajevo i cecchini serbi sparano sulla città, nessuno viene risparmiato. Durante l’assedio muoiono  11.541 persone di cui 643 bambini.

”Nel 1992, quando è iniziata la guerra” – spiega Azra Ibrahimovic, Cooperante del Cesvi – “avevo tredici anni. Siamo stati catturati dalle forze serbe insieme alla mia famiglia e cacciati da casa. Fino al ’95 siamo stati tra Tuzla, a nord est della Bosnia, e Sarajevo dove per un anno ho vissuto anche il dramma dell’assedio. Lì ho saputo del genocidio di Srebrenica. Tra quei poveri morti c’erano otto miei parenti, tra cui diversi cugini. Li aspettavamo, ma non ci hanno mai raggiunto”.

“L’esperienza dell’assedio è difficile da raccontare. Sarajevo era il luogo dove ogni passo ti poteva costare la vita, camminare per le strade voleva dire dover schivare i colpi dei cecchini. Loro si divertivano a sparare e la gente a volte, sconvolta dalla disperazione, li sfidava. Se non fosse stato così tragico, questo sarebbe stato quasi un gioco. Purtroppo non lo era. Le bombe ci svegliavano la mattina e continuavano  a cadere per tutta la giornata”.  

Centinaia e qualche volta migliaia di granate colpivano Sarajevo. “Una mattina verso le 8, era il maggio 1995, mi trovavo a scuola, o meglio in un edificio residenziale considerato sicuro dove gli insegnanti cercavano di continuare le attività scolastiche, e dopo poco cominciarono i bombardamenti. Subito ci trasferirono nel sotterraneo per proteggerci. Iniziò una lunga giornata di attesa: malnutriti e spaventati dovevamo attendere che smettessero di bombardare per poter tornare a casa. Passammo lì tutta la giornata. Qualcuno contò circa 800 granate. Verso le 18 arrivarono i caschi blu con i loro VAB e ci trasportarono nei nostri quartieri. Un’altra giornata di guerra era passata, ero di nuovo a casa ma l’indomani tutto sarebbe ricominciato. A scuola eravamo sempre meno, purtroppo molti miei compagni non ce l’hanno fatta”.

Oggi sono passati vent’anni dall’inizio dell’assedio di Sarajevo. Ci saranno diverse manifestazioni organizzate dalla città per ricordare l’assedio e tutte le vittime della guerra. Verrà installato un palcoscenico vicino al monumento della Fiamma Eterna e di fronte saranno disposte 11.541 sedie rosse in ricordo delle vittime.Sarajevo per me è come un bambino nato nell’aprile del 1992: oggi quel bambino ha 20 anni ed è una persona adulta, un giovane che cerca di vivere la sua vita, non riesce e non può dimenticare il suo triste passato, queste ferite non guariscono ma va avanti, cresce e si sviluppa!” – spiega Azra –“ La guerra non può e non deve essere  dimenticata, è necessario che il passato ci insegni a costruire una società migliore. È importante andare avanti, investire nelle nuove generazioni e permettere loro di seguire la propria strada senza dover pagare il prezzo del conflitto”.

Azra lavora ogni giorno nella ‘Casa del sorriso’ del Cesvi a Srebrenica. L’obiettivo della struttura creata dall’organizzazione italiana è favorire il dialogo tra i diversi gruppi etnici, attraverso il coinvolgimento di bambini e adolescenti in attività di natura educativa. Il Centro sta diventando un punto di riferimento per bambini e ragazzi di Srebrenica, che trovano un ambiente accogliente e a loro misura, all’interno del quale studiare, giocare, trovare l’appoggio di educatori professionisti.


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