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Venezuela, perché il Paese coi salari più bassi al mondo diserterà le urne
La popolazione è sfinita, i 26 milioni di abitanti tentano di sopravvivere dovendo convivere con l’inflazione più alta al mondo, il 3000% l’anno, ed i salari più miseri del pianeta, pari a tre euro al mese. Ma anche se per la prima volta l'opposizione a Maduro parteciperà alla contesa elettorale, saranno tantissimi i venezuelani che domenica per le amministrative rimarranno a casa
di Paolo Manzo
Apatia e rassegnazione. Sono questi i due sentimenti che predominano tra la popolazione del Venezuela dove, domenica 21 novembre, si vota per le amministrative (in foto il presidente Maduro). Sono più di 70mila i candidati per gli incarichi di sindaco, governatore e centinaia di giunte locali ma alla gente della strada, come Maria Rosas, 65enne pensionata, questo voto interessa poco o nulla. “Non andrò ai seggi tanto, chiunque si voti, non cambierà niente. I chavisti sono ladri che hanno distrutto questo paese ma l’opposizione non è meglio”. I venezuelani sono sfiniti, soprattutto i 26 milioni che sono rimasti in patria e che tentano di sopravvivere dovendo convivere con l’inflazione più alta al mondo, il 3000% l’anno, ed i salari più miseri del pianeta, pari a tre euro al mese. I sei milioni che invece hanno lasciato il paese con le maggiori riserve petrolifere al mondo, riescono non solo a mangiare tre volte al giorno ma con i soldi che inviano ai loro parenti in Venezuela, consentono la sopravvivenza dei disperati che sono rimasti. “Se non ricevessi ogni mese 100 dollari da mio figlio Salvatore che è emigrato a Doral, in Florida – racconta Maria, che riceve la miseria di due euro di pensione – sarei già morta di fame da almeno cinque anni”.
Il voto di domenica è importante soprattutto perché, per la prima volta dal 2017, anche l’opposizione avrà candidati in lizza. Dopo oltre quattro anni di Aventino, insomma, ci sarà finalmente una contesa elettorale tra il chavismo, la cui figura più rappresentativa è il presidente Nicolás Maduro e ciò che resta a piede libero dell’anti-chavismo, incarnato dal leader oppositore Juan Guaidó. Quasi impossibile, tuttavia, che cambi qualcosa visto che tutta la campagna elettorale è stata sbilanciata in modo palese a favore dei candidati del PSUV, il partito socialista unito del Venezuela che governa il paese sudamericano da oramai 23 anni. Tutte le televisioni e le radio controllate dallo Stato, infatti, sono state usate come una passerella da parte di Maduro e compagni, mentre i candidati dell’opposizione hanno subito un blackout informativo, sovente condito da insulti, senza precedenti. Altra novità del voto di domenica sarà la massiccia presenza di osservatori dell’Unione europea che tenteranno, con membri dell’ONU e del Centro Carter, di verificare sul campo l’andamento del suffragio. Non accadeva da 15 anni che Bruxelles mandasse qualcuno a vigilare un’elezione in Venezuela. Per Eric Farnsworth, un esperto dell’America Latina presso l’Americas Society/Council of the Americas (AS/COA) “non c’è nessun osservatore elettorale che possa dire che questa sarà un’elezione libera ed equa, visti gli enormi vantaggi strutturali che sono stati costruiti nel corso degli anni dal PSUV”. Su tutti il consiglio elettorale venezuelano che dovrebbe fare da arbitro e controllore ma che, al pari del sistema giudiziario, è sottomesso al 100% al regime.
Ma allora perché i principali partiti dell’opposizione hanno accettato di partecipare ad un’elezione così scontata? Innanzitutto perché è ormai evidente che il riconoscimento ed il sostegno internazionale a Guaidó come legittimo leader del Venezuela non è più sufficiente. Se Maduro ha infatti appena il 13% di gradimento popolare, il sostegno della gente per il leader dell’opposizione è crollato da quando, a inizio 2019, ha tentato di prendere il potere, passando dal 63% di due anni fa a circa il 15% di oggi, secondo l’agenzia demoscopica Datanalisis. Inoltre, sebbene l’opposizione non abbia chance, il voto di domenica è un primo passo importante verso la ricostruzione delle reti istituzionali in vista di suffragi molto più importanti, come ad esempio le elezioni presidenziali del 2024. “In termini calcistici, questo è il raduno estivo, non la finale della Champions League”, spiega Geoff Ramsey, direttore dell’area venezuelana presso l’Ufficio di Washington per l’America Latina (WOLA) .
“Domenica l’opposizione torna alla politica elettorale in un panorama incredibilmente diseguale. Cercheranno di testare il sistema così com’è e di riconnettersi con la loro base sul terreno”. Un test, dunque, in attesa che possano riprendere i colloqui di dialogo in Messico tra Maduro e Guaidó e, chissà, arrivare alle presidenziali del 2024 in una situazione migliore rispetto al disastro attuale. Un disastro socio-economico che ha fatto riprendere negli ultimi mesi la via della diaspora a decine di migliaia di venezuelani che, invece, non vedono motivi di speranza nel prossimo futuro. Uno scoramento che è ancora maggiore tra chi resta e, per questo, le previsioni per il voto di domenica parlano di un astensionismo record, addirittura superiore al 70%. “Vogliamo più sicurezza, ospedali e salari degni, non perdere tempo per votare questi ladroni”, si lamenta Victor Peña, un docente universitario che guadagna 5 euro al mese e che senza il fratello che gli manda soldi dall’Italia dov’è emigrato sarebbe già “morto di fame”.
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