Formazione

Vedete Benigni? Ha la mia casacca

Nedo Fiano ad Auschwitz perse tutta la famiglia. La sua vita, invece, la riportò a casa. Con una divisa a strisce. «Grazie a essa Roberto, nel film, ha potuto vestire correttamente.»

di Fabrizio Annaro

Quando va in una scuola a spiegare agli studenti che cosa accadde nei campi di sterminio nazisti, Nedo Fiano per prima cosa tira fuori dalla borsa una vecchia e logora divisa dei prigionieri di Audschwitz. Poi la posa sul tavolo, lì, in bella vista, davanti a tutti. E per tutta la durata dell?incontro quella divisa a righe verticali resta lì, testimone muta ed eloquente, a interrogare le coscienze dei giovani d?oggi, a dimostrare che tutte le atrocità di cui si parla sono esistite davvero. Così è accaduto una mattina dell?anno scorso al liceo Manzoni di Milano, ma con una differenza: quella volta dietro al tavolo Nedo Fiano non era solo. Con lui c?era anche un volto molto più noto agli studenti: quello di Roberto Benigni. E i ragazzi, dopo due ore di dialogo serrato, non sapevano se essere più entusiasti del comico toscano regista de ?La vita è bella?, oppure dell?ex dirigente industriale ?regista? della necessità di non dimenticare e consulente storico di quello stesso film. Così il caloroso abbraccio tra Benigni e Fiano, due autentici ?benedetti toscani?, sanciva anche una comune volontà: che la memoria sia ripresa e coltivata, a ogni costo, perché i giovani sappiano. E intanto i ragazzi non volevano più staccarsi dai due protagonisti. Nedo Fiano, classe 1925, è un toscano che pensa positivo. Ed è un ebreo capace di accettare la realtà con grande ironia, nel solco della tradizione che va dagli scrittori yiddish sino a Woody Allen per arrivare fino a Benigni: un comico-attore-regista che ebreo non è ma che agli ebrei si è dimostrato molto vicino. Ironia e concretezza. Fiano ce ne dà subito una prova allorché suoniamo con due ore di ritardo alla sua casa di Milano. Alle nostre scuse lui subito ci tranquillizza: «Non tutti i mali vengono per nuocere: fino a poco fa c?era un frastuono tremendo, stanno lavorando in tutto il palazzo. Ora invece c?è silenzio e possiamo parlare in tutta tranquillità». Pensare positivo: una dote che a Nedo Fiano non manca, nonostante le tremende esperienze subite durante la seconda guerra mondiale. Arrestato nel ?43, a soli 18 anni e solo perché ebreo, è deportato ad Auschwitz dove riesce miracolosamente a sfuggire alla morte ma dove perde tutta la sua famiglia, dieci persone: il padre, la madre, il fratello con la moglie e il figlio di 18 mesi, la nonna, gli zii con i due figli. Nedo Fiano passa da un lager all?altro (alla fine saranno ben sei) e infine viene trasferito a Buchenwald, dove ritrova la libertà per mano degli alleati. Quando i carri armati americani entrano nel campo di concentramento, Fiano pesa 37 chili. Ma ha ancora la forza di entrare nel magazzino del lager e portarsi via una casacca nuova di cotone a righe, simbolo del martirio di questo secolo: giusto ?per non dimenticare?. L?inferno del lager l?ha segnato per sempre, e non solo sul braccio, dove porta impresso il suo numero di deportato. Da allora, raccontare la Shoah è la sua missione. Fiano parla ai giovani girando per le scuole. Attraverso i media tiene vivo il ricordo dell?Olocausto. È un uomo dal cuore grande. Lo si legge dallo sguardo, lo si capisce dalle parole. Sì, davvero consulente migliore Benigni non poteva trovare per il suo film ora candidato a sette Oscar. «Mi sono interessato dei costumi», precisa Fiano, con una punta di modestia. «Nei film uniformi e abbigliamento dei prigionieri sono spesso trascurati. Benigni era preoccupato di raffigurare nazisti e prigionieri in modo giusto». Ma com?è Benigni? È davvero il ragazzaccio che vediamo in tv? «Di solito i comici nella vita sono persone serie. Lui un po? meno: è allegro, semplice, un vero toscanaccio, forse per questo ci siamo trovati tanto bene. Fa sempre la figura da ignorante e invece è un uomo di grande spessore, gradevole, non solo divertente. Affabile, disponibile, di grande calore umano… Qualche volta hai la sensazione che reciti. Ma è il contrario. In fondo ognuno è quello che è». Allora, Benigni come Chaplin? L?hanno detto in tanti… «Sì, però bisogna vedere il dopo. Perché dopo un?opera così, sarà dura per lui. Un po? come per la nostra Fiorentina rimanere in alto in classifica». Fiano ammira Benigni, sicuramente: e che un ebreo dalla figura così carismatica dia la sua approvazione a un film così delicato come ?La vita è bella?, ha la sua bella importanza. Fiano fra l?altro non ha condiviso le critiche avanzate da parte della comunità ebraica, perplessa sul fatto che si possa ridere di una tragedia così grande. «Noi ebrei consideriamo la tragedia della Shoah come qualcosa di sacro. Ma ciò non significa che sia sempre e comunque dissacrante mettere il sacro non dico in ridicolo, ma comunque in risata. Anzi, l?ebreo, tradizionalmente, condisce con il comico anche i fatti più drammatici. Nei campi di sterminio si raccontavano barzellette. Serviva a tirar su il morale. Era un po? l?antiveleno, una fuga da quella terrificante situazione in cui si alternavano speranza e pessimismo, magari anche a seconda di com?era il tempo. Io comunque ho vissuto il film di Benigni un po? come una fiaba, non certo come un film realistico. È una favola raccontata ai bambini e ai ragazzi perché capiscano qualcosa che è incomprensibile anche ai grandi. E infatto Benigni ha cercato una formula per parlare ai più giovani: un film come ?Schindler?s List? i ragazzi delle medie e delle superiori non lo capiscono, perché manca loro la cultura, la conoscenza storica. ?La vita è bella?, invece, ha trovata la strada giusta. Attraverso la risata, Benigni fa entrare una storia così drammatica nel cuore e nella coscienza dei giovani. I ragazzi sono entusiasti, ci sono scene geniali: come quella del ?cavallo ebreo?. O quella finale, quando il piccolo Giosuè dice alla mamma, trionfante: ?Abbiamo vinto la gara?». Dica la verità: ha suggerito qualche battuta a Benigni? «No», ride. «Non ne ha certo bisogno. Sarebbe una presunzione da parte mia. A ognuno il suo mestiere… Non sono nemmeno andato sul set. Con Benigni però sono andato in giro a presentare il film ai giovani. Ci siamo incontrati, abbracciati. Lui si è ricordato di me anche a Hollywood. È stato molto carino. In fondo, fra toscanacci ci si intende». Se lei fosse stato ad Auschwitz con uno dei suoi figli, avrebbe fatto come Benigni? «No. Se fossi stato con mio figlio sarei morto. Un padre che si vede strappare un figlio… Ho lavorato per sei mesi alla banchina della stazione di Birkenau, al ricevimento dei prigionieri diretti ai forni crematori, che erano 150 metri pioù in là. Ma strappare i figli alle mamme, ai padri…». E il ricordo più terribile di quei giorni? «Immagini trecento, quattrocento persone ammassate in una sala, dopo viaggi di sette giorni e sette notti, sospinte dentro, ignare di quello che accadrà, che sentono arrivare lentamente la morte col gas, con i bambini in braccio, con i genitori vecchi accanto. Fra dolori atroci, contorcendosi per guadagnare un?invisibile uscita per la vita, con i figli che muoiono nelle braccia o genitori che gridano ?aiuto, aiuto?. Fra il giugno l?agosto del ?44 nel campo di Birkenau furono gasate e bruciate 10 mila persone al giorno. Il fetore di carbe bruciata era terribile. E pensare che c?è chi dice che tutto questo non è avvenuto…». E che cosa dice del fatto che Guido-Benigni cerca di nascondere la verità a Giosuè, il figlioletto? «Credo sia una cosa facilmente comprensibile: un padre cerca sempre di ridurre l?orrore ai figli. Anche a me è capitato che da ragazzo i genitori cercassero di far vedere gli avvenimenti in una luce migliore Già nel ?38 (quando le leggi razziali avevano trasformato un popolo civile come quello ebreo in un popolo di criminali volgari, cacciati dalle scuole, dai tribunali, dagli ospedali) cercavano di farci un quadro meno tremendo. E anche dopo il ?43 i genitori ebrei cercavano di sdrammatizzare, con i loro figli. Purtroppo la realtà era un?altra…». È riuscito a farsi una ragione di quel che è accaduto? «È una domanda che ricorre frequentemente. Siamo figli dell?Illuminismo, cerchiamo sempre la causa e l?effetto. Ma ci sono cose che non possono avere una risposta. Auschwitz, forse, è l?effetto della dittatura, della perdita della libertà. Quando il Parlamento è soppresso, quando manca la libertà di stampa, di associazione, è alora che si va verso Auschwitz». Cosa dice di Giovanni Paolo II: ha davvero riconciliato cristiani ed ebrei? «È un grande Papa. È il dono più bello che Cristo ha fatto ai cristiani». Ma come mai in Germania c?è ancora tanto silenzio sull?Olocausto? «Lo sterminio di sei milioni di uomini è stato commesso dai nonni dei giovani di oggi. I padri sono innocenti, e anche i nipoti. Questi ultimi però sentono il peso del delitto dei nonni, e per non accollarsi collettivamente le colpe della generazione precedenti a volte cercano spiegazioni infantili e fantasiose. Come quella che le camere a gas non sono mai esistite e che a Auschwitz si moriva di polmonite. Anche il popolo italiano non accetta l?idea di essere colpevole. Ma le leggi razziste del ?38 furono infami. Un ebreo non poteva avere una licenza di pesca. Un ebreo non poteva avere la radio e il telefono. Oltre al lavoro e a tutto il resto. Mi dica se in Italia c?è stato un pentimento, una riflessione approfondita. Io avevo 13 anni, ero ?balilla?, e fui buttato fuori dalla scuola. Persi tutti gli amici. Nessuno, dico nessuno, mi offrì la minima solidarietà. È stato un giorno nero. Dopo 50 anni ritrovai i miei compagni. Andammo in un ristorante, io mi ero preparato un atto di accusa durissimo. Ma poi lasciai perdere». Ai giovani, invece, val la pena di parlare. «Certo. I giovani capiscono meglio di chi giovane non è più, ed è pieno di preconcetti, ha una mentalità già fatta. E meno male che programmi di scuola ora prescrivono lo studio del ?900, il ministero finanzia persino viaggi ai campi di sterminio». Nedo Fiano oggi è un uomo sereno. Ma arriverebbe a dire, dopo quel che ha vissuto, che ?la vita è bella?? «La vita è come la facciamo noi. Non tutta ovviamente. Forse è una questione di misura. La mia esperienza mi ha aiutato molto. Vedo l?infinità dei problemi della vita quotidiana, ma se penso ad Auschwitz tutto mi sembra un giochino. Paradossalmente l?esperienza della deportazione è anche un dono miracoloso. Mi ha aiutato a dare alle cose una profondità, una geometria diversa. Chi ha sofferto, fa sua la sofferenza degli altri, e sente un?affinità con chi soffre. Il cuore e l?anima, però, sono rimaste là, in quei lager. Per sempre».

Chi e’Nedo Fiano

Chi è Nedo Fiano Nedo Fiano, fiorentino, nato nel 1925, ex dirigente industriale, vive a Milano ormai da 43 anni. Possiede circa 1500 volumi sull?Olocausto e ha la Cattedra della Shoah all?Umanitaria di Milano, dove insegna tutte le settimane. Figura carismatica della comunità ebraica milanese, tiene molti incontri per gli studenti nelle scuole, in stretto contatto con il Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di via Eupili 8 (tel. 02.316338). Qui si trovano circa 18 mila volumi e 5000 cassette, spesso utilizzati da studenti universitari per le loro tesi di laurea.


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